MARSILI, Antonio Felice
MARSILI (Marsigli), Antonio Felice. – Nacque a Bologna il 30 maggio 1651, e non nel 1649 come riportano Fantuzzi e quanti lo hanno seguito. Era il figlio primogenito del conte Carlo Francesco e di Margherita Ercolani. Lo zio Cesare Marsili era stato amico e corrispondente di Galileo Galilei, mentre il fratello Luigi Ferdinando fu l’ideatore dell’Istituto delle scienze di Bologna, fondato nel 1711.
Nello Studio bolognese il M. ebbe come maestro di filosofia il benedettino parmense Vitale Terrarossa (1623-92) e, secondo Fantuzzi, si addottorò nel 1667, ma di questa sua laurea non c’è riscontro nel Catalogus doctorum dello Studio bolognese (Notitia doctorum…).
Nella prospettiva «concordista» che in quegli anni cominciava a diffondersi in Europa, Terrarossa insegnava che le dottrine di Democrito erano compatibili con quelle di Aristotele. L’ipotesi di una struttura atomistica della realtà materiale, così consonante con la nuova fisica meccanicista, non era a suo parere contraria alle concezioni aristoteliche e non metteva in causa i dogmi cristiani. Terrarossa non pubblicò mai l’opera da lui promessa su questi temi, ma le sue idee si ritrovano nelle tesi di filosofia discusse dal M. e pubblicate come Concordia Democriti et Aristotelis ex ipsis doctrinis Peripatus iterato firmius stabilita (Bologna 1669). Le 90 tesi presentano un’interpretazione delle dottrine aristoteliche solo formalmente concordista, in realtà sostanzialmente sbilanciata in favore dell’atomismo. Furono anche pubblicate le tesi di logica da lui discusse nella chiesa di S. Procolo, i Flores logicales seu thaeses ex universa logica selectae (Bologna 1668).
Dopo la laurea in diritto civile e canonico, che conseguì nel dicembre 1670, il M. trascorse un periodo a Roma, dove nel 1671 pronunciò il Discorso del riaprirsi della prestigiosa Accademia degli Umoristi (in Avellini, pp. 132-137). Nello stesso anno uscì a Bologna, in un volume di Prose de’ signori accademici Gelati, la dissertazione Delle sette de’ filosofi e del genio di filosofare (ed. Piaia, pp. 79-212), letta dal M. nell’antica e prestigiosa Accademia, alla quale era ascritto dall’età di 16 anni con il nome di Instabile.
L’operetta è un’appassionata perorazione in difesa della moderna filosofia sperimentale, ispirata alle idee di Terrarossa e nello stesso tempo rivelatrice degli stimoli che il M. ricevette sia dal vivace ambiente culturale bolognese, in cui operavano personalità come G.D. Cassini (in realtà nel 1671 da due anni a Parigi), G. Montanari e M. Malpighi, sia dalla conoscenza dell’attività delle società scientifiche di Firenze, Parigi e Londra. Nella prima parte il M. passa in rassegna le principali «sette dei Filosofi», mentre nella seconda avanza osservazioni sul «genio di filosofare». Il giovane M. attacca apertamente i seguaci delle sette, usi a giurare in verba magistri, ed esalta la ricerca fondata sull’esperienza, anche quella dei meccanici e degli artigiani. A suo giudizio, la presunta incompatibilità tra fede cristiana e moderna fisica derivava solo dal legame che storicamente si era stabilito tra la filosofia aristotelica e la Chiesa. Quest’ultima non doveva permettere che l’ipotesi atomistica fosse monopolizzata da metafisiche materialiste; doveva invece «cristianizzare» Democrito, così come nel Medioevo s. Tommaso aveva reso compatibili con la religione le idee, ben più pericolose, di Aristotele. L’insistenza sul carattere necessitato e strumentale del connubio tra cristianesimo e aristotelismo rivela l’influenza delle pagine antiaristoteliche di G. Ciampoli: le opere postume di questo ecclesiastico galileiano (ripetutamente citate dal M.) erano state pubblicate proprio a Bologna nel 1654. Il M. condivide l’ammirazione di Ciampoli per Democrito che, rifiutando idee e qualità occulte, «formò le conseguenze dell’intelletto con le sole relazioni de’ sensi» e «con le figure degli atomi e coi moti lor propri, particolarmente insegnò la natura» (Delle sette, ed. Piaia, pp. 97 s.). Se la proposta del M. di inglobare l’atomismo democriteo (liberato dal tradizionale e infondato connubio con l’«empio» epicureo) nella cultura cattolica è stata giudicata un corollario delle idee di Ciampoli (Cavazza, 1979, pp. 113 s.), le corrispondenze testuali tra le pagine del discorso marsiliano e gli scritti di Ciampoli hanno fatto individuare quest’ultimo come «l’ispiratore principale delle posizioni culturali e metodologiche del giovane accademico bolognese» (ed. Piaia, pp. 47 s.).
Dall’insistenza del M. sulla necessità di una rigorosa distinzione tra il campo della rivelazione e della fede, riservato ai teologi, e quello della natura e dell’esperienza, proprio della filosofia, «conseguiva un’accentuata cautela metafisica, una diffidenza per le teorie generali non fondate su verifiche sperimentali puntuali, che conduceva a uno sperimentalismo simile a quello della Royal Society, del resto esplicitamente additata ad esempio» (Cavazza, 1990, pp. 52 s.).
Dopo il ritorno da Roma, il M. maturò la decisione di rinunciare ai diritti di primogenito per intraprendere la carriera ecclesiastica ed essere libero di dedicarsi agli studi. I suoi interessi erano rivolti sia all’erudizione ecclesiastica sia alla storia naturale, due settori in cui era in corso in Europa un salutare rinnovamento metodologico, le cui punte avanzate erano rispettivamente il padre J. Mabillon dell’Ordine dei maurini in Francia e la Royal Society di Londra. Inizialmente il M. si dedicò a ricerche di storia naturale relative al territorio bolognese «con animo di farne un trattato» (Fantuzzi, p. 276). Non portò a termine il progetto, ma pubblicò la Relazione del ritrovamento dell’uova di chiocciole… in una lettera al sig. Marcello Malpighi… (Bologna 1683; ed. Piaia, pp. 113-139), che si inserì nel dibattito sulla generazione spontanea innescato dal malacologo gesuita F. Buonanni con un libro (Recreatione dell’occhio e della mente nell’osservation delle chiocciole, Roma 1681) che riproponeva l’antica dottrina aristotelica già confutata dagli esperimenti di F. Redi pubblicati nel 1668.
La Relazione ebbe notevole risonanza ed «entrò subito nel circuito della cultura scientifica europea» (ed. Piaia, p. 17); nello stesso anno Malpighi – una guida intellettuale e un amico per il M., nonché destinatario della «lettera» – ne mandò una copia alla Royal Society. Nel 1684 ne fu pubblicata ad Augusta una traduzione latina (poi inserita nel secondo volume degli Opera omnia di Malpighi, usciti a Londra nel 1686 e ivi ristampati nel 1687) insieme con una lettera all’autore scritta dal naturalista svizzero J.J. Harder. Lo stesso Buonanni ne ripubblicò il testo in appendice alla sua risposta, Riflessioni sopra la Relatione del ritrovamento dell’uova di chiocciole di A.F. M. (Roma 1683; ibid. 1695), sotto il nome di G. Fulberti. Il M. s’inserì nella linea di Redi e degli altri studiosi che «collo scandaglio delle ragioni e coll’esattezza delle esperienze» (Relazione…, ed. Piaia, p. 121) avevano avvalorato la tesi che tutti gli esseri viventi si riproducono attraverso uova. Pur non presentandosi come un contributo originale, l’opera «è notevole sotto il profilo metodologico, perché ci offre il resoconto di un caso esemplare di applicazione del metodo sperimentale» (ibid., p. 60). Nella prima parte il M. illustra le opposte posizioni che si erano fino ad allora scontrate nel dibattito sull’origine degli insetti e di altri esseri viventi, come le chiocciole, appoggiando apertamente le critiche alla teoria della loro origine per generazione spontanea dal limo o dalla putrefazione di cadaveri. Per delegittimare ulteriormente l’errore dei tardi sostenitori di questa teoria, il M. sfuma la posizione di Aristotele, del quale, sulla scorta dell’aristotelico F. Liceti, dice che in realtà intendeva affermare che questi esseri nascono da semi a noi occulti, e quando parlava di origine «dalla putredine» intendeva «nella putredine» (ibid., p. 69). La seconda parte presenta il resoconto di un’esperienza compiuta dal M.: il ritrovamento in un’aiuola di mucchietti di uova di chiocciole e le osservazioni, effettuate anche con il microscopio, degli stadi del loro sviluppo fino alla nascita.
Nel 1686 il M. fu nominato arcidiacono della cattedrale di S. Pietro a Bologna, una carica ecclesiastica di grande prestigio perché vi era annessa quella di cancelliere maggiore dello Studio, cui spettava, in quanto rappresentante del pontefice, il potere di conferire le lauree. Fu l’occasione di tradurre in pratica le linee di politica culturale che da tempo il M. andava elaborando. La prima iniziativa, tesa anche a creare consenso tra gli intellettuali bolognesi, gli universitari e l’aristocrazia cittadina, fu la riattivazione nel 1687 dell’Accademia dell’Arcidiacono, istituita nel 1656 da uno dei suoi predecessori, che fu sdoppiata in due accademie distinte, una «ecclesiastica», l’altra «filosofica esperimentale». Erano le due direttrici culturali che caratterizzarono alla fine del Seicento la politica culturale dei «cattolici galileiani», tra i quali il M. svolse un ruolo autorevole per i suoi legami con B. Bacchini e il Giornale de’ letterati di Parma e soprattutto per quelli con L.A. Muratori, che ottenne la carica di bibliotecario alla Biblioteca Ambrosiana di Milano proprio grazie alla protezione del Marsili.
Il rapporto con il M. contribuì in modo determinante a orientare Muratori verso gli studi di storia ecclesiastica, secondo i nuovi orientamenti storiografici degli eruditi maurini e bollandisti; al M. egli dedicò il suo primo scritto, De primis Christianorum ecclesiis (1694). Negli anni successivi il rapporto tra i due si consolidò attraverso un’assidua consuetudine epistolare, in cui il M. continuò, almeno formalmente, a svolgere il ruolo di guida intellettuale del giovane protetto, incoraggiandolo a continuare le sue ricerche sulla storia della Chiesa con un metodo che univa il richiamo ai documenti e la critica cauta delle false tradizioni e delle forme superstiziose di culto con l’esigenza di non rompere con la tradizione e le finalità apologetiche.
Su orientamenti simili era fondato il programma dell’Accademia ecclesiastica del M., secondo il quale gli accademici dovevano affrontare ogni anno lo studio delle vicende di un secolo della Chiesa, con modalità di discussione rigidamente regolamentate (Due accademie nuovamente erette in Bologna dal dottiss. signor arcidiacono A.F. M. in sua casa, in Giorn. de’ letterati di Parma e Modena, IX [1687], p. 144).
Dallo stesso manifesto, contenente anche il programma della seconda Accademia (ibid., p. 145), risulta che era finalizzata «all’osservazioni e agli esperimenti sopra l’opera della natura», considerata «e dentro i limiti della pura filosofia e fuori nell’estensione delle scienze che ne derivano». Ispirata al modello della Royal Society, l’Accademia si sarebbe occupata di fisica, medicina, anatomia, botanica, chimica e matematica. Erano previste procedure di sperimentazione privata e dimostrazioni pubbliche, modalità di comunicazione fondate sulla «semplicità di stile» e sull’esclusione delle argomentazioni metafisiche, relazioni epistolari con altre accademie, registrazione e pubblicazione degli atti. Nel 1688 l’Accademia «filosofica esperimentale» aveva in programma di occuparsi «della natura e delle proprietà del ghiaccio; de vasi differenti e delle vescicole seminali; della fermentazione; delle parti vitali; del magnetismo, della vescicola del fele e del poro biliario» (Continuazione delle due accademie…, ibid., X [1688], pp. 219 s.). Si tratta di temi quasi tutti di interesse medico-biologico, segno probabilmente della prevalenza dei medici tra i frequentanti. Tuttavia gli unici due di cui sia rimasta traccia documentaria sono relativi ad altri campi. D. Guglielmini, medico e matematico allievo di Malpighi e di Montanari, presentò, il 28 marzo 1688, un lavoro considerato un importante contributo alla fondazione della moderna cristallografia, le Riflessioni filosofiche dedotte dalle figure de’ sali (Bologna 1688; riprese dal Giorn. de’ letterati di Parma e Modena, X [1688], pp. 231-256). Nel maggio 1689 Luigi Ferdinando Marsili inviò da Vienna a Malpighi, con la richiesta di presentarle all’Accademia, quattro memorie di mineralogia; non è tuttavia sicuro che la discussione su di esse abbia effettivamente avuto luogo, poiché proprio nel corso del 1689 i rapporti tra il M. e Malpighi si guastarono e non si hanno più notizie dell’attività dell’Accademia «filosofica esperimentale». Invece l’Accademia ecclesiastica sopravvisse fino alla partenza del M. da Bologna e si ha notizia che nel 1697 egli aveva in programma di parlare «del rito antico del Battesimo» (Metodo dell’Acc. ecclesiastica che si avrà in Bologna in casa di mons. arcidiacono A.F. M. nell’anno 1697, in Giorn. de’ letterati di Modena, 1697, gennaio, pp. 19 s.).
Il risentimento di Malpighi era dovuto ai sospetti che i pubblici attacchi dei sostenitori della medicina tradizionale, P. Mini e G.G. Sbaraglia, contro la medicina meccanicista e contro l’anatomia microscopica e comparata da lui promosse fossero nati da una sorta di congiura ordita dal M. e da alcuni membri dell’Accademia «filosofica esperimentale». Le accademie promosse dal M. – a differenza di altre attive a Bologna negli anni precedenti, come il Coro anatomico di B. Massari e l’Accademia della Traccia, promossa da G. Montanari –, non avevano carattere di scuola e, aperte a professori e dilettanti, chierici e laici, ebbero con l’Università «un legame di natura più politica che didattica» (Cavazza, 1990, p. 55). Già dal discorso che il M. pronunciò alla loro apertura, tutto incentrato sull’antico primato culturale che lo Studio aveva assicurato alla città e sull’attuale decadenza dell’una e dell’altro, apparve evidente che il suo obiettivo era la riforma dell’Università. Malpighi, invece, si era fin dall’inizio schierato con gli oppositori della proposta di riforma avanzata dal M. nelle anonime Memorie per riparare i pregiudizi dell’Università dello Studio di Bologna, e ridurlo ad una facile, e perfetta riforma (Bologna 1689), ravvisandovi il pericolo che lo Studio cadesse sotto l’influenza dei gesuiti e di altri ordini religiosi, la cui concorrenza era per lui la causa principale delle difficoltà in cui versava l’istituzione.
Nelle Memorie, il M. tracciava un quadro desolante della situazione universitaria, per porre rimedio alla quale proponeva, tra l’altro, di diminuire drasticamente il numero dei lettori, sproporzionato rispetto a quello, in calo, degli studenti; di condizionare conferme e aumenti di stipendio all’operosità e ai meriti di ciascuno; di abolire il privilegio della cittadinanza e quello dell’anzianità nella concessione delle letture. Le proposte incontrarono l’opposizione dei Collegi dei dottori, i reali detentori del potere nell’Università. Contro di loro, il M. passò presto dalle parole ai fatti, ingiungendo ai Collegi di medicina e di filosofia di cessare la prassi di pretendere dai laureati non bolognesi il giuramento di non chiedere né accettare letture. L’ingiunzione fu rigettata e questo portò, per diversi anni, al blocco delle lauree con conseguenti disagi e proteste degli studenti. Il M. sostenne le sue idee centralizzatrici anche con un opuscolo intitolato Delle prerogative del cancellierato maggiore dello Studio generale di Bologna (ibid. 1692), che fondava su atti imperiali e decreti pontifici medievali la legittimità di un ampliamento dei poteri del gran cancelliere, in quanto rappresentante del sovrano pontefice, fino al controllo sull’intero corso degli studi. I Collegi risposero con un’argomentata Caparra di risposta alla protesta esseguita et alla scrittura fatta ultimamente da monsig.… arcidiacono e maggior cancelliere dello Studio di Bologna contro i Collegi di filosofia e di medicina… (Elbenga 1690), difendendo la tradizionale università corporativa e municipalista. Il M. rispose con ulteriori scritti (Informazione intorno a un certo giuramento che i signori Collegi di medicina e di filosofia estorquono dagli addottorandi forestieri, fumanti e poveri cittadini, Bologna 1690; Scrittura… contro i Collegi di filosofia e medicina, ibid. 1691). La lite tra il M. e i Collegi si protrasse dal 1689 al 1694, con tentativi di mediazione del Senato cittadino e interventi del papa, Alessandro VIII. Si concluse con la completa sconfitta del M.: alla fine del 1694 uscirono, approvate dal Senato e dal legato, le nuove Ordinazioni e costituzioni dello Studio che ribadivano l’inamovibilità dei lettori e il diritto dei dottori bolognesi, in ordine di anzianità, alla prelazione delle letture.
La vocazione di riformatore del M. ebbe un’altra occasione di manifestarsi, quando, grazie anche all’appoggio del fratello Luigi Ferdinando, fu nominato (5 dic. 1701) vescovo di Perugia. In questa città, in virtù di un breve di Urbano VIII (1625), il vescovo rivestiva il ruolo di praeses Studii, oltre che di cancelliere. Il suo arrivo suscitò probabilmente speranze tra gli innovatori, come si arguisce dalla dedica delle Osservazioni teoriche, e pratiche di medicina (Venezia 1702) che gli riservò il perugino A. Pascoli, diventato l’anno precedente docente di anatomia alla Sapienza di Roma. Non esistono tuttavia che vaghe notizie sull’attività svolta dal M. per rianimare la stagnante vita culturale di Perugia e del suo Studio.
Nel 1707 ricevette l’onorifico titolo di vescovo assistente al soglio pontificio.
Il M. morì a Perugia il 5 luglio 1710 per «etisia» (Giorn. de’ letterati d’Italia, VIII [1711], p. 40) o «ulcera al polmone», come spiega il marchese Orsi in una lettera del 17 luglio a Muratori (cit. in Piaia, p. 30).
Le sue ambizioni di riformatore erano indubbiamente fallite, a Bologna come a Perugia, eppure nel 1710 molte delle idee modernizzatrici del M. stavano per tradursi in realtà grazie al fratello Luigi Ferdinando, che nel 1711 fondò l’Istituto delle scienze di Bologna. Un’altra significativa conferma del segno lasciato dal programma ad ampio raggio del M. è nell’augurio, espresso in un’opera del 1740 dall’arcivescovo di Bologna, cardinale Prospero Lambertini (divenuto papa Benedetto XIV il 17 agosto di quell’anno), che al rinnovamento degli studi filosofici e matematici promosso dall’Istituto si accompagnasse la rinascita degli studi sacri. A questo fine caldeggiava l’istituzione di accademie di storia sacra ed erudizione ecclesiastica che nel metodo cronologico e nelle procedure di discussione imitassero quelle organizzate nel secolo precedente nella propria casa dall’arcidiacono M., continuatore, a suo dire, della lezione di C. Baronio, di L. Allacci e di Mabillon.
Fonti e Bibl.: Modena, Biblioteca Estense universitaria, Arch. Muratoriano, filza 71, f. 3 (61 lettere del M. da Bologna a L.A. Muratori dal 1694 al 1701); filza 83, f. 31 (lettere da Perugia dal 1701 al 1710); Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., VIII, 681, cc. 1-14 (14 lettere del M. ad A. Magliabechi del 1687-1707, cui è allegata l’unica copia di una versione a stampa a opera di C. Pisarri dell’Idea e metodo delle due Accademie); Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, Mss., B.867: B. Carrati, Battesimi, p. 33; Ibid., Biblioteca universitaria, Mss., 75, II, cc. 330: Discorso dell’apertura delle due Accademie in casa di mons. arcidiacono A.F. M., l’una ecclesiastica e l’altra filosofica nel mese di Novembre 1687…; 338-343: Idea e metodo delle due Accademie ecclesiastica e filosofica esperimentale aperte in Bologna… dell’anno 1687 (versione integrale del manifesto edito in sintesi dal Giorn. de’ letterati); Mss., 686, n. 49, cc. 247-256: Risposta alla Scrittura posta fuori da mons. arcidiacono l’anno passato 1689…; Memorie, imprese e ritratti de’ signori accademici Gelati di Bologna, Bologna 1672, pp. 48 s.; A.F. Marsili, Orazione panegirica in onore della Concezione di Maria Vergine, Bologna 1680; Id., Osservazioni sopra i due sepolcri antichi ritrovati nella villa di Cinquanta nel Bolognese, in C.C. Malvasia, Marmora Felsinea, Bononiae 1690; Breve elogio di monsignor Anton F. Marsilli…, in Giorn. de’ letterati d’Italia, VIII (1711), pp. 36-40; P. Lambertini, Annotazioni sopra le feste di Nostro Signore e della Beatissima Vergine secondo l’ordine del calendario romano, Bologna 1740, I, pp. XXXVI- XXXVIII, XL, LIII; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, V, Bologna 1786, pp. 276-278; Notitia doctorum, sive Catalogus doctorum…, a cura di G. Bronzino, Milano 1962; E. Bortolotti, La fondazione dell’Ist. e le riforme dello Studio, in Memorie intorno a Luigi Ferdinando Marsili pubblicate nel II centenario della morte, a cura del Comitato Marsiliano, Bologna 1930, pp. 385-471; A. Neviani, Un episodio della lotta tra spontaneisti e ovulisti: il padre Filippo Bonanni e l’ab. A.F. M., in Riv. di storia delle scienze mediche e naturali, XXVI (1935), pp. 211-232; S. Bertelli, Erudizione e storia in Ludovico Antonio Muratori, Napoli 1960, pp. 22-24, 47 s., 78; A. Andreoli, A.F. M. Appunti per una biografia, in Strenna stor. bolognese, XVII (1967), pp. 39-50; Id., Nel mondo di Lodovico Antonio Muratori, Bologna 1972, pp. 34-38, 129, 132-137, 238, 350 s.; E. Raimondi, Il barometro dell’erudito, in Id., Scienza e letteratura, Torino 1978, pp. 57-84; M. Cavazza, Verso la fondazione dell’Ist. delle scienze: filosofia «libera», baconismo, religione a Bologna (1660-1714), in Sull’identità del pensiero moderno. Studi e saggi, Firenze 1979, pp. 112-116; L. Avellini, Tra «Umoristi» e «Gelati»: l’accademia romana e la cultura emiliana del primo e del pieno Seicento, in Studi secenteschi, XXIII (1982), pp. 109-137; M. Cavazza, Settecento inquieto. Alle origini dell’Ist. delle scienze di Bologna, Bologna 1990, pp. 51-56, 79-117; G. Piaia, I filosofi e le chiocciole. Operette di Anton Felice Marsili (1649-1710), Assisi 1995; Qui voluerit in iure promoveri… i dottori di diritto nello Studio di Bologna (1501-1796), a cura di M.T. Guerrini, Bologna 2005, p. 605.