Antonio di S. Martino a Vado
Le notizie assai vaghe e generiche che si hanno di lui, nella storia della fortuna di D. nel Trecento, derivano dal Sacchetti e da Pandolfo Malatesta. Entrambi riconoscono ad A. il merito di aver coltivato validamente lo studio della poesia dantesca, dando lettura del poema, secondo il Crescimbeni, nel 1381, con molta dottrina ed erudizione. Il Sacchetti, in particolare, nel sonetto A mastro Antonio lettor del Dante in Firenze sottolinea il valore del suo commento soprattutto in quanto contribuisce alla ripresa del culto della poesia dopo che erano " morti i fiorentin coltivatori " in un intelligente rifiorire del testo per virtù di un'opera di ammaestramento, dalla quale potrà trarre buon utile chi voglia salire nelle difficoltà dello studio, seguendo questo mirabile esempio di ingegno e virtù insieme congiunti. Dal canto suo, Pandolfo Malatesta, in un sonetto inviato ad Angela da Nogaroli, ricorda A. come colui che " col dire onora molte carte ". Par di capire, quindi, che egli unisse alla dottrina sicura e profonda anche un vivo senso della poesia e una singolare capacità di esplicarla e presentarla con efficacia e persuasione di magistero. Di più non è possibile dire, perché di tale sua attività di dantista altro non possediamo se non questi accenni indiretti, non un testo e nemmeno un saggio, sul quale si possa esprimere un giudizio diretto, e non riflesso. Si tratta, in realtà, come scrive il Sapegno, di una " notizia più o meno sicura ", attualmente non controllabile, se non per il richiamo delle fonti letterarie che l'hanno tramandata, con apprezzamenti così pienamente lusinghieri e favorevoli.
Bibl. - Franco Sacchetti, Secche eran l'erbe, gli arboscelli e i fiori, e Pandolfo Malatesta, Fuor di speranza, e nudo di conforto, in C. Del Balzo, Poesie di mille autori intorno a D. A., ecc., Roma 1890, n 474-475; E. Cavallari, La fortuna di D. nel Trecento, Firenze 1921, 166; N. Sapegno, Storia letteraria del Trecento, Milano-Napoli 1963, 179.