ANTONIO di Chelino da Pisa
Operoso alla metà del sec. XV, è citato fra gli scultori rinomati del tempo, nel Trattato di Architettura del Filarete, risalente agli anni 1460-1464. Insieme con Giovanni, da Pisa, Urbano da Cortona e Francesco del Valente, è uno dei collaboratori di Donatello all'altare del Santo a Padova, come sappiamo dal contratto stipulato con l'artista in data 26 apr. 1446, e da diversi pagamenti dal 17 febbr. 1447 al 28 giugno 1448, relativi a due scomparti con angioletti e uno con simboli degli Evangelisti.
L'attività padovana rimane tuttavia non ben precisata, sia per la parte avuta nei rilievi dell'altare sia per alcune opere che gli vengono ascritte dal Fabriczy (1906) fuori della basilica del Santo, eseguite indipendentemente dal maestro. Risulta di nuovo a Firenze nel 1454, dove gli è incertamente assegnata la Madonna col Bambino in terracotta nel Tabernacolo della via Pietrapana. A Siena, senza tuttavia l'appoggio di documenti, si fa il nome di A. per la Madonna del Perdono (già ritenuta di Donatello e poi di Michelozzo) sopra la porta che conduce alla navata trasversale del duomo e per il rilievo della Madonna col Bambino nel palazzo Chigi Saracini, secondo il Bode di seguace fiorentino di Donatello, prossimo all'autore del tondo della cattedrale.
Dal 1457 al 1458 A. lavora sicuramente all'Arco di Alfonso I d'Aragona insieme con Isaia da Pisa, Pietro da Milano, Domenico Gagini, Francesco Laurana, Andrea dell'Aquila e Paolo Romano. Con Andrea dell'Aquila è dunque il solo donatelliano presente a Napoli.
La critica ha tentato di distinguere le parti dovute ai due scultori: il Filangieri, notando in alcuni particolari dell'Arco analogie di stile con i putti della Cappella del Santo a Padova (dove A., come s'è detto, fu aiuto del maestro mentre Andrea dell'Aquila non vi figura), identifica con A. l'autore del fregio coi putti danzanti sulla trabeazione del binato destro, il rilievo del fornice a sinistra (già assegnato dal Fabriczy [1889] e dal Bertaux a Andrea dell'Aquila), infine, benché dubitativamente, il fregio coi putti con ghirlande, due amorini, centauressa e vela; e, sulla porta del castello, i due geni sostenenti le armi aragonesi. Sculture tutte dove il tratto è vigoroso, l'intaglio lieve, i volti pensosi, i putti vivacissimi rispetto alle parti supposte di Andrea, più ingenue, delicate, serene e meno robuste.
Dopo la collaborazione all'Arco, nulla sappiamo di A., che il Planiscig dice ancora in vita nel 1460, come del resto conferma il Filarete, e che potrebbe identificarsi, secondo la proposta del Semrau (in Thieme-Becker) e del Venturi, con l'Antonio da Pisa operoso a Foligno nel 1461.
Bibl.: G. Vasari, Le vite..., con nuove annotaz. e commenti di G. Milanesi, II, Firenze 1878, pp. 411,n. 1, 484; A. Filarete, Trattato di Architettura 1460-1464, a cura di W. von Oettingen, Vienna 1896, p. 213;C. F. von Rumohr, Italienische Forschungen, Berlin 1839, II, p. 169;C. Minieri Riccio, Gli artisti e gli artefici che lavorarono in Castelnuovo al tempo di Alfonso I e Ferrante I, Napoli 1876, pp. 5s., 11; E. Müntz, Les Arts à la Cour des Papes, Paris 1878, II, p. 114; W. Bode, Italienische Bildhauer der Renaissance, Berlin 1887, p. 35; A. Gloria, Donatello e le sue opere nel Santo, Padova 1895, p. 6;C. von Fabriczy, Der Triumphbogen Alfonsos I am Castel Nuovo in Neapel, in Jahrb. der königlich preuss. Kunstsamml., XX(1899), pp. 26s.; G. Zippel, Artisti alla Corte degli Estensi nel '400, in L'Arte, V(1902),p. 406; C. von Fabriczy, A. di Chellino da Pisa, ibid., IX(1906), pp. 442-45 (idem in Rep. für Kunstwissensch., XXIX[1906], pp. 380-384); A. Venturi, Storia dell'Arte Italiana, VI, Milano 1908, pp.314, 324, 457; E. Bertaux, Donatello, Paris 1910, pp. 155, 203, 204; R. Filangieri di Candida, L'Arco di Alfonso d'Aragona, in Dedalo, XII(1932), p. 429;R. M. Valentiner, Andrea dell'Aquila painter and sculptor, in Art Bulletin, XIX(1937), p. 503;L. Planiscig, Donatello, Firenze 1947, pp. 82, 83; L. Grassi, Tutta la scultura di Donatello, Milano 1958, p. 87; U. Thieme-F. Becker, Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler, I, p. 583.