CIUCCI, Antonio Filippo
Nacque ad Arezzo nella prima metà del sec. XVII da Giovanni Battista.
Studiò e si laureò a Firenze tra il 1642 e il 1646; in seguito si trasferì a Roma, dove la sua presenza è documentata tra il 1651 e il 1657; si sa inoltre che nel 1656 curò per cinque anni gli appestati nel lazzaretto del Casaletto. Questa esperienza, dalla quale trasse la convinzione del carattere infettivo della peste, da molti ancora messo in dubbio, gli servì per la stesura del cap. 51 del Promptuarium medico-chirurgicum e del cap. 31 del Filod'Arianna, intitolato "Della essenza o quiddità della peste", ricco di notizie e di episodi sulla sua attività e sui rischi di cadere vittima del contagio. Dal 1660 al 1669 (tolta una breve permanenza a Firenze nel 1666, presso l'ospedale di S. Maria Novella) fu in varie occasioni chiamato ad esercitare chirurgia alla S. Casa di Loreto, al posto di Francesco de Rossi, la cui vedova, Lorenza di Giovanni Venturucci da Osimo, egli aveva sposato nel 1660; ma non ebbe alcun figlio. Anche di questo periodo il C. ha lasciato nelle sue opere il ricordo di episodi interessanti, come l'operazione di litotrizia eseguita dal chirurgo Giovanni Rinaldo Buonaiuto con una pinzetta a tre branche per estrarre i calcoli senza danneggiare il paziente, di cui il C. può considerarsi l'inventore.
Nel 1670 ebbe l'incarico di primo cerusico della città di Macerata e di professore d'anatomia presso quella università. Trasferitosi qui, vi esercitò anche la medicina legale'in qualità di chirurgo forense. Fu a lungo in corrispondenza col suo concittadino Francesco Redi, il cui padre Gregorio l'aveva aiutato negli studi a Firenze, L'attività medica lo occupò per una quarantina d'anni, durante i quali pubblicò diverse opere; tra di esse emerge il già citato Promptuarium medico-chirurgicum, pubblicato a Macerata nel 1679, un manuale di chirurgia pratica dove, fra l'altro, descrive la pinzetta a tre branche da lui inventata, e dimostra che la cateratta si forma nel cristallino opaco, e non tra il cristallino e l'iride, come sostenevano gli antichi (l'opera è illustrata da alcune tavole anatomiche). Ma lo scritto più notevole è senza dubbio Filo d'Arianna o vero fedelissima scorta alli esercenti di chirurgia per uscire dal laberinto delle relazioni e ricognizioni di varij morbi e morti, Macerata 1682 e 1689, Venezia 1703.
Dedicato a Francesco Redi, è questo il primo trattato di medicina legale scritto in lingua volgare, un prontuario di rapida consultazione per facilitare il compito di stesura delle "relazioni" e delle denunce da parte dei medici legali. Basandosi sull'autorità di medici antichi e moderni, da Galeno, Ippocrate, Celso, a Vesalio, Capivaccio, Falloppia, Bartholin, Riolan, Graaf, e sopra tutti del medico legale Paolo Zacchia, il C. esamina tutti i principali casi in cui può imbattersi un medico. L'opera inizia con un'analisi degli "strumenti vulneranti" e delle ferite relative, affinché nelle denunce il medico sia in grado di chiarire la qualità della ferita, in relazione anche alla parte colpita, nonché degli "accidenti" (emorragie, febbri, ecc., seguiti al ferimento, soprattutto quelli non visibili, che pur possono condurre a morte). Il C. avverte che è indispensabile evitare, nelle denunce, l'uso di espressioni che in seguito possano essere contraddette dalla pratica medica o dal recupero di salute del paziente. Pertanto è necessario far uso della "raziocinazione" e far riferimento a casi dimostrativi, per evitare di dar credito a false ma diffuse affermazioni, come quelle sul presunto avvelenamento prodotto dalle ferite da armi da fuoco. Nell'eseguire autopsie il medico dovrà verificare se alle cause apparenti della morte non se ne possano aggiungere altre che comportino responsabilità penale (ad es., avvelenamento). Una materia che richiede una cautela particolare, e a cui il C. dedica gran parte del suo libro, è quella sessuale: è molto facile per il medico legale prendere abbagli nelle ricognizioni sulla verginità femminile o dei fanciulli; tanti sono i casi riferiti dai più vari autori, perfino di donne rimaste incinte senza segni evidenti di deflorazione, che, non essendo ancora noto in che consista precisamente la verginità o "claustro della vergogna", il medico dovrà giudicare piuttosto a favore che contro la donna. Il C. tratta poi dei casi di ermafroditismo, suddivisi in tipi a seconda della posizione degli organi sessuali; dei mostri, manifestazioni dello "sdegno della Divina Giustizia armato a punire li humani misfatti"; delle gravidanze simulate; dei parti oltre il tempo giusto; dell'aborto spontaneo o procurato (a suo dire molto diffuso, con la complicità di medici senza scrupoli); dell'impotenza, della sifilide (da ribattezzare male italiano, data la sua enorme diffusione da noi) e di altri simili argomenti, che potrebbero scandalizzare ma che son trattati solo per "discoprire la verità". L'ultima parte dell'opera è dedicata alla tortura e ai casi in cui essa non è sopportabile dal reo; il C. non si occupa dei problemi umanitari ad essa legati, ma ragiona da medico che non trascende "i limiti della sua professione", "per sua maggior quiete", ed anche per non danneggiare il reo, di cui il tormento terreno cancellerà quello eterno. A completamento dell'opera è posta una nomenclatura anatomica e una serie di dieci tavole anatomiche, troppo piccole e sommarie per aver importanza scientifica (dato il formato tascabile del libro), e che anzi il C. confessa di aver copiato da altri, non avendo avuto il tempo né cadaveri a disposizione per disegnarle lui stesso.
All'opera, nell'edizione del 1703, è unito un Breve discorso intorno al moto delli humori.., pubblicato a Macerata nel 1681, e nel 1685, sulla circolazione del sangue. Pur essendo a conoscenza delle opere di Realdo Colombo, del Cesalpino e di Harvey, il C. vuol dimostrare che già Ippocrate e Galeno conoscevano, seppur imperfettamente, la circolazione; rivela quiùdi, dato che non accenna alla circolazione polinonare, di non aver colto il valore delle fondamentali scoperte del secolo sull'argomento.
Il lodevole proposito di basarsi sull'esperienza per liberarsi dai pregiudizi del tempo (anche se tanti ne accetta nel Filo d'Arianna) è posto al servizio di un intento divulgativo che non sa liberarsi dalle forme espositive gonfie e barocche tipiche del secolo. Non essendo questa - per dichiarazione dello stesso C. - un'opera ricca di contributi originali, anzi l'opera di un "puro traduttore", che compendia i dati sparsi in tante opere, citate con molto scrupolo, al C. compete solo un merito di primogenitura, per aver scritto il primo trattato del genere in italiano.
Il C. morì presumibilmente a Macerata intorno al 1710.
Fonti e Bibl.: J. J. Manget, Bibliotheca script. medicorum, Genevae 1731, p. 60; F. Vecchietti T. Moro, Biblioteca picena, III, Osimo 1793, p. 235; L. Cittadini, Cenni stor. sulla litotrizia, in Arch. stor. delle scienze mediche toscane, I (1837), pp. 1 ss.; M. Bufalini, Discorso in lode di A. Nespoli, Firenze 1839, p. 35; S. De Renzi, Storia della medic. in Italia, Napoli 1845, IV, pp. 192, 419, 497, 526; V, p. 880; U. Viviani, Il primo trattato completo in lingua volgare di medicina legale è stato in Italia pubbl. dal cerusico aretino A. F. C. nel 1682, in Il Cesalpino, XIII (1917), pp. 1-25; Id., Ancora qualche notizia sul medico legale e cerusico aretino del XVII sec., A. F. C., ibid., pp. 197-205; Id., Alcuni insegnamenti chirurgici di A. F. C., ibid., XIV (1918), pp. 1 ss.; A. Pazzini, La medicina. Bibliogr. di storia della medicina italiana, Milano 1939, nn. 1515, 4432, 4434; Id., Biobibliografia di storia della chirurgia, Roma 1948, pp. 129, 425; H. Sallander, Bibliotheca Walleriana, I, Stockholm 1955, p. 97.