EUSTACHI, Antonio
Secondogenito di Pasino, mercante pavese e comandante della flotta viscontea, fu il più stretto collaboratore del padre nella gestione degli affari familiari e negli incarichi pubblici. Nato probabilmente nel penultimo decennio del sec. XIV, iniziò a operare come mercante nel 1405, incoraggiato dal padre che gli fornì capitali e merci. Nel 1420 si iscrisse al Collegio dei mercanti della città di Pavia e dall'anno successivo vi rivestì la carica di "credenziario".
Le sue attività furono differenziate e dinamiche: tenne per cinque anni una bottega di panni a Pavia, gestì fornaci, fu commerciante, con alcuni soci, di pesce fresco e salato e di materiali edili. Godeva inoltre delle rendite di porti, di proprietà fondiarie e di una licenza esclusiva per l'estrazione dell'oro dalle sabbie dei fiumi lombardi, ed esercitò l'appalto della Tesoreria pavese. È stato calcolato che ogni anno i suoi redditi ammontassero a 55.000 fiorini, e questo gli consentì di incrementare ulteriormente il patrimonio famigliare. La sua abilità nel far fruttare gli investimenti si rivelò fin dall'inizio, quando, ricevuto un prestito dal padre di quasi 13.000 fiorini, riuscì a raddoppiarlo con fortunate speculazioni.
Dal 1430 il suo apporto all'allestimento e al governo della flotta viscontea a fianco dell'anziano padre Pasino divenne sempre più importante. Nella divisione dei compiti fra i vari membri della famiglia l'E. fu addetto, in particolare, alla direzione della darsena e dei cantieri navali pavesi, e la sua attività in questo campo fu particolarmente intensa nel 1438, in previsione dello scontro con la Repubblica veneta. Nell'estate di quell'anno l'E. era impegnato ad allestire nella darsena, con mezzi limitati e con poco tempo a disposizione, la flotta viscontea da guerra. I lavori continuarono alacremente anche negli anni successivi.
Nel 1445, alla morte del padre, ereditò un patrimonio vastissimo, che comprendeva enormi capitali liquidi, rendite, beni immobili e vaste possessioni localizzate soprattutto nei distretti pavese e cremonese. I maggiori possedimenti erano quelli di Siccomario, dove l'E. esercitava anche la giurisdizione, di Vigevano, di Spinadesco e i vigneti nell'Oltrepò. Ebbe inoltre in eredità la "domus magna" in Pavia e un tesoro in gioie e oggetti preziosi.
Attorno al 1445 il duca Filippo Maria Visconti cominciò a dimostrare una minor fiducia verso gli Eustachi, che facevano parte del partito ghibellino pavese a lui ostile, e dopo la sua morte nell'agosto del 1447 l'E. e il fratello Bernardo furono del gruppo di nobili che costituirono la Repubblica di S. Siro. L'E. ebbe l'incarico di trattare la resa delle fortezze cittadine con i rispettivi castellani, ma, trovandosi in una situazione di emergenza, stipulò accordi così gravosi che furono criticati dagli altri membri del governo pavese, e non furono mai onorati. La questione delle ricompense si trascinava ancora nel 1449, quando Pavia era ormai sotto la signoria sforzesca.
L'aiuto che l'E. prestò a Francesco Sforza nella conquista militare dello Stato fu piuttosto ìmportante. Insieme col fratello Bernardo, egli fu nominato capitano generale della flotta pavese, e il suo compito fu specialmente quello di curare l'allestimento delle navi, come è attestato da un registro, curato dall'E., che riporta minuziosamente tutte le spese effettuate per la costruzione e l'armamento dei galeoni. Nel 1449, mentre la guerra volgeva al termine, egli redasse una nota di spese per il disarmo di diciassette galeoni da combattimento. Ma nell'agosto del 1450 dovette nuovamente difendere la darsena pavese, presa di mira da emissari veneti che volevano penetrarvi per dar fuoco alla flotta ducale, approfittando dello spopolamento della città a causa della peste. Timoroso del contagio, l'E. chiese al duca licenza di allontanarsi da Pavia, ma lo Sforza lo esortò a non muoversi dal suo posto per non allentare la sorveglianza sul traffico fluviale.
Presso la nuova corte sforzesca l'E. fu premiato da riconoscimenti e onori: ebbe la conferma delle donazioni di Filippo Maria e fu nominato cavaliere dallo Sforza che nelle lettere gli si rivolgeva con l'appellativo di "compater". Nel 1451 il duca gli diede incarico di allestire due galeoni da guerra. Su consiglio dell'E., i "navaroli" della flotta furono riorganizzati, e a Piacenza furono nominati due consoli che collaboravano con il capitano del naviglio. Nel 1456 l'E. fu incaricato di adottare i provvedimenti necessari a prevenire il contagio della peste che si diffondeva in tutta Italia.
Nel 1462, anziano e in cattive condizioni di salute, diede incarico al figlio Francesco di rappresentarlo presso il duca e in alcuni atti di amministrazione 'dei suoi beni privati. Il suo testamento porta la data del 27 dic. 1465; morì il giorno seguente. La datazione del testamento suscita però qualche perplessità: il figlio Pietro Pasino vi è definito studente, allorché nel 1465 risulta invece già addottorato. E probabile quindi che la data, secondo l'uso del tempo, sia da riferire all'anno a nativitate, e così stando le cose l'E. avrebbe fatto testamento e sarebbe morto negli ultimi giorni del 1464, e non del '465.
Ebbe due mogli: la prima apparteneva al casato pavese dei "de Iacopo", la seconda era Caterina de' Rizzi (risultano dall'Archivio di Stato di Milano, Famiglie, Eustachi, e da Missive 119, lettera ducale dell'8 luglio 1474) e diciassette figli. Otto dei maschi, negli anni successivi, occuparono uffici e posti di riguardo nell'amministrazione dello Stato milanese e nelle gerarchie ecclesiastiche. Il primogenito Giacomo, i cui rapporti col padre erano stati sempre piuttosto difficili, esercitò la professione mercantile e fu capitano della flotta ducale. Filippo fu a sua volta capitano della flotta e castellano di Porta Giovia, Francesco abbracciò la carriera ecclesiastica e divenne protonotario apostolico, Pietro Pasino si laureò in diritto civile e fu chiamato a far parte del Senato ducale. Guidantonio, Pasino e Giovanni Stefano furono collaboratori dei fratelli a Porta Giovia e nel governo della flotta, Cesare fu commissario delle tasse dei cavalli. Non si sa molto di Urbano e Angelino, che probabilmente morirono in giovane età. Tra le sette figlie dell'E. alcune risultano sposate a gentiluomini delle maggiori famiglie pavesi, una era monaca in un monastero pavese. A distanza di una generazione dal fondatore della "dinastia" i rapporti di parentela stabiliti dagli Eustachi, spesso paralleli ai legami societari e commerciali, costituivano per la famiglia un robusto strumento di potere, di affermazione sociale, di partecipazione a tutti i settori della vita associata. Questa rete di relazioni non è stata compiutamente studiata, ma appare vastissima, estesa a casati potenti della città di origine e di altri centri del dominio visconteo-sforzesco.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Fondo Famiglie, b. 68, fasc. Eustachi: lettere e suppliche dell'E., s. d.; Ibid., Registri delle missive ducali, trascr. a cura dell'Archivio, II, ad Indicem: Iohannis Simonetae Rerum gestarum Francisci Sfortiae Mediolanensium ducis Commentarii, in Rerum Ital. Script., 2 ed., XXI, 2, a cura di G. Soranzo, pp. 28, 36, 189; Gli atti cancellereschi viscontei, II, Carteggio extradominium, a cura di G. Vittani, I, Milano 1929, p. 215; L. Rossi, La flotta sforzesca nel 1448-49, in Boll. d. Soc. pavese di storia patria, XII (1912), pp. 3-6; Id., Gli Eustachi di Pavia e la flotta viscontea e sforzescanel sec. XV, ibid., XIV (1914), pp. 39 s., 45, 56, 60 s., 65, 152, 160 s., 174, 188, 371-375, 379-382, 384 s., 389, 395 s., 398-400; XV (1915), pp. 155, 166-169, 171 s., 174, 207, 212-215, 219-222; XXIV (1924), pp. 29 s., 41 s., 64, 68, 73 s., 77, 79-84, 86 s., 91, 99; XXV (1925), pp. 34, 37 ss., 43, 51, 54, 57, 65 s., 69, 77; XXVII (1927), pp. 19 s., 26-29, 31 ss., 35 ss., 52, 59, 61, 69, 71 s.; C. Santoro, Gli ufficidel dominio sforzesco, Milano 1948, p. 338; G. Aleati, Una dinastia di magnati medioevali: gli Eustachi di Pavia, in Studi in onore di Armando Sapori, II, Milano 1957, pp. 753-756.