FEDERIGHI, Antonio
Figlio di Federigo, nacque probabilmente a Siena agli inizi del terzo decennio dei sec. XV. Pochissimo si sa sulla sua formazione artistica, quasi certamente ricevuta nell'ambito dell'Opera, del duomo senese tra il 1435 e il 1438, negli anni in cui Iacopo della Quercia era "operaio" dell'Opera stessa; la diretta dipendenza da Iacopo, tuttavia, è documentata soltanto per la durata di un mese nel 1438 (Richter, 1985, p. 12). Il F. avrebbe lavorato sotto la direzione dei più anziano maestro nella cappella del cardinale Antonio Casini - demolita nel 1645 -, di cui oggi rimane soltanto una lunetta mutila conservata nel Museo dell'Opera del duomo. Appare comunque assai difficile poter identificare la mano del F. in questa o m altre opere tarde del maestro. La lezione quercesca, pervenuta al giovane artista anche attraverso la testimonianza delle ultime opere compiute a Siena da lacopo, risulta comunque il punto di partenza per la fonnazione del linguaggio artistico del F., ritenuto "il più geniale interprete" del grande scultore senese, nonché il tramite fra questo e Michelangelo (E. Caratti [R. Longhi], 1926, p. 96).
La prima notizia certa sul F. risale al 1438, quando è registrato per la prima volta nei libri contabili dell'Opera del duomo di Siena in qualità di garzone; vi figura regolarmente negli anni su'ecessivi sino a giungere nel 1444, attraverso progressivi aumenti di stipendio, a consolidare la propria posizione come maestro autonomo (Paoletti, 1975, p. 88).
La sua attività iniziale documentata riguarda opere di scalpello e di intarsio marmoreo. Nel 1444 operò come scalpellino nella cappella di S. Ansano in Castelvecchio, dove lavoravano, tra gli altri, Pietro del Minella e altri artisti che erano stati, come lui, aiuti di Iacopo della Quercia. In questa impresa, alla quale certamente partecipò come decoratore, il F. ebbe forse anche una parte direttiva nella realizzazione architettonica delle finestre, che rivelano una precoce impostazione rinascimentale nel ricorso al modulo quadrato, elemento che comparirà anche nel palazzo Bandini-Piccolomini, pure attribuito all'artista con una datazione più tarda, intorno al 1465 (Mantura, 1968, pp. 98, 101, 109 ; Paoletti, 1975, p. 94; attribuzione respinta da Fiore, 1994, p. 62). Sarebbe invece da escludere una sua partecipazione all'opera architettonica dei "palazzo dei diavoli" (Milanesi, I, 1854, p. 436; B. Mantura, Sulla paternità della cappella e del palazzo dei diavoli a Siena, in Commentari, XIX[1968], 4, pp. 259 s.). Quella di Castelvecchio sarebbe così la prima opera architettonica pervenutaci in cui già emerge il gusto per l'antico; vi compare inoltre un sistema di incorniciatura delle aperture, fiancheggiate da lesene decorate sorreggenti una trabeazione, molto simile al tipo di incorniciatura che il F. utilizzerà più tardi nel bancone della loggia di S. Paolo. Tra il 1445 e il 1446 lavorò, sempre come scalpellino, alla lastra tombale del vescovo C. Bartoli, nel duomo di Siena, alla cui supervisione era preposto Pietro del Minella (Paoletti, 1975, p. 94). La notizia dell'acquisto da parte del F., nel 1446, di disegni venduti dalla moglie di Paolo di Martino (un intarsiatore attivo nei lavori per il pavimento del duomo) conferma la sua partecipazione ad opere di intaglio, forse come esecutore di disegni altrui (ibid.).
Nei primi mesi del 1448 si trovava a Roma, dove certamente ebbe modo di conoscere da vicino numerose testimonianze del mondo antico e di avere contatti con artisti che di quel mondo offrivano una nuova e moderna lettura: il recupero dell'antichità sarà infatti una delle componenti più esplicite nella produzione federighiana (Richter, 1985, pp. 15 s.). Sempre nel 1448 acquistò una porzione di casa in via delle Donzelle (comprò la parte restante nel 1461) e qui abitò con la propria famiglia fino alla morte (ibid., p. 16). L'affennazione del F. all'interno dell'ambiente artistico senese ebbe una prima significativa tappa d'arrivo con la nomina, nel 1450, di capomastro dell'Opera del duomo, data in cui aveva certamente presso di sé un garzone tedesco chiamato Vito di Marco (Paoletti, 1975, p. 94; Richter, 1985, p. 16). Probabilmente il pavimento e la scalinata esterna del duomo e di S. Giovanni sono tra i primi lavori diretti dal F., che supervisionava l'operato di almeno quattro apprendisti (Paoletti, 1975, p. 94).
Nello stesso anno 1450 il F. "voleva andare a Roma" (Memoriale di Marchione d'Agostino, cit. in Paoletti, 1975, p. 115), ma non si sa con certezza se egli abbia lasciato Siena per questo secondo viaggio romano in occasione del giubileo, mentre è certa la sua partenza nell'autunno del 1451, quando si stabilì ad Orvieto in qualità di capomastro della cattedrale, accompagnato da Vito di Marco che fu suo socio a partire dal 1478 (Richter, 1985, pp. 16 s.). La scelta di trasferirsi ad Orvieto risulta abbastanza inspiegabile se si considera che nello stesso anno fl F. ricevette altre commissioni di prestigio dall'Opera del duomo senese e che l'incarico orvietano lo avrebbe invece vincolato a non eseguire altri lavori al di fuori della carica assegnatagli. Nel maggio del 1451, infatti, gli fu chiesto di fare il disegno delle tarsie mannoree dei pavimento antistante al portale centrale di S. Giovanni raffigurante una scena di Battesimo, ora in pessime condizioni; inoltre gli fu assegnata l'esecuzione di tre statue in marmo, a grandezza naturale, destinate alla loggia di S. Paolo (Paoletti, 1975, p. 94), commissione che già era stata affidata a Iacopo della Quercia nel 1434 e da questo mai portata a termine.
Il F. mantenne la carica ad Orvieto fino a tutto il 1456, interrompendo la sua permanenza in città soltanto per approvvigionarsi di marmo a Carrara e per visitare Corneto (attuale Tarquinia; Richter, 1985, p. 18), mentre appaiono ancora piuttosto incerte altre ipotesi di ulteriori viaggi intrapresi dall'artista in questi anni: un ipotetico viaggio a Firenze sarebbe stato compiuto nel 1455, o anche prima, e se ne avrebbe testimonianza in alcune opere attribuitegli proprio sulla base di un evidente recupero di cultura fiorentina: un busto di S. Miniato in stucco e cartapesta della chiesa fiorentina di S. Miniato e due Madonne col Bambino in stucco, una conservata alla National Gallery di Washington e l'altra già al Kaiser-Friedrich-Museum di Berlino, oggi perduta (Del Bravo, 1970, pp. 74 s.).
Per il duomo di Orvieto, inoltre, il F. avrebbe realizzato un'acquasantiera, per lo più ritenuta opera autografa, e una Sibilla che sormonta l'estremità sinistra della facciata del duomo, come recita un documento d'archivio dell'11 sett. 1456: "figura marmorea de novo facta per magistrum. Antoniuni Caputmagistrum in angulo facciate" (Arch. dell'Opera del duomo di Orvieto, Libro del camerlingo, 1449-1460, cit. in Paoletti, 1975, p. 119), opera che per qualità e stile è stata anche ritenuta dello stesso Iacopo della Quercia (A. Banti, Una Sibilla del duomo di Orvieto, in Paragone, IV [1953], 39, pp. 39 s.).
Agli inizi del 1457 il F. fece ritorno a Siena, riacquistando la carica di capomastro nell'ottobre del 1458 (Paoletti, 1975, p. 96), carica che ricoprì ininterrottamente fino alla fine del 1480 (Richter, 1985, p. 30). Il 30 gennaio stipulò un secondo contratto per le statue della loggia di S. Paolo, e questa volta si impegnò a realizzarne quattro (Paoletti, 1975, p. 96). Risale probabilmente a questa data la sua lunga e profonda amicizia con Cristoforo Felici, divenuto "operaio" della cattedrale in quello stesso anno, testimoniata dal fatto che il F. fu in più occasioni coinvolto in affari riguardanti l'amico (Richter, 1985, pp. 19 s.). Mentre il F. aveva finalmente iniziato a lavorare per le statue della loggia (mettendo mano per prima a quella di S. Pietro, per la quale gli furono corrisposte 272 lire) il progetto per quella decorazione scultorea subì dei cambiamenti che si rivelarono per lui sfavorevoli (Paoletti, 1975, p. 96). Nel luglio del 1458 al F. e ad Urbano da Cortona, già ingaggiati dall'Opera del duomo, si aggiunsero Donatello, giunto da poco a Siena, e il Vecchietta: Donatello avrebbe dovuto realizzare un S. Bernardino - che non fu mai eseguito - mentre il Vecchietta si impegnò a fare la figura di S. Paolo, già commissionata al F. (Richter, 1985, pp. 21 s.).
Entro l'aprile del 1459 il F. aveva terminato una seconda statua, raffigurante S. Ansano, uno dei patroni della città, ed è questa l'ultima volta che il suo nome appare nei documenti riguardanti la loggia (Richter, 1985, p. 23). Tuttavia, gli vengono generalmente attribuiti, sebbene non se ne abbia prova nei documenti d'archivio, anche il S. Vittore ed il S. Savinio. Ulteriori cambiamenti di programma fecero sì che nel 1460 il Vecchietta venisse incaricato di realizzare anche una statua di S. Pietro, che andò a sostituire quella del F., probabilmente nel 1462, ma non sono noti i motivi di questo cambiamento (Paoletti, 1975, pp. 101 s.). Il S. Pietro già scolpito dal F. - che risultava collocato nella sua nicchia nel marzo del 1459 - è identificabile con quello ora conservato nel Museo dell'Opera del duomo (già collocato nella facciata della cattedrale: cfr. Hansen, 1987, pp. 64 ss.).
L'inevitabile confronto tra le due figure del F. (S. Ansano e S. Vittore) e quelle del Vecchietta (S. Pietro e S. Paolo) chiarisce come i due senesi avessero imboccato strade sostanzialmente distanti: il F., ispirato dalle possenti figure quercesche, sceglieva la via della classicità rievocata nei nasi sottili e nelle espressioni pacate dei volti; il Vecchietta, più proiettato verso lo stile di Donatello, ne interpretava la bruciante religiosità, scolpendo fisionomie fortemente caratterizzate (Richter, 1985).
Al F. spetta pure la realizzazione di uno dei due sedili marmorei (il secondo fu eseguito da Urbano da Cortona), cioè quello che si trova a destra dell'ingresso della stessa loggia, eseguito probabilmente tra il 1459 e il 1464 (Richter, 1985, pp. 47 s.).
Sebbene non documentata, quest'opera è tradizionalmente attribuita al F. e un pagamento dell'11 luglio 1459 per cinque pezzi di marmo di Carrara ne darebbe conferma (ibid.). Il sedile è infatti decorato a riquadri e precisamente cinque sul fronte con le immagini di eroi romani seduti e rivolti verso il centro e cinque, sul retro, in cui sono rappresentati scudi inquadrati da ghirlande e al centro la Lupa che allatta Romolo e Remo, simbolo della città. In questo lavoro il ruolo del F. fu probabilmente limitato alla fase progettuale, mentre per quella esecutiva si avvalse di collaboratori (Richter, 1985, p. 53; cfr. anche Lucarelli, 1985).
Le sculture realizzate dall'artista per la loggia di S. Paolo risultano di capitale importanza non solo per il prestigio della commissione ma anche in quanto sono la sola testimonianza di opere a tutto tondo riferibili con certezza al F. e costituiscono pertanto l'unico solido appiglio per la ricostruzione del suo percorso stilistico, resa possibile, per ora, soltanto dal confronto con queste opere. Benché la carica di capomastro e la commissione per la loggia presuppongano un'attività precedente, per quanto riguarda sculture a tutto tondo non si hanno fino ad oggi testimonianze di lavori documentati in questa prima fase di attività dell'artista. Sono così finite nel catalogo iniziale del F. una serie di opere, spesso disomogenee tra loro e con attribuzioni oscillanti tra i vari artisti a lui coevi, unite quasi sempre dal solo evidente legame con l'attività tarda di Iacopo della Quercia. Tra queste le più significative sono alcune statue lignee raffiguranti i Ss. Ambrogio ed Antonio (Bacci, 1938) ed un S. Nicola (De Nicola, 1907, p. 588) nel palazzo pubblico di Siena e un gruppo raffigurante l'Annunciazione (Pinacoteca di Siena), derivante dall'Annunciazione di Iacopo della Quercia nella collegiata di San Gimignano, datato 1421 (A. Bagnoli, in Iacopo della Quercia..., 1975, pp. 294 s.; ma vedi anche Scultura dipinta, 1987).
Ancor più incerta è l'attribuzione di un altro nucleo di opere riferite a questa prima fase: una Madonna col Bambino al Louvre; un complesso di cinque statue raffiguranti una Madonna col Bambino e santi della chiesa senese di S. Martino e due Madonne col Bambino in stucco, conservate al Museo Bardini ed alla Fondazione Romano di Firenze (Del Bravo, 1970, pp. 71-76). Tutte opere per le quali sono state proposte datazioni diverse, che non vanno oltre il sesto decennio.
Nell'aprile del 1459 è registrato un pagamento per una tarsia marmorea del pavimento del duomo, realizzata probabilmente nel 1457-1458, raffigurante la parabola del Cieco che guida il cieco, oggi in condizioni rovinose, i cui resti si conservano nel Museo dell'Opera del duomo, (Aronow, 1985, pp. 182 s.). Nel corso del settimo decennio il F. compare più volte nei documenti d'archivio per lavori non precisati o per semplici acquisti di marmo. Le imprese che dovettero impegnarlo maggiormente sono di tipo architettonico e manifestano un crescente interesse verso l'antichità. Frequenti sono le citazioni dall'antico inserite in un ricco ed erudito repertorio iconografico e decorativo non privo di significati ermetici ed alchemici, espressione di una piena padronanza della cultura rinascimentale praticata nei più raffinati ambienti umanistici (pozzetto per l'acqua santa in S. Giovanni; un piedistallo all'ingresso della cappella di S. Giovanni in duomo; due Geni portascudo nel Museo dell'Opera del duomo; il cosiddetto Bacco d'Elei del Monte dei Paschi di Siena e due acquasantiere del duomo). Questo gusto antichizzante sembra essere peraltro la cifra acquisita dai suoi collaboratori e largamente irradiata, fin oltre gli inizi del nuovo secolo, in opere di scultura e d'architettura informate a tale stile e sparse nel territorio di diffusione della cultura senese.
Secondo la tradizione, dal 1460 il F. avrebbe lavorato al coronamento della trecentesca cappella di piazza del Campo, compiuta soltanto nel 1468 (Carli, 1980, p. 41), con richiami al tempio di Antonino e Faustina a Roma (R. Bartalini, in Francesco di Giorgio..., 1993, p. 99), mentre a partire dal 1461 sono registrati i pagamenti per la costruzione della loggia del Papa, commissionatagli probabilmente l'anno prima da Pio II Piccolomini e terminata entro l'ottobre 1463 (Id., ibid., p. 102). È possibile che l'artista si sia recato a Roma agli inizi degli anni Sessanta, per sottoporre al papa le sue idee sulla loggia appena commissionatagli, e ciò spiegherebbe, almeno in parte, l'evidente cambiamento di stile operato dal F., ormai rivolto ad un pronunciato gusto archeologico ed antichizzante (Del Bravo, 1970, p. 80; Carli, 1980, p. 41). A questa data possono essere riferite due scene raffiguranti S. Paolo in catene e Tre ufficiali romani, facenti parte del tabernacolo di Sisto IV nelle Grotte vaticane, eseguiti per volontà di Pio II (Richter, 1985, pp. 80-83). Il F. era infatti favorito dal pontefice, ma i suoi rapporti con la famiglia Piccolomini erano stati stabiliti sicuramente in precedenza poiché, appena salito al soglio pontificio nel 1458, Pio II lo aveva nominato suo architetto a Siena (Richter, 1985, pp. 14 s., 24). Intorno al 1459 il F. ristrutturò alcuni ambienti del convento di S. Francesco e realizzò nell'omonima chiesa la tomba dei genitori del papa, Vittoria Forteguerri e SilvioPiccolomini, gravemente danneggiata da un incendio il 24 ag. 1655 (Carli, 1966, pp. 59 s.).
Il monumento fu ricomposto alla fine del '600, e ne rimangono murate e tutt'oggi visibili due conchiglie contenenti i ritratti della madre e del padre di Pio II (ibid.). Questi, già attribuiti a Francesco di Giorgio Martini, non sono sembrati tuttavia identificabili con quelli originali scolpiti dal F., in quanto non recano tracce di combustione, ma sarebbero una copia secentesca fedele al modello, forse ancora esistente all'epoca, come denuncia in alcuni punti un certo modo di panneggiare (ibid.; sono invece considerati originali da Gentilini, 1989, p. 74).
Una prova dell'abilità del F. come ritrattista sarebbe riscontrabile in un busto, conservato nella chiesa di S. Benedetto in Polirone, in provincia di Mantova, raffigurante Pio II, fatto eseguire dall'abate di S. Benedetto per commemorare la visita compiuta dal papa in quel monastero nel 1460 (Richter, 1985, pp. 86 s.). Per i Piccolomini realizzò pure il progetto di un palazzo a Siena, di cui si fa cenno in un documento del 1463 (Paoletti, 1975, p. 96).
Nello stesso anno il F. ricevette pagamenti per lavori non precisati fatti per conto del Comune di Monte Rossoli ed effettuò la vendita di una proprietà, nel cui atto notarile compare il nome della moglie Ravignana Ranuccini, figlia di un orafo senese (Richter, 1985, pp. 25 s.). È questa una delle poche laconiche informazioni che riguardano la sua vita privata; si ha infatti soltanto notizia della morte della madre nel 1465 e di un fratello di nome Bartolomeo, citato incidentalmente nel 1439 e nel 1451, attraverso i registri contabili dell'Opera del duomo (Paoletti, 1975, p. 92). Praticamente sconosciute sono le origini della sua famiglia che taluni ritengono legata ai Tolomei.
Tale rapporto con la nobile famiglia senese non è in realtà documentato se non indirettamente per via di una causa intrapresa da Mino Tolomei nei confronti del F. (Richter, 1985, p. 27). L'oggetto del contendere era il pagamento di una casa data in affitto all'artista per un anno, che si trovava appunto vicino al palazzo Tolomei (ibid.).
I figli del F. furono probabilmente quattro: Aurelio, nato nel 1469; Federigo, che portava il nome del nonno, nato nel 1473; Ortensio, morto probabilmente in tenera età, e Giulia, citata soltanto una volta nel 1493 (ibid., pp. 26 s.).
Nel 1475 il F. fu incaricato di disegnare un'altra storia ad intarsio per il pavimento del duomo, raffigurante Le sette età dell'uomo, rifatta tra il 1869 e il 1878 da L. Maccari e G. Radicchi (l'originale, assai rovinato, fu trasferito nel Museo dell'Opera del duomo; Carli, 1979, p. 151). Gli venne poi affidata l'esecuzione di un pannello, raffigurante la SibillaEritrea, nel 1481, quando gli era già succeduto nella carica di capomastro Giovanni di Stefano, fratello del pittore Sassetta, subentrato a lui dopo che nel 1480 si era insediato il nuovo operaio Alberto Aringhieri (Richter, 1985, pp. 30 s.). Per quest'ultimo pannello, molto rovinato e con rifacimenti ma firmato sulla base dei leggio, il F. continuò a ricevere pagamenti fino all'anno successivo (ibid., p. 31). Le cattive condizioni di salute, che negli ultimi anni lo avevano costretto a prolungate assenze dal lavoro, non gli consentirono probabilmente di continuare la propria attività.
Morì a Siena il 15 genn. 1483 e fu sepolto nella chiesa di S. Francesco, accanto alla cappella Piccolomini (ibid.).
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