FEDI, Antonio
Nacque a Firenze nel 1771 da Antonio, incisore, disegnatore e collezionista.
Il padre Antonio fu attivo a Firenze nella seconda metà del XVIII secolo; della sua produzione come incisore si conoscono due serie di stampe intitolate Bassorilievi in bronzo (1781) e Gruppi in marmo (c. 1785); suoi sono inoltre i disegni delle illustrazioni al volume dell'abate G. Buganza, Libro delle poesie latine (Firenze 1786), incise da C. Colombini e G. Vascellini. Partecipò anche all'Etruria pittrice di M. Lastri, edita tra il 1791 ed il 1795 da N. Pagni e G. Bardi, con la riproduzione della Battaglia di Anghiari di Leonardo incisa da M. Carboni (n. 29) e con l'incisione di un quadro di F. Granacci con la Vergine e s. Tommaso (n. 33). Tre suoi disegni, raffiguranti paesaggi della pianura Padana e datati al 1788, furono pubblicati da Beltramelli (1905).
Il F. fu avviato dal padre alla professione artistica e la sua formazione si svolse nell'ambito dell'Accademia di belle arti di Firenze, dove, il 13 febbr. 1795, fu ammesso a studiare disegno presso la cattedra di ornato. Non esiste documentazio ne relativa al primo periodo della sua attività artistica, ma si hanno soltanto alcune notizie biografiche. Secondo il Marmottan (1901), il F. fu scelto insieme con Pietro Benvenuti e con Jean-Baptiste Wicar nel 1797 per inventariare sessanta capolavori della Galleria Palatina, che il granduca Ferdinando III aveva deciso di allontanare da Firenze in vista della imminente guerra con la Francia.
In realtà il Wicar (come testimoniano le principali fonti biografiche) in quegli anni era membro della Commission des arts et sciences e si trovava in Italia per la scelta e la requisizione delle opere d'arte da inviare al Musée central di Parigi; le sessanta opere, infatti, nel 1799, dopo l'occupazione francese di Firenze, furono spedite in Francia. Non dovette aver un ruolo in questa vicenda invece il Benvenuti, che in quegli anni si trovava non a Firenze ma a Roma e che personalmente, nel 1815, si Occupò del recupero delle opere d'arte fiorentine sequestrate dai Francesi.
I rapporti tra Wicar e il F. si guastarono presto, poiché quest'ultimo, nel 1799. riuscì ad acquistare sottobanco la preziosa collezione di disegni di Raffaello e Michelangelo che il pittore francese, dovendo abbandonare in fretta Firenze, aveva lasciato in custodia a un amico.
Al Wicar, una volta tornato in città, fu fatto credere che i disegni fossero andati distrutti in un incendio, ma quando scoprì che erano in possesso del F. ne riacquistò una parte tramite due intermediari. Il resto della collezione fu venduto dal F., negli anni Venti dell'Ottocento, al pittore mercante W. Y. Ottley ed oggi si trova conservato presso l'università di Oxford insieme con una seconda raccolta di disegni, realizzata successivamente da Wicar e venduta nel 1823 all'inglese Woodburn.
Queste vicende non furono comunque di intralcio alla carriera del F., che doveva essere molto attivo ed apprezzato a Firenze come "pittore, paesista e figurista", secondo la definizione che lo qualifica nella nomina ad accademico professore in pittura presso l'Accademia di belle arti, avvenuta il 12 apr. 1802 (Firenze, Arch. dell'Accademia di belle arti, filza H, n. 113). Negli anni seguenti è ricordato spesso nei documenti dell'Accademia. Nel 1803 e nel 1804 fu tra i professori scelti per assistere agli scrutini dei concorsi; il 30 giugno del 1808 firmò, insieme con A. Meucci e P. Benvenuti, la proposta della nomina a professore di G. Collignon e sempre nel 1808 partecipò all'adunanza del corpo accademico per gli scrutini delle prove di studio degli studenti.
La sua prima opera documentata è quella realizzata tra il 1813 ed il 1815 in palazzo Strozzi di Mantova a Firenze. Il F. affrescò l'anticamera al pianterreno con Storie di Psiche e la sala da pranzo al piano nobile con episodi della vita di Numa Pompilio, in parte oggi scialbati.
La sua pittura, non particolarmente originale, interpreta in senso decorativo la lezione del classicismo mitologico tratta dall'opera di Benvenuti, il quale, a Firenze dal 1804 come direttore dell'Accademia di belle arti, fu il punto di riferimento del mondo artistico fiorentino in quegli anni.
La provata esperienza del F. nella decorazione murale dovette valergli l'inserimento nel gruppo degli artisti chiamati a decorare i nuovi appartamenti imperiali voluti da Elisa Bonaparte Baciocchi al primo piano di palazzo Pitti. Sotto la direzione di L. Sabatelli e P. Benvenuti furono riuniti per questa impresa i migliori artisti italiani attivi in quel momento a Firenze, per la maggior parte toscani appartenenti al milieu dell'Accademia. Nel 1812 fu nominata una apposita commissione (di cui fece parte anche A. Canova) per stabilire i soggetti delle pitture e tra il 1812 e il 1813 furono inviate a Parigi ben quattro liste di temi pittorici. Secondo il primo progetto (maggio 1812) il F. avrebbe dovuto decorare il primo salone dell'imperatrice Maria Luisa (oggi sala delle Allegorie) con la scena di Teti che chiede a Giove vendetta per la morte del figlio Achille. Caduto questo progetto, poiché fu deciso di mantenere gli affreschi realizzati dal Volterrano, al F. venne affidato il "salon de famille", in cui avrebbe dovuto affrescare IlGenio di Francia indica i mesi dell'anno attraverso le vittorie di Napoleone, per il quale inviò anche un disegno a Parigi nel giugno del 1813, giudicato "agréablement composé" (Arizzoli-Clementel, 1979, p. 307). L'attuazione del programma fu interrotta dalle vicende politiche che segnarono la fine dell'Impero napoleonico.
Il granduca Ferdinando III, rientrato a Firenze nel 1814, decise di continuare la decorazione di palazzo Pitti, confermando i contratti già stipulati. Ovviamente i temi decorativi più apertamente legati al passato regime furono sostituiti con argomenti allusivi al buon governo della casa di Lorena e del regno di Ferdinando. Il "salon de farmille", affidato al F., si trasformò così in "sala della Giustizia", dove l'artista dipinse, nello specchio centrale della volta, La Giustizia tra Mercurio e la Pace e, più in basso, quattro fregi a chiaroscuro relativi al tema principale.
Negli stessi anni si compiva a Lucca la ristrutturazione del palazzo ducale, voluta dalla nuova regnante Maria Luisa di Borbone. Tra il 1818 e il 1819 l'architetto L. Nottolini completò i lavori architettonici e contemporaneamente si realizzarono anche le decorazioni, ultimate nel 1820. Il gruppo di artisti impiegato fu per la maggior parte lo stesso della reggia di Pitti e tra questi ci fu il F., il quale dipinse a fresco il soffitto della sala da caffè con Ebe porge l'ambrosia a Giove e quello della sala dei ciambellani nell'appartamento del re con le Nozze di Bacco. Partecipò anche alla decorazione della cupola inserita all'interno della galleria del piano nobile, fornendo le figure che animano i trompe-l'oeil di G. Bargioni.
Lo stile del F., come emerge dalle opere realizzate a Firenze e a Lucca, si caratterizza per una pittura fluida e discorsiva, più attenta alla definizione delle luci e dei toni tenui dei colori che alla saldezza dell'impianto delle figure utilizzate come puri elementi decorativi; uno stile a cui corrisponde una interpretazione in chiave di leggera evasione dei soggetti classici. Il F. si inserisce in quella tendenza artistica operante a Firenze tra il secondo e il terzo decennio del secolo volta ad esaltare il carattere decorativo, sfarzoso e brillante della pittura.
L'ultimo impegno del F. è nella decorazione dell'antico palazzo Salviati a Firenze che il principe Camillo Borghese fece ristrutturare dall'architetto G. Baccani nell'arco di sei mesi, tra il 1821eil 1822.
Il F. dipinse il soffitto del salotto giallo con il tema di Venere in atto dipresentare il figlio Amore a Giove, tutt'oggi visibile, e quello del saloncino con Venere, ferita da Diomede, ricorre aGiove, scialbato nell'Ottocento. La composizione del F. con il suo stile aggraziato, il suo repertorio di veli svolazzanti e nubi, il ripetersi di figure e gesti appare ormai decisamente attardata rispetto all'avanzare del romanticismo storico, sostenuto da G. Bezzuoli, anch'egli impegnato a palazzo Borghese.
Dopo il 1822non si hanno notizie sull'attività artistica del F. e in particolare nulla si conosce della sua produzione di dipinti su tela, ad eccezione dell'Autoritratto donato alla Galleria degli Uffizi dopo la sua morte, avvenuta a Firenze nel 1843.
Il dipinto, datato al secondo-terzo decennio dell'Ottocento ed ora conservato nei depositi degli Uffizi, si ispira evidentemente all'Autoritratto di J. Reynolds (Londra, National Portrait Gallery), conosciuto forse dal F. tramite una famosa incisione che ne fu tratta nel 1795.
Nel suo testamento, redatto il 10 maggio 1838, il F. lasciò all'Accademia di belle arti un altro suo Ritratto per la Galleria delle statue (probabilmente un busto che non è stato rintracciato) ed un legato di 6 scudi da assegnarsi, 2 scudi all'anno per tre anni, al migliore allievo della scuola del nudo. Questo lascito conferma il legame del F. con l'ambiente dell'Accademia, nel cui ambito probabilmente si svolse anche la sua ultima attività (cfr. Firenze, Arch. d. Acc. di belle arti, filza 1846, n. 86).
Fonti e Bibl.: Firenze, Archivio d. Acc. di belle arti, filza D, n. 254; filza G, n. 61; filza H, nn. 36, 104, 113; filza K, nn. 62, 69; filza 1818, n. 83; filza 1843, n. 65; filza 1846, n. 86; Archivio di Stato di Firenze, Eredità Strozzi Sacrati, 2369, carte non numerate; T. Trenta, Guidadel forestiere per lacittà e il contado di Lucca, Lucca 1820, pp. 53, 56 s., 157; F. Fantozzi, Guida alla città e contorni di Firenze, Firenze 1842, pp. 262 s.; J. C. Dufay, Notice sur lavie e les ouvrages de Wicar, Lille 1844, p. 42; Ch. Le Blanc, Manuel de l'amateur d'estampes, Paris 1856, II, p. 222 (per il padre); L. Quarré Reybourbon, La vie, l'oeuvre et les collections du peintre Wicard'après les documents, Paris 1895, pp. 277 s.; P. Marmottan, Les arts en Toscane sous Napolgon, Paris 1901, pp. 10 n. 1, 172; A. Beltramelli, Da Comacchioad Argenta, Bergamo 1905, pp. 41, 105, 120 (per il padre); R. Mattioli, Palazzo Borghese, Firenze 1969, pp. 23 s.; Guida d'Italia del Touring Club italiano. Firenze e dintorni, Milano 1974, p. 336; Gli Uffizi. Catalogo generale, Firenze 1976, p. 868; S. Pinto, The royal palace from the Lorraine period to the present day, in Apollo, CVI (1977), 187, p. 223; P. Arizzoli Clementel, Les projets d'aménagement inteneur et de décoratton du palais Pitti pour Napoléon Ier et Marie-Louise, 1810-14, in Actes du Colloque Florence et la France. Rapports sous la Révolution et l'Empire [1977], Firenze-Paris 1979, pp. 300, 303, 305, 307; S. Pinto, La decoraz. pittorica: problemi, in Ilpalazzo pubblico di Lucca. Architettura. Opere d'arte. Destinazione, Atti del Convegno, a cura di I. Belli Barsali, Lucca 1980, pp. 137, 141 s.; Id., La promozione delle arti negli Stati italiani dall'età delle riforme all'Unità, in Storia dell'arte italiana, Einaudi), II, 6, Torino 1982, pp. 981, 1038 s.; La Galleria Palatina. Storia della quadreria granducale di palazzo Pitti (catal.), a cura di M. Mosco, Firenze 1982-1983, p. 70; E. Spalletti, La pittura dell'Ottocento in Toscana, in La pittura in Italia. L'Ottocento, Milano 1991, I, pp. 298, 303; C. Morandi, ibidem, II, p. 820; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, IX, p. 336.