ELIA, Antonio
Attivo a Ferrara ed a Roma nei primi due decenni del XVI secolo: il primo documento che lo menziona risale al 18 dic. 1508 quando risulta pagato per l'esecuzione di "idoli di terra" impiegati nelle rappresentazioni teatrali che si effettuavano alla corte di Alfonso I d'Este (Venturi, 1889, p. 107). Nella stessa città era ancora attivo dal gennaio all'ottobre del 1512 (ibid.), ma dovette allontanarsene successivamente, in data non nota; dal 1517 è documentata la sua presenza a Roma, dove sarebbe stato alloggiato nel palazzo del cardinale Ippolito I d'Este.
Questa notizia si desume da una lettera del 21 marzo 1517, inviata da Beltrando Costabili, vescovo di Adria, al duca di Ferrara (ibid.; cfr. anche Corradini, 1987), dalla quale si possono trarre anche altre notizie essenziali riguardanti l'attività svolta dall'E. in quel periodo. Il Costabili, spiegando ad Alfonso d'Este la difficoltà di reperimento nel mercato antiquario romano di buone sculture antiche, aggiungeva che sarebbe stato comunque possibile ottenere delle copie di qualità, ricavate dalle più celebri statue antiche delle collezioni romane. A questo proposito egli indicava proprio l'E., elogiandolo per la sua capacità di riprodurre in scala le grandi sculture, facendole poi gettare in bronzo. A Roma infatti lo scultore si era già distinto, a quella data, per l'esecuzione di una replica del Laocoonte che sarebbe stata ammirata da A. Foppa detto il Caradosso e che il Venturi (1889, pp. 108 s., fig. 4) indicava in un bronzetto del Museo nazionale del Bargello, che riproduce il celebre gruppo marmoreo privo del braccio destro del padre, come quando venne in luce a Roma, nel 1506.
L'E. non si trattenne a lungo al servizio d'Ippolito d'Este; pochi mesi dopo era probabilmente già deciso, infatti, a lasciare la città. La notizia si desume da un'altra lettera del 25 ag. 1517 (ibid., pp. 107 s.) scritta da Giuliano Caprili ad Ippolito d'Este, in partenza per l'Ungheria, nella quale il Caprili interveniva a favore dello scultore, chiedendo al cardinale di farsi accompagnare anche dall'E., che lo avrebbe ricambiato realizzando per lui qualche bella scultura. Il Caprili faceva inoltre presente la volontà già avanzata dall'artista, che, dopo aver ritratto dal vero le "belle statue di Roma", progettava di recarsi altrove, forse in Lombardia, ma che volentieri avrebbe seguito il cardinale. Non conosciamo la decisione di Ippolito d'Este, ma certamente lo scultore di lì a poco si allontanò da Roma, dopo aver lasciato vari oggetti di sua proprietà in deposito presso Agostino Chigi, in cambio di denaro. Lo attesta un documento del marzo 1523 che stabilisce il passaggio agli eredi Chigi di oggetti, dettagliatamente elencati, di proprietà di "Magistri Antracy Helie" (Cugnoni, 1879).
Si trattava di una notevole quantità di modelli in creta e cera, di cui lo scultore doveva evidentemente servirsi nella sua bottega, e che confermano la sua feconda attività di copista. Vi troviamo descritte varie repliche di sculture antiche come il Marforio, il Tevere, il Laocoonte, un Ercole, un Apollo, una cassa con trentanove statue, frammenti di statue, vari altri modelli frammentari, un compasso, alcuni libri.
Manca fino ad oggi una documentazione ulteriore sulla biografia e sull'attività dell'E., la cui produzione attende ancora una revisione critica, che potrebbe consentire una definizione più esatta delle sue qualità di modellatore, permettendo inoltre d'individuare la paternità di alcuni tra i molti bronzetti cinquecenteschi ancora anonimi.
Fonti e Bibl.: C. Cugnoni, Agostino Chigi il Magnifico, in Arch. della Soc. romana di storia patria, II (1879), pp. 480 s.; A. Venturi, Il gruppo del Laocoonte e Raffaello, in Arch. stor. dell'arte, II (1889), pp. 107 ss.; E. Corradini, in L'impresa di Alfonso II. Saggi e documenti sulla produzione artistica a Ferrara nel Cinquecento, Bologna 1987, p. 163; G. Agosti-V. Farinella, Michelangelo e l'arte classica, Firenze 1987, p. 57 n. 11.