ANTONIO di Francesco (o Veneziano).
Pittore attivo nel sec. 14°, ricordato per la prima volta in un pagamento effettuato nel 1369 dall'Opera del duomo di Siena per aver dipinto la Madonna nella lunetta, ora perduta, della porta della cattedrale (Lusini, 1911). Tra il 1369 e il 1370 è ampiamente documentato per la decorazione a fresco delle cappelle di S. Sebastiano e di S. Savino e per quella delle volte sempre del duomo senese, talvolta in consentaneità con Andrea Vanni (Lusini, 1911; Czarnecki, 1980). Nel 1374 risulta immatricolato a Firenze nell'Arte dei medici e speziali e il suo nome compare costantemente negli elenchi delle Prestanze del Comune di Firenze che vanno dal 1375 al 1419 (Vasari, Le vite, a cura di Milanesi, I, p. 661, n. l; Czarnecki, 1980), anche se talvolta è lecito sospettare omonimie con altri pittori. Un'ampia documentazione d'archivio lo testimonia a Pisa tra il 1384 e il 1386 (Ciampi, 1810; Tanfani Centofanti, 1897) attivo nel Camposanto alla realizzazione delle Storie di s. Ranieri.Nei documenti senesi e anche pisani è spesso ricordato come de Vinegia senza che si possa stabilire se l'appellativo si riferisca al luogo di provenienza o accenni invece a un determinante soggiorno veneto.Vasari, che gli dedica una delle Vite, costellata di elogi per i suoi meriti, lo considera veneziano, tessendo intorno a questo dato il tópos del refusé in patria; riporta, tra l'altro, la notizia secondo cui, riaccolto a Venezia con una commissione pari al suo valore - la decorazione a fresco di una parete nella sala del Maggior Consiglio in palazzo Ducale - A. sarebbe stato per invidia fatto bersaglio di critiche. Di diverso avviso è Baldinucci (1681-1728) che, sulla scorta di spogli di manoscritti e carte strozziane, lo dichiara fiorentino. Un ulteriore avallo alla prima ipotesi è però fornito dalla tabella per S. Niccolò Reale a Palermo, ora nel Mus. Diocesano, datata 1388 e firmata: "Antonio da Vinexia pinxit".Perduta completamente la sua produzione senese documentata, l'attività degli anni giovanili non risulta chiara e comunque non è da immaginare, come ha tramandato Vasari, a contatto con Agnolo Gaddi. L'influenza di Taddeo Gaddi piuttosto, delle sue forme costrutte e solenni, è stata avvertita da Cavalcaselle (in Crowe, Cavalcaselle,1864), ribadita con efficacia dimostrativa da Offner (1927), precisata cronologicamente da Boskovits (1975), che postula un soggiorno fiorentino, non documentato, prima dell'attività senese per permettere ad A. una frequentazione della bottega gaddiana negli anni sessanta, la sola che possa giustificare i forti echi del magistero di Taddeo. Testimonianza di questa fase può essere il noto trittico nella Coll. Boehler a Monaco che, per la materia luminosa e la fattura mossa, rivela - assieme alle cinque cuspidi di polittico, attribuite oralmente ad A. da Volpe, apparse alla vendita Palais Galliera di Parigi (5 dicembre 1973, nr. 37) - un'ascendenza fiorentina e una datazione al settimo decennio: elementi questi che collimano indirettamente con quanto Cavalcaselle ipotizzò su una partecipazione di A. alla decorazione a fresco del Cappellone degli Spagnoli in S. Maria Novella a Firenze.Testimonianza del posteriore periodo di collaborazione con Andrea Vanni potrebbe essere il trittico con Madonna e santi (già Pontedera, Coll. Toscanelli) di antica provenienza senese, da ancorarsi pertanto agli inizi dell'ottavo decennio del sec. 14° (Boskovits, 1975), mentre una delle prime realizzazioni del periodo fiorentino documentato è da ravvisare negli affreschi che decoravano il tabernacolo della torre degli Agli a Novoli. Della successiva produzione, precedente e conseguente il soggiorno pisano, è rimasta a Firenze soltanto una traccia vasariana che ricorda gli affreschi della Vocazione degli apostoli e della Caduta della manna in Santo Spirito, la predella con storie del santo eponimo per S. Stefano al Ponte e la lunetta per la chiesa di S. Antonio, oltre a una tavola e un affresco post-pisani per la certosa del Galluzzo.Un nutrito gruppo di dipinti si può tuttavia scaglionare prima degli anni ottanta. Tra questi l'Incoronazione della Vergine (già New York, Coll. Hurd; Offner, 1923) e quindi il frammentario polittico la cui tavola centrale è nel Mus. of Fine Arts di Boston (Offner, 1920) e i laterali divisi tra Auckland (City Art Gall.), Firenze (già Coll. Loeser) e Milano (coll. privata: Tartuferi, 1987; già Monaco Coll. Drey: Valentiner, 1933). Ma, oltre alla sintesi della cultura fiorentina di primo Trecento, captata nei suoi più alti esiti giotteschi, e di quella senese, entra tra le coordinate in cui si muove il suo stile una componente settentrionale da sempre riconosciuta e individuata specialmente in Giusto de' Menabuoi (Longhi, 1953), in Giovanni da Milano, in Barnaba da Modena (Offner, 1927), in Jacopo Avanzi e Tommaso da Modena (Boskovits, 1975). L'apice personalissimo a cui approdano queste istanze culturali si ha nelle Storie di s. Ranieri nel Camposanto pisano (Ritorno a Pisa; Morte e traslazione; Miracoli post mortem, a conclusione del ciclo di affreschi iniziato da Andrea da Firenze) che si possono apprezzare solo nei dettagli, causa le condizioni di conservazione, e intuire nella loro sapiente orchestrazione dalle incisioni eseguite nell'Ottocento da Lasinio. In esse le architetture appaiono di grande intuizione prospettica e le figure monumentali si presentano con taglio ravvicinato che le evidenzia nei volumi rotanti e nelle espressioni più intense, umanità eroica contro "lo sfondo delle città ciclopiche che si librano in volo" (Offner, 1927, p. 76).Nell'intensa produzione del periodo pisano si annoverano inoltre il trittico per la chiesa di S. Tommaso - di cui rimane in loco lo scomparto centrale con l'Assunta, mentre dei laterali, uno con sei santi è nello Staatl. Lindenau-Mus. di Altenburg (Schmarsow, 1898) e l'altro, già nella Coll. Freebairn a Roma, è oggi disperso -, lo stendardo processionale del Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo di Pisa (Salmi, 1928-1929) e la Visitazione a fresco in S. Martino.Sempre al nono decennio è assegnabile un polittico smembrato di cui la parte centrale è nel Niedersächsisches Landesmus. di Hannover (Offner, 1923), l'Annunciazione, un laterale con S. Giacomo e alcuni santi del registro intermedio a Berlino (Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Gemäldegal.), secondo la recente ricostruzione di Boskovits (1987).Zone d'ombra sulla sua tarda attività, romanzescamente risolta da Vasari con una conversione del pittore al mestiere di speziale, hanno avuto schiarite da Berenson (1963) che, sulla scorta di una proposta di Gamba (1932) e di Procacci (1936), ravvisando la presenza dell'artista nella cattedrale di Toledo (affreschi della cappella di San Blas e tavole della cappella del Battesimo) ha portato anche un ulteriore contributo alla questione dei rapporti tra pittura fiorentina e pittura castigliana a cavallo tra Tre e Quattrocento, stringendo il legame tra il Maestro del Bambino vispo e lo Starnina, allievo quest'ultimo proprio di A., come informa la fonte vasariana. Nella cappella di San Blas, da contenersi entro la data 1395-1399, A. dovette avere un ruolo di ideatore ed esecutore, valendosi dell'aiuto di un pittore autoctono, Rodriguez di Toledo. Le pur pesanti ridipinture consentono di apprezzare come lo stile di A. si sia indirizzato a una espressività illustrativamente più calcata nelle fisionomie e nella congestione delle scene. Va detto che la sua presenza qui è condivisa ormai da numerosi studiosi (Boskovits, 1975; Sricchia Santoro, 1976; Bonsanti, 1985), benché liquidata da voci sporadiche (Czarnecki, 1980), mentre più perplessità suscita il suo intervento al retablo del Salvatore, smembrato tra i pezzi con scene cristologiche, reimpiegati nel retablo della cappella di San Eugenio, e gli apostoli, divisi tra la cappella del Santo Sepolcro, sempre nella cattedrale toledana, e la Art Gall. di Poughkeepsie (NY), il cui S. Taddeo, attribuito ad A. da Zeri e Fredericksen (1972), è stato spostato nel corpus delle opere dello Starnina da Bologna (1975). Mentre la Madonna del parto di Montefiesole a Pontassieve, restituita ad A. da Czarnecki (1977), può precederne il soggiorno ispanico, c'è da chiedersi se lo stendardo processionale che reca la Decapitazione del Battista, acquisito da Bonsanti (1985) al corpus delle opere di A., non possa testimoniare una fase tarda, ricca di attenzione alla resa espressiva, di intenti plastici e volumetrici, di sintesi spaziale: caratteri di una pittura che intesse consapevolmente un legame con le più alte invenzioni giottesche.
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