EXIMENO PUJADES, Antonio
Nato a Valencia il 26 sett. 1729 da Vicente Eximeno e Maria Francisca Pujades, dopo i primi studi compiuti nel seminario de nobles di Valencia. il 15 ott. 1745 entrò nella Compagnia di Gesù e in questa prese i voti il 2 ott. 1763.
Negli anni della sua formazione culturale l'E. partecipò del clima di forte polemica antiscolastica e antibarocca che alla metà del secolo fu peculiare dei gesuiti valenciani, distinguendoli anche nell'ambito del loro Ordine. Attenti ai nuovi sviluppi del pensiero filosofico - in particolare alla tradizione dei sensismo, da Locke a Condillac - e ai nuovi orientamenti del gusto artistico e letterario proposti dal classicismo francese, i gesuiti di Valencia ereditavano anche dall'insegnamento del matematico e filosofo gassendista T. V. Tosca, figura dominante dell'università valenciana nei primi decenni del secolo, il progetto di una rifondazione enciclopedica del sapere, capace di una sintesi tra il nuovo pensiero filosofico e scientifico e i valori del cattolicesimo. L'attività di scrittore dell'E. sin dagli esordi e poi soprattutto nell'esilio italiano - qui in significativa solidarietà con gli studi storici di un altro importante esponente del gruppo, Giovanni Andrés - tradusse appunto queste diverse influenze ed esigenze in una ricerca che investì ecletticamente le discipline e i generi più diversi.
Chiamato ad insegnare dapprima retorica nel seminario di Valencia e dal 1762 matematica nel colegio de nobles, l'E. si rivolse in questi anni alla critica della teologia tornista (De sinceritate sacrae doctrinae, Valentiae 1757, una dissertazione "de expungendis a sacra theologia philosophicis nugis"), all'oratoria sacra (Sermón ... en la iglesia de S. Catharina..., Valencia 1763; Sermón ... en la fiesta que celebró la esclavitud de Jesús Nazareno..., ibid. 1763), all'osservazione scientifica (Observatio transitus Veneris per discum solarem facta in regia specula Matritensi, pubblicata nel 1762 nelle viennesi Ephemerides astronomicae), alla poesia (tre sonetti nella raccolta Fiestas seculares..., a cura di T. Serrano, Valencia 1762, pp. 27 ss.), al teatro, con due contributi ad un Certamen literario, Madrid 1758: l'intermezzo satirico Apolo medallista e la tragedia Amán, nella quale, in aperta polemica col teatro barocco di Lope de Vega e Calderón, elaborava un tema biblico secondo i più austeri moduli classicistici.
Soprattutto però l'E. si dedicò ad approfonditi studi matematici che, se trovarono solo assai più tardi e parzialmente la via della pubblicazione, gli assicurarono ben presto, attraverso l'insegnamento, prestigio sufficiente a farlo nominare il 3 nov. 1763 professore di matematica e direttore degli studi nell'Accademia d'artiglieria allora istituita a Segovia. L'Oración… en la abertura de la Real Academia..., Madrid 1764, che egli pronunziò prendendo possesso della cattedra, fu adottata come testo ufficiale della scuola, fu ristampata nel 1857 e nel 1894 ed era ancora in uso nei primi decenni del sec. XX.
Nel 1767 il decreto di Carlo III che espelleva i gesuiti dai domini della Corona spagnola colpì anche l'E., che il 7 maggio si imbarcò alla volta della Corsica, donde poi si trasferì in Itafia. Il 18 ottobre era a Roma e il mese successivo, probabilmente nella vana speranza di essere così restituito alla cattedra di Segovia, abbandonò la Compagnia di Gesù, pur rimanendo sacerdote. L'assimilazione dell'E. al nuovo ambiente fu rapida e prestigiosa. Presto padrone della lingua italiana parlata e scritta, protetto da J. N. de Azara, rappresentante di Carlo III presso la S. Sede, che, pur tra i promotori dell'espulsione, fu generoso d'aiuti coi letterati gesuiti esuli, l'E. ebbe amicizie influenti nei circoli della cultura romana, dal camaldolese C. Biagi all'architetto G. Quarenghi, al pittore P. Batoni, ai matematici G. Pessuti e G. Calandrelli, all'arcade Maria Antonia di Wittelsbach, figlia dell'imperatore Carlo VII, alla quale dedicò il suo trattato di teoria musicale e che ne promosse la pubblicazione. Il 15 apr. 1773 lo stesso E. fu ammesso in Arcadia con il nome di Aristosseno Megareo, che evocava l'antico teorico musicale; fece parte anche dell'Accademia degli Occulti, contribuendo con un'ode, Vaticinio di Calcante, in latino nonostante il titolo, alla raccolta di Poesie (Roma 1777), dedicata da questi accademici al principe B. Odescalchi. Tra i suoi corrispondenti, oltre ad alcuni importanti personaggi della diaspora gesuitica come Giovanni Andrés ed Esteban Arteaga, va ricordato infine il Metastasio: l'E. si proponeva di scriverne la biografia e di pubblicarne l'intera produzione drammatica, comprese le musiche, ma il vecchio poeta cesareo sconsigliò entrambi i progetti.
Preceduta da un Avviso a' letterati, ed a gli amatori della musica (Roma 1771), che ne riassumeva le tesi e che subito suscitò vivaci polemiche, nel 1774 l'E. pubblicò a Roma Dell'origine, e delle regole della musica colla storia del suo progresso, decadenza e rinnovazione.
Con un'accentuata preoccupazione di rigore e di chiarezza già di per sé polemica nei confronti degli esoterismi della trattatistica musicale, l'E. dedica un'ampia introduzione ad illustrare le regole matematiche ed il lessico musicale di cui farà uso nell'argomentazione. Il trattato si articola quindi in due parti. La prima illustra e confuta le "opinioni" degli antichi e dei moderni circa la natura dei fenomeni musicali, in particolare le teorie di Pitagora, Galilei, Eulero, Tartini e Rameau, sostenendo che quest'arte non è soggetta alle ragioni della matematica e non ne deriva; enuncia poi la teoria dell'autore: la musica è una modificazione naturale del linguaggio, tun puro linguaggio" essa stessa, il cui "primo scopo è l'istesso che lo scopo del parlare, cioè l'esprimere colla voce i sentimenti e gli affetti dell'animo" (pp. 60, 106); le saranno dunque proprie non le leggi matematiche, ma quelle della prosodia; sostiene infine che non vi è "neppur una sola regola di contrappunto che non sia falsa, o mal intesa" (p. 10). Propone invece alcune regole fondamentali, mutuate da semplici esperienze musicali, ed alcuni accorgimenti pratici per un uso sensato degli stessi precetti del contrappunto, convalidando le une e gli altri attraverso l'analisi di testi di Palestrina, Pergolesi. Corelli e mostrando allo stesso tempo come tali testi deroghino di fatto dai vincoli contrappuntistici più rigidi. La seconda parte insiste sul nesso che, in virtù della sua dipendenza dal linguaggio, lega l'evoluzione della musica a condizioni geografiche, etniche e sociali. Questa concezione è illustrata da un'esposizione storica dello sviluppo della musica occidentale. All'età classica, sulla scorta di testimonianze letterarie e filosofiche, l'E. attribuisce la polifonia, in polemica con P. J. Buret e G. B. Martini. La "decadenza" medievale del gusto musicale è ricondotta all'uso barbarico di un canto omofonico e omoritmico come origine storica del canto fermo. struttura portante a sua volta del "contrappunto artifizioso" (p. 397) sterilmente codificato dalla trattatistica rinascimentale e barocca. A questa l'E. oppone i risultati scaturiti dal processo di "rinnovazione" iniziato nel sec. XVI e culminato da una parte nell'esperienza 'strumentale di Corelli e Tartini, dall'altra nella riforma metastasiana del melodramma, protagonisti Pergolesi, jommelli, Piccinni. Ora, secondo l'E., la musica ha veramente raggiunto il suo fine, "che è l'espressione de' più teneri affetti e delle più violente passioni del cuore umano" (p. 443).
Alle tesi dell'E., prima espressione teorica in Italia dei nuovi orientamenti del gusto musicale, con il loro appello ai valori dell'istinto e del sentimento contro i modelli matematizzanti della tradizione, replicò subito il Martini, massima autorità musicale italiana del tempo, nella prefazione all'Esemplare o sia Saggio fondamentale pratico di contrappunto.... In particolare il Martini reagiva all'esigenza dell'E. - che adduceva come esempio lo Stabat pergolesiano - di liberare la musica da chiesa dai rigidi vincoli matematici del contrappunto, per restituirla alla spontaneità naturale del sentimento religioso. Ad essa il Martini opponeva le ragioni storiche e teologiche che a suo parere rendevano la musica liturgica inseparabile dalla disciplina fondata sul canto fermo. L'E. replicò con il Dubbio ... sopra il Saggio fondamentale pratico di contrappunto del reverendissimo ... Giambattista Martini (Roma 1775).
Sin dal titolo egli si domanda ironicamente se lo stesso trattato del Martini non costituisca la conferma migliore delle tesi sostenute nell'Origine. L'E. in effetti infirma ad una ad una le regole proposte dal Martini, dimostrandone l'irrilevanza rispetto agli stessi esempi musicali addotti per illustrarle. D'altra parte ribadisce su basi sia storiche sia religiose il rifiuto del canto fermo come unico legittimo criterio di espressione sacrale della musica. L'opera si conclude sostenendo contro il Martini l'uso del contrappunto da parte dei Greci, e, prendendo spunto dal silenzio degli antichi teorici in proposito, ribadisce la diagnosi dell'eterogeneità secolare, da Pitagora a Tartini, tra speculazione teorica e pratica compositiva.
Prima e dopo la polemica col Martini le tesi dell'E. produssero "un grand bruit en Italie", come rilevava da Parigi il Journal des sçavants (p. 356), a sua volta prendendo fermamente posizione a favore del musicologo spagnolo. In effetti la controversia tra i fautori delle dottrine musicali tradizionali e gli innovatori schierati con l'E. si trascinò a lungo e con punte anche aspre in riviste letterarie ed opuscoli con altri echi in Francia e in Inghilterra. In vari modi espressero subito il loro consenso con l'E. musicisti e teorici importanti come G. Sarti, G. Albertini, A. Basili-, N. A. Zingarelli, V. Manfredini, N. Jommelli. Infine è significativo che un estratto dell'Origine venisse poi pubblicato in appendice all'edizione di Nizza (1783) delle Opere del Metastasio (II, pp. III-XXIV).
All'inizio della polemica, nella Risposta al giudizio delle Efemeridi letterarie di Roma ... (Roma 1774), l'E. aveva reagito con ironia e durezza alle accuse d'incompetenza rivoltegli dai diaristi romani. Tornò sui temi del trattato in due scritti, Lettera ... al p. m. Guglielmo Della Valle..., nelle romane Memorie per le belle arti, I (1785), pp. XVII-XXIV; Elogio del signor Gaetano Carpani, maestro di cappella romano, ibid., pp. LXXXIX-XCVIII, riprodotto nel Giornale delle belle arti, anch'esso di Roma (II [1785], pp. 405 s., 411-416).
Nel primo ribadiva le proprie posizioni sulla questione del contrappunto nella musica greca; nel secondo chiariva il suo giudizio sulla musica liturgica, mostrando che la richiesta di maggiore libertà compositiva non escludeva affatto un'esigenza di "decoro del divino culto": occorreva "comporre in musica con istrumenti un salmo, una messa, conservandone il carattere dello stile a cappella; riscuotendone però il plauso e il gradimento del pubblico" (Elogio del ... Carpani..., p. XCIII). Entrambi gli scritti tuttavia - cosi come un terzo, inedito e ora perduto, l'Elogio funebre della cantante Ruffina Batoni, figlia di Pompeo, letto in Arcadia il 20 maggio 1784 - erano soprattutto un'accorata testimonianza sulla fine del magistero musicale italiano. Secondo l'E., che già nell'Origine aveva avvertito i segni della decadenza, la "musica dei nostri tempi" era ormai è moribonda" (Lettera..., p. XVII), per il dilagare dello stile teatrale in ogni genere musicale e per l'involgarimento del melodramma, troppo condiscendente allo "stupido gusto del popolo" (Elogio del ... Carpani..., p. XC).
Se gli scritti dell'E. sono testinionianze importanti dell'evoluzione del gusto musicale nel sec. XVIII - ed è anche significativa la sua adesione in scritti più tardi, il De studiis... e il Don Lazarillo..., alla riforma gluckiana ed al nuovo linguaggio strumentale haydniano - il suo contributo teorico è oggetto di una crescente attenzione storiografica, che però sembra ancora alla ricerca di una valutazione definitiva.
Tra la fine dell'Ottocento ed i primi decenni del Novecento, alcuni studiosi particolarmente interessati alla promozione della tradizione culturale spagnola - M. Menéndez Pelayo, P. A. Barbieri, F. Pedrell - furono indotti a leggere nella riduzione della musica al linguaggio, proposta dall'E., l'indicazione di un irrinunciabile radicamento dell'esperienza musicale nel folclore nazionale: da questo punto di vista il Pedrell arrivava ad accostare l'E. a Wagner e ai Cinque russi (un'eco di questa tesi ancora in F. Otero). Tale lettura, acriticamente divulgata da numerosi dizionari ed enciclopedie, non ha alcun riscontro negli scritti dell'E., come hanno dimostrato gli studi di G. Chase, N. Otafio e A. M. Pollin.
Con miglior fondamento una parte della critica più recente, in particolare G. Stefani, privilegia invece la polemica col Martini sulla musica liturgica, leggendovi un precorrimento di dibattiti attuali particolarmente vivaci nel clima del concilio Vaticano II. Tuttavia l'insistenza su questo aspetto appare riduttiva. A vero infatti che nella polemica contro il pitagorismo musicale nella tradizione liturgica l'E. pone con particolare forza il tema della libertà e della semplicità dell'espressione artistica, ma ciò perché in quest'ambito gli appaiono particolarmente mortificati i valori su cui insiste la sua teoria antintellettualistica della musica. E d'altra parte tali valori, e la connessa esigenza di una migliore adesione alla spontaneità e semplicità della vita individuale e sociale, non si esauriscono affatto nella teoria musicale e nemmeno nell'ambito dell'estetica. In letteratura la protesta dell'E. contro le codificazioni intellettualistiche investe l'uso della rima e il purismo delle accademie della lingua; sul teatro, di cui discute a lungo sia nell'Origine sia poi nel Don Lazarillo, l'E. simpatizza con la riforma goldoniana e, rifiutando i modelli cui aveva obbedito la sua giovanile esperienza di drammaturgo, confuta le "perverse unità di luogo e di tempo", assimilandole alle regole del contrappunto, "figlie di una stessa madre" (Don Lazarillo, II, pp. 3 s.); e dedicherà un'opera, l'Apologia de Miguel de Cervantes, a liberare l'artista da ogni obbligo di rigida aderenza al reale. Infine, negli scritti filosofici, condurrà un attacco radicale contro l'autoritarismo delle verità di ragione in nome dell'evidenza sensibile, un attacco che investe essenzialmente le tradizioni dei razionalismo cattolico. La teoria musicale dell'E. va dunque raccordata ad un più generale proposito di riforma teorica, che assimila "la Scuola aristotelica del canto fermo" alle "ridicole, vane, oscure e puerili... speculazioni degli scolastici sui più sacrosanti misteri della religione" (Dubbio..., pp. 7, 11).
In questo senso va anche corretto il giudizio di chi vede nella teoria musicale dell'E. un riflesso sostanzialmente passivo di idee illuministiche. Il debito dell'E. con l'estetica musicale dell'illuminismo non è senza importanti riserve: come dimostra la polemica col Rameau, dell'illuminismo l'E. accoglie la vena più accentuatamente antintellettualistica, più conforme alle sue personali origini e inclinazioni teoriche. E d'altra parte, se lo accosta a Rousseau la tesi di una comune origine della musica e del linguaggio, sembra eccessivo definire l'E. "il portavoce più fedele in Italia delle sue idee" (Fubini, L'estetica musicale, p. 56). Peculiare contributo teorico dell'E. - e questo soprattutto interessò i contemporanei - è la confutazione matematica prima che ideologica dei fondamenti matematici della musica, mentre i "concetti di chiara derivazione francese" (ibid., p. 57) dei quali egli fa uso sono annessi al progetto sicuramente eterogeneo di una risposta alla crisi della cultura cattolica, intesa a rimuovere la separazione tra il magistero della Chiesa e gli orientamenti radicalmente innovativi del pensiero contemporaneo.Significativa di questa esigenza di critica generale della cultura cattolica tradizionale è l'incondizionata adesione dell'E. alle tesi storiografiche sostenute dall'Andrés nel monumentale Dell'origine ... d'ogni letteratura. Pubblicato nel 1782 il primo volume, che esponeva la tesi generale del Medioevo come età di assoluta decadenza e barbarie nelle lettere, nelle scienze naturali e nelle discipline ecclesiastiche, l'E. ne scrisse un'entusiastica presentazione per le Efemeridi letterarie di Roma (XII [1783], pp. 3-7, 12-15, 19-22), provocando un drastico intervento censorio del domenicano T. M. Mamachi, maestro del S. Palazzo. Ad insaputa dell'E. l'articolo fu riscritto per la parte che riguardava la letteratura ecclesiastica "de' secoli barbari" e trasformato in una violenta diatriba contro le tesi dell'Andrés. L'E. fu costretto a protestare pubblicamente con una Lettera ... allo stesso Mamachi (Mantova 1783; una traduzione spagnola a cura di F. J. Borrull Villanova, Madrid 1784).
Secondo la sua stessa testimonianza, da un incontro con l'Andrés avvenuto a Roma nel 1785 l'E. fu indotto ad affiancare all'opera storiografica dell'amico e con le sue stesse intenzioni una vasta ricerca sul fondamenti della filosofia e delle matematiche. Il piano dell'opera fu ampiamente illustrato in De studiis philosophicis et mathematicis instituendis (Madrid 1789), dedicato appunto all'Andrés. Seguirono (ibid. 1796) i primi due volumi di Institutiones philosophicae et mathematicae, dedicati alla filosofia. I manoscritti degli altri cinque volumi previsti, spediti in Spagna per la pubblicazione nel 1798, andarono perduti nel saccheggio della nave da parte di pirati barbareschi.
L'opera avrebbe dovuto articolarsi in quattro trattati: "sulle facoltà della mente umana e sulla natura delle conoscenze"; "sulle discipline matematiche"; "sugli argomenti di fisica che possono essere trattati con ragionamenti matematici"; "sugli argomenti di fisica in cui la matematica non ha posto" (De studiis, p. 9). Adottando, per dare "ordine e chiarezza ai fatti e alle idee" (ibid., p. 297), un metodo espositivo mutuato dalle matematiche, l'E. porta ora in primo piano le ragioni filosofiche sottese alla sua multiforme attività letteraria, impegnandosi su due fronti polemici: da una parte il conservatorismo dei tomisti - "i nostri vecchi attaccatissimi, vuoi per arroganza vuoi per inerzia, alle fantasticherie aristoteliche", ostili alle discipline matematiche, "senza le quali non possono aver forza né le scienze più solide né le arti più utili", ignoranti della "vera filosofia" e perciò prodighi di "lamentele e false accuse contro i matematici e i filosofi più recenti" (ibid., p. 5) -; dall'altra l'innatismo platonico e cartesiano, cui oppone, seguendo da vicino Locke e Condillac, una radicale riduzione di conoscenza ed etica a percezione e istinto.
L'anticipazione dei temi dei manoscritti perduti si apre nel De studiis con un significativo omaggio all'insegnamento del Tosca. Discutendo i fondamenti epistemologici della matematica, l'E. polemizza quindi con gli autori moderni che compromettono il rigore e l'evidenza della disciplina nell'esasperata ricerca di nuove prospettive, come i numeri immaginari, dalla cui "malefica natura ... può conseguire qualsiasi cosa" (ibid., p. 310), o di contaminazioni metafisiche (come il tentativo di Chr. v. Wolff di fondare la matematica sui principi leibniziani). In quest'ottica l'E. approfondisce le sue vecchie obiezioni contro l'essenzialismo matematico, estendendo la polemica dall'ambito musicale a tutta la scienza newtoniana: la matematica non può dire nulla sulle cause degli eventi naturali e soltanto la sperimentazione può misurare la sua aderenza al reale. Nell'esposizione sistematica dei diversi campi della matematica, in polemica spesso vivace con autori contemporanei, soprattutto italiani (G. B. Nicolai, G. Calandrelli, P. M. Caldani), l'E. affronta i temi centrali del dibattito matematico della fine del Settecento: la mancanza di evidenza del quinto postulato di Euclide, la quadratura del cerchio, i fondamenti del calcolo infinitesimale (l'E. rifiuta sia l'approccio newtoniano sia quello leibniziano, proponendo un ritorno al tradizionale metodo dell'esaustione).
Nel 1795 l'E. pubblicò a Cesena Lo spirito del Machiavelli, un intervento molto polemico nel dibattito dedicato in quegli anni, in un clima di riscoperta e celebrazione, all'opera del segretario fiorentino. Tradotto a cura dello stesso E. (El espiritu de Maquiavelo, Valencia 1799, con l'aggiunta di un'introduzione e di due appendici: Sobre el valor militar en defensa de la religiòn christiana e Sobre la versión de Aristóteles de que se sirvió santo Tomás para comentar los libros de la Politica), in Spagna lo scritto fu proibito e sequestrato dall'Inquisizione il 25 apr. 1800.
Si tratta di uno studio breve ma importante, rivolto a confutare la dominante lettura di Machiavelli in chiave "repubblicana", riproposta in uno scritto di G. B. Baldelli Boni (Elogio di Niccolò Machiavelli, Londra 1794). Dopo un tentativo di liberare i gesuiti dall'accusa di aver fomentato la secolare denigrazione dell'opera machiavelliana - tentativo improbabile, ma significativo di una perdurante solidarietà con la disciolta Compagnia - l'E. affronta i due temi essenziali dell'interpretazione corrente: la lettura del Principe come indiretta rivelazione della perfidia dei tiranni e della sua esortazione finale come astuto impulso ad un'impresa rovinosa per casa Medici. L'E. insiste a lungo a dimostrare l'impossibilità testuale di questa lettura e ad illustrare invece il Principe come un trattato formalmente assimilabile ai modelli di Aristotele e s. Tommaso, ben lontano tuttavia nel contenuto dalla prudenza di questi: preoccupato di "ricavare le massime di politica da quello che si fa, lasciando indietro quello che si dovria fare" (p. 65), Machiavelli nel Principe - a differenza dei Discorsi, "una miniera inesausta della scienza politica" (p. 33) - si propone come "un maestro de' tiranni" (p. 53). A questa lettura invecchiata, che in effetti si richiamava esplicitamente all'interpretazione secentesca di H. Conring, si accompagnava però la notevole individuazione del tema su cui insisterà la critica romantica: il progetto, leggibile nel capitolo finale del Principe, dell'Italia unificata sotto una grande dinastia, liberata dagli eserciti stranieri e dal particolarismo delle fazioni e dei baroni, "giacché non altrimenti si sono consolidati gli altri regni dell'Europa" (p. 76).
Nel febbraio 1798, occupata Roma dai Francesi e proclamata la Repubblica Romana, l'E. tornò in patria godendo dell'amnistia concessa dal governo spagnolo ai gesuiti esiliati. Qui la recente traduzione dei suoi scritti di teoria musicale (Del origen y reglas de la música..., Madrid 1796; Duda ... sobre el "Ensayo fundamental ...", ibid. 1797, entrambi a cura di F. A. Gutiérrez) aveva suscitato accese polemiche da parte dei musicisti e dei trattatisti più conservatori: tra il 1796 e il 1797 il Diario de Madrid, il Memorial literario, il Diario de Barcelona avevano accolto, con alcune adesioni alle tesi dell'E., numerose indignate difese delle "verdaderas reglas", cui si aggiunsero negli anni seguenti vari opuscoli dello stesso genere. Nel periodo che trascorse a Valencia, fino alla nuova espulsione dei gesuiti decretata da Carlo IV nel 1801 l'E. andò meditando la propria replica nella forma di un romanzo satirico, la cui prima idea risaliva peraltro alle polemiche italiane. Terminò l'opera a Roma nel 1806, inviandola in Spagna per la pubblicazione, che però fu resa impossibile dalle vicende politiche del paese. Don Lazarillo Vizcardi. Sus investigaciones músicas con ocasión del concurso a un magisterio de capilla vacante fu pubblicato a Madrid, in due tomi, soltanto nel 1872-73, a cura di F. A. Barbieri.
In un ironico intreccio di vicende grottesche e digressioni erudite, gli aspiranti alla successione del de:ftmto maestro di cappella e gli altri personaggi fortemente tipizzati che affollano il racconto sono chiamati ad impersonare le idee estetiche già sostenute o avversate dall'autore nelle opere precedenti. La satira prende particolarmente di mira le stravaganze matematizzanti dei trattati di contrappunto allora più accreditati in Spagna, El melopeo y maestro di D.P. Cerone e l'Escuela música di P. Nasarre. Impersona le aberrazioni del pitagorismo musicale la bizzarra figura di un vecchio organista impazzito per l'eccessiva dedizione a quelle dottrine. In questo personaggio cosi come in molti luoghi e modi del romanzo (la biblioteca del musicista pazzo, le allucinazioni cui lo induce la follia, i giochi linguistici) è evidente l'allusione a Cervantes, sicché al momento della pubblicazione il Don Lazarillo fu letto come l'ennesima imitazione del Don Quijote, un genere ormai privo di fascino. Gli si riconoscevano d'altra parte l'arguzia e il garbo richiesti ad un romanzo picaresco, la comicità dei suoi tipi di canonici, organisti, cantori e aficionados e la notevole purezza e freschezza linguistica; ma non gli si perdonavano le intenzioni didattiche, ritenute fuor di luogo in un'opera di narrativa. Per questi giudizi, avvalorati dall'autorità del Menéndez Pelayo, il Don Lazarillo fu durevolmente dimenticato. Ad una lettura meno pregiudizialmente limitativa della giurisdizione consentita al romanzo tale sorte appare tuttavia immeritata. Le intenzioni didattiche, che si giovano argutamente della citazione di Cervantes per sottolineare la grottesca obsolescenza di dottrina e costumi, si innestano su un quadro assai animato della vita provinciale spagnola, borghese e popolare, ricco di invenzioni e di acume psicologico. Aggiunge vivacità, come ha rilevato il Fabbri, un originale ricorso agli schemi compositivi teatrali nella struttura del racconto e nell'uso dominante dei dialoghi. Per questi pregi letterari l'opera appare oggi, e sarebbe forse apparsa ai contemporanei, un veicolo efficace delle idee estetiche care all'autore, "un interessante esempio di come la passione per le idee nell'età dell'Illuminismo creasse forme artistiche adatte ad esprimerle" (Pollin, Toward..., p. 94).
L'Apologia de Miguel de Cervantes sobre los yerros que se le han notado en el Quixote, Madrid 1806, dedicata al ministro M. Godoy, conclude la produzione letteraria dell'Eximeno. In polemica con G. Mayans e V. de los Rios e in nome della irrinunciabile autonomia fantastica della fabula, è una puntuale, ironica difesa del capolavoro di Cervantes dalle accuse di anacronismi e altre incongruenze sollevate dalla critica erudita.
Morì a Roma il 9 luglio 1808.
L'elenco degli scritti dell'E., editi e inediti, compresi alcuni anonimi e pseudonimi di difficile attribuzione - tra i quali la traduzione italiana di un pamphIet antigesuitico di J. N. de Azara, Riflessioni... relative alla Congregazione generale ... sopra le virtù ... del ven. servo di Dio d. Giovanni Palafox, Firenze 1779 -, in J. E. de Uriarte, Catálogo razonado de obras anónimas y seudònimas de autores de la Compañia de Jesús pertenecientes a la antigua Asistencia española, II, Madrid 1904, pp. 153 s., 201; III, ibid. 1906, pp. 151, 405; IV, ibid. 1914, pp. 41 s., 351, 361, 555, 604; V, ibid. 1916, pp. 44 s.
J. E. de Uriarte-M. Lecina, Biblioteca de escritores de la Compañia de Jesús pertenecientes a la antigua Asistencia de España, II, Madrid 1929-30, pp. 543-548; F. Aguilar Piñal, Bibliografia de autores españoles del siglo XVIII, Madrid 1984, pp. 231-235. Vanno ricordate inoltre le recenti riprese antologiche Del origen y reglas de la música, a cura di F. Otero, Madrid 1978; Dell'origine e delle regole della musica..., in La musica degli antichi e la musica dei moderni, a cura di M. Garda - A. Jona - M. Titli, Milano 1989 [ma 1988], pp. 231-401.
Fonti e Bibl.: Per la biografia, molti documenti, compreso il carteggio dell'E. col Martini, in appendice a N. Otaño, El p. A. E., estudio de su personalidad a la luz de nuevos documentos, Madrid 1943, integrano il fondamentale Preliminar di F. A. Barbieri al Don Lazarillo, pp. V-LXI; cfr. inoltre Roma, Biblioteca Angelica, Archivio 8, Catalogo degli Arcadi, f. 50; Ibid., Atti arcadici 5, Custode Nivildo Amarinzio, f. 315; P. Montengón, Odas, Ferrara 1778, 1, pp. 45 ss.; S. Lampillas, Saggio storico-apologetico della letteratura spagnuola…, II, 2, Genova 1779, p. 383; F. Cerda, De Hispanis purioris latinitatis cultoribus, Matriti 1781, p. 137; Diario ordinario (Cracas), 29 maggio 1784, pp. 5 ss.; J. Andrés, Cartas familiares..., Madrid 1785, I, pp. 11, 155; II, pp. 80 s., 86, 90; J. Sempere Guarinos, Ensayo de una biblioteca española de los mejores escritores del reynado de Carlos III, III, Madrid 1786, pp. 5-11; R. Diosdado Caballero, Bibliothecae scriptorum S.I. supplementum primum, Romae 1814, pp. 7, 127 s.; El espíritu de d. J. N. de Azara, descubierto en su correspondencia..., I, Madrid 1846, p. X; P. Metastasio, Lettere, in Tutte le opere, a cura di B. Brunelli, V, Milano 1954, pp. 399-405. Per il dibattito coevo intorno alla teoria musicale dell'E. cfr. G. B. Martini, Esemplare o sia Saggio fondamentale pratico di contrappunto sopra il canto fermo, I, Bologna 1774, pp. VIII ss.; Efemeridi letterarie di Roma, III (1774), pp. 89 ss., 97 s., 105 ss., 113 s., 356 s.; IV (1775), pp. 321-324, 329 s., 337-340; Novelle letterarie (Firenze), XXX (1774), coll. 597-601, 616-620, 629-633, 644-647, 661-665, 694-699, 707-710, 787-792, 809-813, 821-827; Gazzetta letteraria (Milano), III (1774), pp. 171-175, 386; IV (1775), pp. 370-373; Esprit des journaux, IV (1775), pp. 84-97; V (1776), pp. 148-158; Journal des sçavans, 1775, coll. 356-363; V. 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