FRACASSINI, Antonio
Nacque a Verona il 18 ott. 1709 da Giovanni Maria, medico la cui fama aveva varcato le mura cittadine (F. Roncalli Parolino, Europae medicina a sapientibus illustrata, Brixiae 1747), e da Anna Maria Mantelletti, figlia di un ufficiale dell'esercito austriaco. Compiuti privatamente i primi studi, frequentò il ginnasio tenuto dai gesuiti finché il padre, che voleva avviarlo alla sua stessa professione, lo affidò a istitutori più informati sui recenti progressi delle scienze fisiche. Infine, per completare la propria formazione, il F. si iscrisse all'università di Padova, dove si addottorò in medicina nel 1729, a vent'anni. Nello Studio patavino aveva frequentato le lezioni pubbliche e private di uno tra i più rinomati docenti di medicina, G.B. Morgagni, che in seguito avrebbe citato con ammirazione le ricerche del F., il quale però, non pago del titolo dottorale e delle teorie fin lì apprese, decise di recarsi per alcuni anni a Bologna per trarre profitto dal magistero dei dotti medici che operavano in quel celebre Studio.
Strinse così proficui rapporti con l'ambiente dell'Istituto marsiliano e alle discussioni teoriche abbinò il confronto continuo con l'esperienza pratica, seguendo il suo maestro Iacopo Bartolomeo Beccari nell'attività diagnostica e curativa condotta a diretto contatto con i malati presso gli ospedali e i pazienti privati: anni dopo avrebbe egli stesso richiamato i "pulcherrimae doctrinae solidaque praecepta" (Naturae morbi hypochondriaci…, p. 2). In questa occasione di comune apprendistato dovette conoscere Pier Paolo Molinelli, il maestro di L.M.A. Caldani, con il quale restò in rapporto anche dopo aver lasciato Bologna.
Al rientro a Verona, il F. prese a esercitare la medicina con un successo crescente grazie alla adesione ai "moderni" orientamenti clinici poco frequentati a Verona. Nella pratica medica rifiutava di usare la gran congerie di medicamenti solitamente adoperati dai colleghi, limitandosi a quelli che "rilassavano" le fibre del corpo calmandolo: frequente quindi il ricorso alla flebotomia, metodo curativo che apprezzava molto, agli oppiacei, alla china-china o ai cosiddetti "oliosi".
Solo nel 1750 diede alle stampe a Venezia la sua prima opera, il Tractatus theoretico-practicus de febribus, dedicato al procuratore veneziano Simone Contarini, in cui un dottissimo apparato di citazioni e di riferimenti alle teorie e agli scritti di quanti, da H. Boerhaave e A. von Haller, avevano già trattato l'argomento, dimostrava la profondità della sua preparazione.
Dei due libri che lo componevano il primo esponeva una fisiologia generale fondata su una concezione fortemente iatro-meccanica, di cui il F. fu uno dei principali sostenitori in Italia, il secondo si addentrava nell'esame della natura delle febbri, la cui vera caratteristica individuava nell'aumento della velocità delle pulsazioni derivante dalla maggiore frequenza dei battiti del cuore come conseguenza dello spasmo delle parti esterne del corpo. Una complessa nosologia delle manifestazioni piretiche distingueva poi le maligne dalle ardenti, quelle che derivavano dall'infiammazione del fegato, le sintomatiche, ecc. Ma più che per la teoria o la novità delle affermazioni, l'opera si raccomandava per la sistematicità della trattazione e per la chiarezza espositiva.
Ampiamente segnalato nei periodici letterari (cfr. ad es. Novelle della repubblica letteraria, XXII [1750], pp. 259 s.; Nova acta eruditorum, maggio 1751, pp. 269-276; Novelle letterarie, XII [1751], coll. 125 ss.) il trattato procurò al F. la notorietà. Un'eco forse maggiore ebbe l'altro trattato edito a Verona nel 1756 con dedica agli accademici dell'Istituto bolognese, Naturae morbi hypochondriaci ejusque curationis mechanica investigatio, che presto fornì l'occasione per una edizione tedesca degli scritti del F. con il titolo Opuscola pathologica, alterum de febribus, alterum de malo hypocondriaco (Lipsiae 1758).
Decisamente appoggiata a una metodologia geometrica di dimostrazioni, la natura del male veniva ricondotta all'alterazione e alla "disarmonia" delle oscillazioni dei nervi solidi, movimenti che, uniformi e regolari nel normale stato di salute e essenziali alla vita stessa, la malattia tendeva ad alterare e a distruggere. L'"affezione ipocondriaca", in effetti non dissimile da una forma di isteria sebbene localizzata nell'addome e nella zona sottocostale, per il F. investiva tutto il corpo e tutte le sue parti membranose e nervose. È in questa sezione, centrata sulla spiegazione dei moti convulsivi, che il F., riprendendo peraltro l'insegnamento del medico tedesco Friedrich Hoffmann, dava fondo alla sua concezione meccanicista con largo ricorso a spiegazioni e similitudini tolte dalla geometria e dall'idrodinamica. Senza tralasciare di passare in rassegna e accuratamente classificare ogni tipo di affezione ipocondriaca e i diversi sintomi con i quali si manifestava, il F. passava infine a descrivere i rimedi adoperati da altri medici e da lui stesso per combattere la malattia. Curiosa l'annotazione sull'uso terapeutico della musica: le "sinfonie", aveva appurato, mostravano una singolare capacità di risanare alcuni infermi, particolarmente quelli colpiti dal morso delle tarantole.
Un resoconto lusinghiero dell'opera diede F.A. Zaccaria nei suoi Annali letterari d'Italia (I [1762], pp. 232-235), ma non fu l'unico, e i riconoscimenti ufficiali non tardarono a giungere. Il F. fu così ascritto (16 giugno 1757) all'Accademia dell'Istituto bolognese e quindi a quella dei Congetturanti di Modena, sorta nel 1751 e dedita esclusivamente allo studio della medicina. Nel frattempo si era sposato e aveva avuto numerosi figli, da lui affettuosamente accuditi dopo la morte della consorte.
A sette anni più tardi risalgono gli Opuscola physiologica-pathologica (Veronae 1763) comprendenti tre dissertazioni: De affectionibus infantiae ac pueritiae; De affectionibus senectutis; De visionis sensorio.
I primi due ribadivano con dovizia di osservazioni anatomiche l'adesione del F. al sistema della teoria medica dei solidi. Il terzo sosteneva che, sull'esempio della camera oscura e in base all'esame del movimento della pupilla, la parte dell'occhio destinata a ricevere le immagini dovesse essere opaca e non diafana; il fuoco e la "base angolare" dei raggi riflessi dalla luce si dovevano pertanto situare nella coroide.
Più che da un'attardata cultura medica, la stretta adesione del F. alle teorie meccanicistiche discendeva dal desiderio di emancipare la medicina dalla mera prassi e da un empirismo deteriore per farne una scienza capace di inserire le manifestazioni contingenti entro un sistema teorico complessivo. I risultati di questa estensione interpretativa non sempre si dimostrarono corretti, ma va riconosciuto al F. il merito di non essersi chiuso ai nuovi orientamenti che si andavano manifestando in campo medico.
Infatti il F. trascorse gli anni seguenti essenzialmente nella cura e nella revisione dei suoi scritti, temperando il senso di diverse asserzioni. Già nel 1764 apparve la riedizione di Naturae morbi hypochondriaci (Verona); poi, in quella più ampia e riveduta del De febribus (ibid.) che pubblicò nel 1766, il F. abbandonò in parte il meccanicismo dal quale muoveva per avvicinarsi alla teoria dell'irritabilità halleriana. Nell'ultimo decennio di vita si impegnò inoltre nelle attività dell'Accademia degli Aletofili, sorta a Verona nel 1768 su iniziativa del matematico A.M. Lorgna e dell'agronomo Zaccaria Betti, leggendovi diverse dissertazioni. Oltre a quella che trattava "Del vizio spontaneo de' nostri fluidi", nel 1773 e nel 1774 discusse della "Cagione del vento e della di lui forza viva", in cui, dimostrando di avere grande familiarità con la teoria newtoniana del moto dei corpi celesti, riconduceva a costanza matematica le "rivoluzioni" dei venti.
Ancora per gli Aletofili stava preparando uno studio sull'"organo della voce" quando la morte lo colse a Verona il 5 giugno 1777. Venne sepolto nella tomba di famiglia nella locale chiesa dei carmelitani scalzi.
Fonti e Bibl.: Z. Betti, Elogio del dottor A. F. medico fisico recitato nell'Accademia degli Aletofili, Verona 1777; J.E. Dezeimeris, Dict. histor. de la médecine ancienne et moderne, II, Paris 1835, pp. 379 s.; S. De Renzi, Storia della medicina in Italia, V, Napoli 1848, ad Indicem; G.M. Bozoli, F. A., in E. De Tipaldo, Biogr. degli italiani illustri, VIII, Venezia 1851, pp. 196-199; E. Barberi-Borghini, F. A., in Encicl. medica ital., III, 2, Milano 1878, p. 693; Il contributo veronese alle scienze mediche, numero speciale de Il Fracastoro, Verona 1949, pp. 50 s.; C. von Wurzbach, Biographisches Lexikon des Kaiserthums Österreich, IV, p. 310; Biographisches Lexikon der hervorragenden Ärzte…, p. 589; Encicl. Ital., XV, 1932, p. 829.