ANTONIO di Puccio Pisano, detto il Pisanello
Chiamato Vittore Pisano per erronea tradizione che risale al Vasari, poi corretta dal Biadego (1907-08 e 1908-1909), sulla base di documenti (cfr. G. F. Hill 1908, p. 288; L. Testi 1910), A. nacque verso il 1395, a Pisa, da madre veronese (Isabetta di Nicolò); il padre, Puccio di Giovanni da Cereto, pisano, morì nel 1395. Il piccolo A., condotto poco dopo dalla madre a Verona, ebbe il soprannome di "Pisanello" che gli rimase anche nei documenti, sebbene egli stesso firmasse "Pisanus".
Nei suoi primordi artistici A. si formò probabilmente sotto la guida diretta di Stefano da Verona: certamente sotto l'influsso della sua arte, oltreché di quella lombarda e padovana. Lo dimostrano certi suoi disegni giovanili, che sono copie da opere di Stefano, di Michelino da Besozzo, di Altichiero (Milano, Ambrosiana; Vienna, Albertina; Parigi, Coll. Bacri; cfr. B. Degenhart 1960, figg. 13, 29, 36, 39)
Tappa decisiva per lo sviluppo e per tutta l'arte di A. fu il suo incontro con Gentile da Fabriano. Probabilmente scolaro di Gentile a Venezia, A. ne divenne poi il principale collaboratore e, infine, a Roma, il suo continuatore.
L'attività di A. a Venezia, per la decorazione, in collaborazione con Gentile, e poi in continuazione della sua opera, della Sala del Gran Consiglio in Palazzo ducale, viene documentata dal 1415 al 1422. B. Facio (m. 1457) e F. Sansovino (1581) ne descrivono due affreschi, mentre un elenco del 1425 (cfr. G.B. Lorenzi 1868) dà brevemente i soggetti di tutti e ventidue gli affreschi che si riferivano alla storia di Venezia (lotte tra Federico Barbarossa e papa Alessandro III). Oltre un disegno di A. (Louvre, n. 2432), che è l'abbozzo per l'affresco Ottone (figlio dell'imperatore Federico) dinanzi a Papa Alessandro ed al Doge di Venezia, non è rimasta traccia che possa dare un'idea del contributo di A. a quel perduto complesso pittorico.
Ugualmente perduti, ed anche di datazioni incerte, sono i cicli d'affreschi che A. eseguì a Pavia per i Visconti (1440?) ed a Mantova per i Gonzaga (forse 1441-1443; G. F. Hill 1905, p. 128; U. Rossi 1888, p. 456). In quegli anni (1417-1422 circa) si formava a Venezia, intorno a Gentile da Fabriano, uno stile che, sebbene di origine non veneziana, trovò ampia diffusione nel Veneto e in particolare piena assimilazione nel Pisanello. Ne sono esempio le quattro tavole con le Storie di s. Benedetto (una a Milano, Museo Poldi Pezzoli; tre a Firenze, Deposito degli Uffizi) e diversi affreschi a Treviso e Pordenone. L'attribuzione delle prime ad A. (Degenhart, in Arte Veneta,1949) è stata accettata da R. Longhi (1958, p. 76) e negata da altri (v. bibliografia in: Magagnato, 1958, pp. 81-83). Gli affreschi di Treviso e Pordenone comprendono opere, come la Leggenda di s.Eligio, in S. Caterina a Treviso, che sono da attribuire allo stesso A. (Coletti 1947, p. 253), ed altre che sono di seguaci di minor valore (Treviso, cappella degli Innocenti in S. Caterina, e Museo Civico; Pordenone, duomo). Più che una soluzione definitiva del problema della reale partecipazione di A. a quel complesso di quadri ed affreschi, soluzione alla quale si arriverà difficilmente, importa il fatto che in essi sia raccolto quanto è tuttora rimasto dell'attività della bottega veneziana di Gentile da Fabriano; di una pittura dunque indicativa dello stile del Pisanello di allora, strettamente legato all'arte di Gentile e quindi all'anonimità della sua bottega.
Autentiche opere mature di A., tuttora esistenti , sono gli affreschi nelle chiese di S. Fermo e di S. Anastasia a Verona. Quelli in S. Fermo decoravano il monumento di Nicolò Brenzono (m. 1422), eseguito nelle parti scultoree dal fiorentino Nanni di Bartolo detto il Rosso. L'affresco di A., con l'Annunciazione e Santi cavalieri (arcangeli ?), venne eseguito probabilmente intorno al 1424: la data 1426 sulla prima pietra tombale (R. Brenzoni 1932) serve come terminus ante quem.
Negli anni fra il 1422 e il 1426 A. viene menzionato diverse volte sia a Mantova sia a Verona. Del 1422 circa è l'ancora giovanile Madonna della Quaglia (Verona, Museo Civico) nella quale elementi dell'arte di Gentile si sovrappongono all'arte di Antonio. Ci pare anche possibile una sua partecipazione, negli anni 1422-23, a Firenze, all'Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano (Uffizi).
È probabile che già allora A. venisse chiamato a Roma, con Gentile da Fabriano, da Martino V, come scrive anche il Vasari. Certo passarono ancora anni, prima che Gentile e A. si recassero definitivamente a Roma per i lavori comuni in S. Giovanni in Laterano. Mentre Gentile arriva a Roma nel 1425, Pisanello è, in quell'anno, documentato di nuovo a Mantova. Data forse da allora il famoso S. Gerolamo, posseduto da Guarino Guarini (G. F. Hill 1905, p. 117) e menzionato nella sua poesia su A. (A. Venturi 1896, p. 41): tale poesia non va datata al 1439 circa, come generalmente si ritiene; infatti Guarino, menzionando ritratti d'imperatori, non si riferisce alla medaglia del Paleologo (1438), ma, come crediamo noi, all'attività ritrattistica per l'imperatore Sigismondo (v. oltre), del 1433 circa. La tavola di S. Gerolamo di Guarino era dunque anteriore al 1433. Insoluto, finora, il problema, quale sia il rapproto della tavola Guarino con il S. Gerolamo della National Gallery di Londra; cioè se la tavola di Londra, di provenienza ferrarese, sia identica con quell'altra e con ciò autentica opera di A. (A. Venturi; R. Longhi 1958, p. 76); o se il quadro a Londra sia copia di scuola da una opera di A. (Magagnato 1958, n. 115); o - come credo - sia opera d'un pittore indipendente, scolaro di Gentile da Fabriano come A. ed a A. stilisticamente affine (certo non di Bono da Ferrara, come vorrebbe l'apocrifa firma, che ci pare aggiunta più tarda).
Quanto all'attività di A. a Roma, sappiamo che gli affreschi in S. Giovanni in Laterano con scene della Vita di s. Giovanni e, al di sopra (tra le finestre), singole figure di Santi, furono incominciati, nel 1425, da Gentile da Fabriano. Quando questi morì, nel 1427, A. figura erede del suo materiale di lavoro, il che ci fa credere che non fosse soltanto successore di Gentile, ma che sia stato ancora, una volta di più, suo collaboratore (dal 1426?; da documenti risultano soltanto gli ultimi anni della sua presenza: nel 1431 e nel 1432). Modesta testimonianza dell'opera sono i disegni di A. che copiano scene o figure degli affreschi. Con altri disegni, Pisanello continuava una attività già svolta da Gentile, di copie metodiche, le prime conservate, da opere romane antiche. In questi e in altri disegni, egli appare sistematico raccoglitore di motivi sia della realtà, sia dell'arte antica, sia di opere modernissime: e tale attività doveva proseguire anche dopo Roma, copiando a Firenze l'Angelico, Fra Filippo Lippi, Donatello, Luca della Robbia, come prima si era interessato di Giotto, d'Altichiero (B. Degenhart 1960, A. Schmitt 1960).
Di quegli anni sono due opere: una Madonna - perduta - dipinta ancora a Roma e promessa a Lionello d'Este (A. Venturi 1896, p. 36) e il ritratto dell'Imperatore Sigismondo (Vienna, Kunsthistorisches Museum); costui fece ingresso in Roma nel 1433, quando A., lasciata Roma nel 1432, dipingeva a Verona, con brevi soggiorni a Ferrara. È da supporre che i disegni preparatori per il quadro siano stati composti durante una sosta del viaggio di ritorno dell'imperatore, quando questi passò per Ferrara e Mantova o per la stessa Verona. Questa datazione del ritratto (introdotto nel catalogo di A. dal Degenhart 1944 e 1946, contraddetto da N. Rasmo 1955) è confermata da analogie di stile con l'affresco di S. Anastasia (Verona).
L'affresco di S. Anastasia è quanto rimane della decorazione della cappella della famiglia veronese Pellegrini (C. Cipolla 1914, p. 396), descritta dal Vasari. Perduta la decorazione interna della cappella, si trova tuttora, sull'arco d'ingresso, San Giorgio che parte per uccidere il drago e lo stesso Drago dall'altra parte; al di sotto, lo stemma Pellegrini. L'opera è databile al periodo tra il 1433 e il 1438.
Connessa con l'affresco, stilisticamente ed anche tramite numerosi disegni, specie certi studi di animali, è la tavola di S. Eustacchio (Londra,National Gallery).
Nello stesso periodo vediamo A. alternare la sua residenza tra Verona e Ferrara, e farsi più stretto il suo rapporto con gli Estensi, specialmente con Lionello per il quale A. eseguì, nel 1435, una "Divi Iulii Caesaris effigies", non sappiamo se quadro o medaglia (Salmi 1957). È da ritenere che il ritratto di Principessa Estense del Louvre non si riferisca a Ginevra d'Este (G. F. Hill 1905, p. 73), bensì a Margherita Gonzaga, sposata con Lionello d'Este dal 1435, che dev'essere stata ritratta verso il 1439, comunque non dopo, perché in quell'anno essa morì (G. Gruyer 1894, pp. 216 s. e L. Magagnato 1958, pp. 96 s.).
Nel 1439 A. prese parte all'assedio di Verona (al comando del Piccinino e di Francesco Gonzaga). Esiliato in seguito dai Veneziani, non poté tornare a Verona fino al 1445. In tutti questi anni lo vediamo fra Mantova, Ferrara e Milano (1440), al servizio specialmente dei Gonzaga e degli Estensi. In occasione del concilio di Ferrara (1438-39), aveva eseguito la medaglia di Giovanni VIII Paleologo, imperatore d'Oriente che partecipò al concilio, prima, a noi rimasta, di quella lunga serie di medaglie che contribuirono alla gloria di A. non meno delle pitture e dei disegni.
Il decennio fra il concilio di Ferrara e la chiamata di A. alla corte di Napoli nel 1448 segna l'apice della sua fama.Le medaglie che si susseguono sono come pietre miliari della sua gloriosa carriera artistica.
Alla medaglia del Paleologo (1438) seguono - ma non sempre di autenticità indiscussa - le altre seguenti: Nicolò Piccinino (1441 circa), Filippo Maria Visconti (1441 circa), Francesco Sforza, tre medaglie di Nicolò III (m. 1441), e sette medaglie di Lionello d'Este (m. 1450; eseguite dal 1442 circa in poi; alcune contestate), due medaglie di Sigismondo Pandolfo Malatesta (1445 circa), Gianfrancesco I Gonzaga (1445 circa), Novello Malatesta (1445 circa), Vittorino da Feltre (verso il 1446), Lodovico III Gonzaga (1447-48 circa), Cecilia Gonzaga (1447), Belloto Cumano (1447), Pier Candido Decembrio (1448 circa), le tre medaglie di Alfonso I d'Aragona (1448-49) e, dello stesso periodo napoletano, quella di Iñigo d'Avalos. Di tutte queste portano la data incisa, e quindi inequivocabile, solo le seguenti: quella per le nozze di Lionello con Maria d'Aragona, 1444; Sigismondo Pandolfo Malatesta, 1445; Cecilia Gonzaga, 1447; Belloto Cumano, 1447.
Altre medaglie sono conosciute soltanto tramite notizie o disegni, come una per Martino V e un'altra per Niccolò V, e queste due sarebbero la prima e l'ultima medaglia di Antonio. Della prima parla Paolo Giovio, dell'ultima esiste un disegno (cfr. Degenhart 1960, p. 61).
Le altre opere conservate di quel periodo sono poche; tra queste, la più importante, la Madonna con s. Antonio e s. Giorgio (Londra, National Gallery), di provenienza ferrarese, è difficilmente databile; il ritratto di Lionello d'Este (Bergamo, Accad. Carrara), è forse quello che A. fece a Ferrara, nel 1441, in gara con Iacopo Bellini. È andata perduta una tavola eseguita per la residenza di Lionello d'Este a Belriguardo.
Non si sa quanto sia durata l'attività del Pisanello alla corte di Alfonso d'Aragona, databile, in base alle medaglie, dal 1448. Certo questo è il suo periodo più fecondo e quello in cui la sua attività si estende, oltre la pittura e le medaglie, a progetti architettonici e di scultura (Arco di trionfo di Alfonso a Castelnuovo, cfr. L. Planiscig 1933; H. Keller 1957), a lavori d'argenteria e di bronzo (canne da cannone, elmi da parata), a modelli per stoffe, ecc. Dopo questa fervida attività, che si può seguire ininterrottamente fino al 1450, non risultano più opere databili.
Probabilmente A. è morto nel 1455, stando a una lettera di Carlo de' Medici, la quale, al 31 ott. 1455, lo indica morto da pochi giorni (Hill 1905, p. 212; Id. 1908, p. 288; Biadego 1907-08; Manteuffel 1909, p. 7).
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