FALCHI, Antonio
Nacque a Sassari il 9 maggio 1879 in antica famiglia cittadina, da Giovan Battista e da Angelina Cicu.
Intrapresi gli studi universitari, si laureò nel 1901 presso la facoltà di giurisprudenza della sua città natale, discutendo una dissertazione dedicata alla filosofia giuridica e sociale epicurea. L'opera, data alle stampe l'anno successivo (Il pensiero giuridico d'Epicuro, Sassari 1902), fu molto apprezzata e venne citata da E. Zeller nella seconda edizione tedesca della sua storia della filosofia greca.
Il F. si proponeva di mettere in risalto l'importanza del pensiero giuridico del filosofo greco e il valore della tradizione epicurea nella filosofia del diritto e della politica. L'analisi storico-filosofica, condotta a partire dall'epicureismo romano e sviluppata lungo tutto l'arco della filosofia medievale e moderna fino a Bentham, si concludeva con l'affermazione della coincidenza tra l'indirizzo sociologico, allora molto diffuso nel campo degli studi filosofico-giuridici, e l'epicureismo: "Tutta la sociologia apparisce come il trionfo supremo dell'epicureismo" (affermava a p. 208).
Il relativo successo di questa prima opera, accompagnata da altri studi sul concetto scientifico di diritto naturale e di equità, schiuse al F. le porte di una brillante carriera universitaria. Nominato libero docente in filosofia del diritto con decreto del 31 dic. 1903, iniziò l'insegnamento (proseguito fino al 1909) come professore incaricato presso l'università di Perugia, tenendo una prolusione Sulla differenziazione del diritto dalla morale (in Annali della Facoltà di giurisprudenza dell'Università di Perugia, 1904). Furono anni di intensi studi storici e speculativi segnati dalla meditazione delle opere di Icilio Vanni, il positivista critico che fu sempre considerato dal F. suo grande maestro. Al Vanni il F. dedicò vari studi celebrativi e speculativi in cui, sulle orme del maestro, fece propri i riferimenti al criticismo kantiano e al sociologismo di Auguste Comte.
Accanto alle opere più spiccatamente teoretiche nacque negli anni di Perugia lo studio storico su Le moderne dottrine teocratiche (Torino 1908), nel quale, con una minuziosa analisi critica, dai monarcomachi a Lamennais, il F. scandaglia i sistemi di pensiero in cui viene affermata la sovranità di Dio sul mondo sociale.
L'uscita del volume fu accompagnata da una vivace polemica con A. Bonucci che in due articoli apparsi sulla Rivista italiana disociologia aveva attaccato le tesi del libro nonché l'orientamento filosofico del suo autore. Il F. replicò con decisione alle critiche, ritenute velenose e pedanti, riuscendo a guadagnarsi il plauso della maggior parte del mondo scientifico italiano.
Il libro sul teocratismo fu valutato positivamente anche nell'ambiente accademico e, affiancato dal volume consacrato a Le esigenze metafisiche della filosofia del diritto e il valore dell'apriori (Sassari 1910), gli valse il primo posto nel concorso per la cattedra di filosofia del diritto dell'università di Sassari, dove insegnò dal 1909 al 1915 ricoprendo anche le cariche di preside della facoltà di giurisprudenza e di prorettore.
L'attività scientifica che il F. proseguì nella sua città natale è documentata dagli studi sul pensiero giusfilosofico di S. Fragapane, sull'orientamento filosofico-morale della fisiocrazia, e soprattutto dall'importante saggio I fini dello Stato e la funzione del potere (ibid. 1913), che suscitò vasto interesse per la concezione dello Stato come collettività e che venne ricordato da V. E. Orlando nell'introduzione alla Dottrina dello Stato di G. Jellinek (Milano 1921).
Nel 1918 il F. passò all'università di Parma. L'anno successivo, in occasione dell'inaugurazione dell'anno accademico tenne un discorso sulla filosofia dell'arte deplorando la trascuratezza degli studi estetici nelle facoltà di lettere (L'orientamento dell'estetica e i suoi problemi costitutivi, Parma 1920).
Il F., desideroso di porre anche per l'arte il problema deontologico, polemizza tanto con l'indirizzo positivista e lombrosiano in estetica, quanto con l'idealismo di Croce che avrebbe negato valore estetico all'attività della estrinsecazione artistica (in termini crociani: "comunicazione"), e limitato l'idea di artisticità all'attività interna di traduzione delle impressioni e del sentimento in rappresentazioni (per Croce: "espressione"). Contro il positivismo e lo spiritualismo estetici il F., cui entrambi gli indirizzi appaiono riduttivi, propone una "visione integrale della realtà artistica, delle manifestazioni esteriori del genio creativo e critico e dell'attività spirituale insieme" (p. 36).
Dopo aver insegnato a Parma per un quinquennio, nel 1923 il F. si trasferì per un breve periodo all'università di Cagliari dove, nei suoi corsi di lezioni, condusse un'attenta analisi dei rapporti tra teoria generale del diritto e filosofia giuridica.
Nel 1925, chiamato all'unanimità dai suoi colleghi, raggiunse la sede definitiva di Genova, ricoprendo dal 1928 al 1935 la carica di preside della facoltà giuridica. Notevole nel primo decennio genovese del F. fu la redazione di lezioni per gli studenti, e non solo nel campo della filosofia giuridica. Accanto alle Lezioni di filosofia del diritto (Genova 1929-1930) apparvero, litografate, Lezioni di diritto processuale (ibid. 1927, 1933, 1936) e Lezioni di diritto penale (ibid. 1931) che rivelano, oltre alla vastità di interessi del F., anche la sua grande capacità di penetrare negli aspetti più tecnici del fenomeno giuridico.
Nello stesso periodo il F. prese parte all'ampio dibattito suscitato nel mondo accademico e giuridico dal progetto del nuovo codice penale con uno scritto sul concetto di imputabilità (L'orientamento del progetto Rocco e il concetto di imputabilità, in Studi filosofico-giuridici dedicati a Giorgio Del Vecchio, Modena 1930, I, pp. 204-229), e fissò in due brevi ed incisivi saggi le sue tesi in ordine alla natura del diritto e dello Stato (La giuridicità della volizione statale e il concetto di diritto, in Lo Stato, II [1931]; La realtà dello Stato, in Archivio di studi corporativi, III [1932]).
In entrambi gli scritti affermò la necessaria statualità del diritto e correlativamente la giuridicità di ogni volizione statale, essendo il diritto mera forma della sua volizione. Se per questa concezione il F. si accosta alle tesi di H. Kelsen, la sua idea della "realtà" dello Stato lo distanzia dal formalismo giuridico kelseniano. Contro la riduzione dello Stato a mero ordinamento giuridico, e quindi a complesso di norme e di rapporti, il F. afferma la realtà dello Stato inteso come collettività da cui ogni potere ed ogni struttura trae la sua origine e la sua durata. "Lo Stato come organizzata universalità dei cittadini è soggetto originario della totalità dei poteri, solo vero sovrano, onnipotente ed incoercibile; mentre organi e persone - anche quelli che normalmente ne esprimono le volizioni - sono soggetti, non meno dei sudditi, alla sua volontà" (La realtà dello Stato, p. 25).
Mentre la serie di dispense dei suoi corsi si arricchiva di due volumi, di cui uno dedicato alla storia del pensiero politico greco (Storia delle dottrine politiche. Introduzione. Il pensiero greco, Padova 1933) e l'altro alla procedura civile (Lezioni, di procedura civile per la facoltà giurisprudenza, Genova 1937), negli anni dal 1935 al 1940 apparvero su Il Lavoro e Il Movimento letterario molti degli scritti letterari del F., brevi saggi critici ed esperimenti poetici, alcuni dei quali firmati con lo pseudonimo "Tino Campi".
Del 1940 è l'importante saggio che ha per tema il Significato sociologico del pensiero di Vico (in Bollett. dell'Istit. Di filosofia del diritto della R. Università di Roma, I, fasc. 3 e 4), in cui il F. estende all'intero idealismo quella polemica già iniziata contro il Croce nel suo discorso sull'estetica.
Ritiene un grave danno per il Vico (uno degli autori che al F. furono più cari) l'aver avuto i maggiori ed avvertiti interpreti tutti nella scuola neohegeliana (De Sanctis, Spaventa, Croce, Gentile) i quali, "come spesso accade ai forti pensatori", prestarono il loro sistema al filosofo studiato. Per il F. Vico non è né un filosofo dell'immanenza, né un metafisico della mente. È il primo vero sociologo dell'età moderna. La storia che il Vico offre non è la "storia vivente dello spirito", come pensava Croce, ma la scienza empirica dell'uomo e della società, una "fenomenologia sociologica" integrata da una gnoseologia e da una ontologia.
Nel 1941 apparve Filosofia propedeutica. Introduzione alle filosofie particolari (Torino), in cui sono racchiusi i frutti più maturi della riflessione filosofica del F., giunto con questo al suo ultimo volume di grande respiro.
Con lo scoppio della guerra i suoi rapporti con il fascismo, già difficili, subirono un ulteriore peggioramento. Il F., che il 24 maggio 1940 aveva tenuto una coraggiosa lezione pubblica sui pericoli dell'entrata in guerra, soffrì, dopo l'inizio delle ostilità, persecuzioni ed arresti e nel maggio 1942 fu implicato nel grosso processo contro quarantaquattro professori universitari per aver manifestato per la libertà insieme con numerosi colleghi. Dal processo uscì indenne grazie all'intervento del suo ex discepolo, il ministro C. A. Biggini, al quale il F. dedicherà parole commosse nella prefazione alla sua ultima importante raccolta di saggi (Lo Stato collettività, Milano 1963).
Dopo un silenzio di due anni pubblicò nel 1945 una serie di articoli di orientamento sul settimanale politico genovese Movimento, utilizzando a volte lo pseudonimo "Socrate". Del 1946-47 sono invece gli articoli politici apparsi su Il Secolo liberale, la Tribuna del popolo e il Corriere del popolo.
Sempre nel 1945 riassunse la carica di preside della facoltà di giurisprudenza che mantenne fino al 1954 promovendo frattanto l'istituzione a Genova del corso di laurea in scienze politiche, l'organizzazione della biblioteca e dell'istituto di esercitazioni giuridiche. Divenuto emerito, fu insignito della medaglia d'oro al merito della cultura, della storia, dell'arte.Già ottantaduenne, negli ultimi anni di vita intensificò il suo lavoro, coronato dalla pubblicazione del cit. volume di saggi Lo Stato collettività (Milano 1963) che chiude il lungo ciclo del suo pensiero. Il F. morì a Genova il 16 febbr. 1963.
Fonti e Bibl.: Necrol. in Annali della Facoltà di giurisprudenza dell'Università di Genova, 1963, pp. 3 ss.; in Rivista intern. di filosofia del diritto, XI, (1963), pp. 24° ss.; T.A. Castiglia, Commemorazione di A. F., ibid., XLI (1964), pp. 13 ss.; A. Piola, Ricordo di A. F. uomo, studioso, maestro, in Scritti in memoria di A. F., Milano 1964, pp. 7-11; R. Orecchia, La filosofia del diritto nelle università italiane, Milano 1967, pp. 236-241, 452, 454, 457 ss.; Id., Maestri italiani di filosofia del diritto del secolo XX, Roma 1978, pp. 77-80.