ANTONIO Diogene ('Αντώνιος Διογένης)
Autore di un romanzo di viaggi in 24 libri intitolato Le meraviglie di là da Tule (Τὰ ὑπὲρ Θούλην ἄπιστα). L'opera originale è perduta, ma un sommario abbastanza largo, quantunque disuguale e qua e là confuso, ci è conservato da Fozio nella sua Biblioteca (cod. 166).
La parte essenziale dell'opera si presentava quale narrazione di uno dei personaggi principali, Dinia, tenuta in Tiro, e consisteva nel racconto di un viaggio di costui sino e oltre l'isola dell'estremo settentrione, Tule. Colà egli s'innamora di una fanciulla, Dercillide, fuggita da Tiro col fratello Mantinia, perché, ingannata da un sacerdote egizio, stregone, ipocrita e scellerato, Paapi, aveva immerso nel letargo i proprî genitori. Paapi raggiunge poi i fratelli in Tule e li incanta, sicché essi giacciono il giorno morti, risuscitano la notte. Paapi è ucciso da un cittadino di Tule, Truscano, innamorato di Dercillide. Nell'ultimo libro, che solo giustifica il titolo, Dinia stesso narra come mentre Mantinia e Dercillide, sottratti all'incanto, ritornano in patria per sottrarre alla loro volta i genitori alla malia, egli con due compagni viaggia verso il nord e arriva fin sulla luna; poi, essendo stato a ciascuno concesso l'adempimento di un desiderio, egli si desta in Tiro nel tempio di Eracle, e ritrova Dercillide e Mantinia.
Questa la parte centrale del romanzo, nella quale era inserita una lunga narrazione dei viaggi di Dercillide, che la portarono sino all'Ade, in Gallia, in Iberia, tra i Traci e i Massageti, dove essa conobbe Zamolxi (v.), come aveva conosciuto Astreo, che le aveva narrato molto del suo fratello adottivo, Pitagora.
Il romanzo di Antonio in questa sua parte centrale aveva in comune con gli altri romanzi greci lo schema del viaggio, l'avventurosità, i prodigi; aveva in comune anche la composizione a digressioni inserite l'una nell'altra; ma, a quel che si può giudicare dal sommario, mancava o scarseggiava l'erotica: dunque narrazione fantastica (aretalogia), e non romanzo d'amore.
Una lettera aggiunta, diretta a un certo Faustino, vantava l'accuratezza di Diogene nell'uso delle sue fonti. Una dedica alla sorella dell'autore, Isidora, iniziava l'opera; la dedica era subito seguita da una lettera del macedone Balagro, marito di Fila, figliola di Antipatro, nella quale si narrava come un soldato di Alessandro scoprisse in un sotterraneo di Tiro sei sarcofagi dei personaggi del romanzo, e, in un cofanetto di cipresso, tavole del medesimo legno sulle quali Dinia aveva fatto incidere la narrazione.
A. D. citava come proprio modello Antifane, evidentemente quello di Berge, ch'è del sec. IV a. C. (v. antifane di Berge); e solo l'imitazione di Antifane spiega infatti sufficientemente il titolo. Ma il nome dell'autore ci rimanda al periodo romano. Tempo probabile il sec. I d. C. Con questa datazione, congetturale, si accorda bene l'interesse per la personalità di Pitagora, ridestato dal neopitagoreismo (proprio per Pitagora Antonio Diogene fu fonte importante dei posteriori ed è citato da Porfirio nella vita di Pitagora, cap. 32), la tendenza moralistica, religiosa, mistica, la semplicità (atticistica?) dello stile, vantata da Fozio.
Bibl.: Il testo di Fozio è ristampato anche negli Erotici del Hercher, I, Lipsia 1858, p. 233. Lavoro fondamentale rimane ancor sempre R. Rohde, Griech. Roman, 3ª ed., p. 269, il quale ricongiunge però quest'opera troppo strettamente con i romanzi erotici: la connessione con l'aretalogia fu osservata da R. Reitzenstein, Hellenistische Wundererzählungen, Lipsia 1906, pp. 17-31; ottima trattazione complessiva in Christ-Schmid, Griech. Liter., II, p. 650 (v. anche Schmid, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., I, col. 2615).
Per le relazioni con Antifane, che sole spiegano il titolo, G. Knaack, in Rhein. Mus., 1906, p. 135.
Per la cronologia un nuovo importante indizio dà F. Boll, in Philologus, 1907, p. 1. L'identificazione del Faustino di A. D. con un personaggio di Marziale (Hallström, in Eranos, 1910, p. 200) è possibile, ma nulla più.