VALENTI, Antonio Francesco
– Nacque a Trevi, in diocesi di Spoleto, il 16 dicembre 1668 da Giacomo Valenti (de Valentibus) e dalla nobile perugina Porzia dei marchesi Ansidei; fu battezzato lo stesso giorno dal canonico Anselmo Bonilli e gli fu padrino il governatore della città, Michelangelo Sabbatini (Trevi, Archivio storico comunale, Libro dei battezzati della Parrocchia di S. Emiliano, c. 111r).
Fu secondogenito di quattro maschi: Quintiliano (morto nel 1719), che, dopo essersi formato presso il collegio dei gesuiti di Clermont, studiò a Parigi, abbracciò la carriera militare e fu sepolto a Roma in S. Carlo ai Catinari; Giovanni Battista (morto nel 1729), che fu tenente colonnello nell’esercito pontificio inviato in soccorso dei veneziani nella guerra di Candia, dove restò ferito a Canea; Filiberto, che nel 1708 fu nominato da Clemente XI Albani vicegovernatore delle armi della provincia d’Umbria. Ebbe anche due sorelle: Giacinta, che andò in sposa a Gentile Baldeschi, e Maria Teresa, che professò nel monastero treviano di S. Lucia.
Il padre apparteneva a una delle più illustri famiglie treviane e contava fra i suoi avi uomini di una certa fama, come Valente, giurista del XIV secolo; Natimbene, quattrocentesco riformatore degli statuti cittadini; Benedetto, collezionista d’arte del XVI secolo; Romolo, vescovo di Conversano intervenuto al Concilio di Trento, e molti altri. Giacomo, che era stato cavallerizzo maggiore del granduca di Toscana, ricoprì come più alto ufficio quello di governatore delle armi del Ducato di Urbino; nel 1651 sposò Francesca Valenti, poi, rimasto vedovo senza figli, sposò in seconde nozze Porzia Ansidei, zia del futuro cardinale Marco Antonio Ansidei, e da essa ebbe discendenza.
Destinato alla carriera delle armi, a quattro anni Antonio Francesco fu nominato cornetta nella compagnia militare di Trevi. Compì gli studi a Roma, prima presso i gesuiti del Collegio romano, poi presso la Sapienza, dove si laureò in utroque iure il 25 settembre 1687, insieme al fratello Quintiliano (Archivio di Stato di Roma, Università, vol. 251, c. 504).
Per qualche tempo esercitò da avvocato a Roma. Seguì pratiche delicate, come la ‘concordia’ tra Prospero Caffarelli e il fratello minore Paolo Scipione (Archivio di Stato di Roma, Trenta notai capitolini, Ufficio 6, vol. 300, notaio Girolamo Sercamilli), e fornì servizi anche ad alcune corti estere (Portogallo, Lorena, Toscana, Parma, Modena ecc.). Dal 1714 il duca Francesco di Parma lo scelse come procuratore presso la Curia romana. Il 12 settembre 1716 fu riconosciuto con diploma come ‘patrizio’ perugino. Nello stesso anno Clemente XI lo nominò secondo collaterale del Campidoglio, gli conferì inoltre un breve ‘di familiarità’ e lo fece canonico di S. Giovanni in Laterano (1717), prelato domestico (1718) e vicecancelliere nella Cancelleria apostolica (1720). Fu in seguito votante della Segnatura (1722), ponente nella congregazione concistoriale e segretario di quella di Avignone e Loreto. Partecipò al Concilio romano del 1725. Fu ordinato sacerdote il 21 dicembre 1726.
Nella basilica di S. Giovanni in Laterano, per incarico di Clemente XI, nel 1720 fece redigere al nipote Alessandro Baldeschi una relazione, più tardi messa in stampa, sui lavori di restauro e ammodernamento compiuti nella navata maggiore della chiesa e finanziati dal pontefice (Stato della SS. Chiesa papale Lateranense nell’anno MDCCXXIII, Roma 1723).
Appartenne all’Arcadia romana con il nome di Eulogo. Nel 1727 si adoperò per il restauro del palazzo treviano di famiglia, costruito nel 1655, che sarebbe poi passato ai Piccini dopo la sua morte, nel 1742. Favorì la carriera sia del nipote Alessandro Baldeschi, figlio della sorella Giacinta, che poi sarebbe stato accolto fra gli uditori di Rota (1757-60), sia del cugino Filippo Valenti (figlio secondogenito dello zio Giovanni Battista), che fu canonico di S. Pietro e votante della Segnatura di giustizia.
Subentrando a Prospero Lambertini, il futuro Benedetto XIV, allora trasferito ad Ancona, Valenti fu nominato arcivescovo titolare di Teodosia il 20 gennaio 1727. Fu consacrato la successiva domenica 26 gennaio, da papa Benedetto XIII Orsini, assistito dal carmelitano Felipe Yturibe, vescovo di Venosa, e da Nicolas-Xavier Santamarie, vescovo titolare di Cirene; il pontefice gli fece dono di una mitra in tela d’oro, ma molti e preziosi regali gli giunsero da amici e parenti. In quello stesso anno fu nominato pure assistente al soglio (2 febbraio) e uditore di Rota (18 novembre) in sostituzione del defunto perugino Faustino Crispolti (quando tre anni dopo Valenti rinunziò all’ufficio, che riteneva non conveniente esercitare insieme a quello presso la Dataria, gli subentrò il fiorentino Girolamo Sanminiati). Clemente XI lo nominò sottodatario (prima del 1720). Clemente XII Corsini lo volle prima prodatario (15 luglio 1730-9 maggio 1731) e infine datario, ma Valenti morì prima di prendere possesso dell’ufficio, benché le Notizie per l’anno 1731 (Roma 1731, p. 233) gliene riconoscessero il titolo.
La promozione di Valenti a datario, del tutto imprevista, fu adottata dal pontefice per togliersi d’imbarazzo rispetto alle pressioni delle principali corti europee, ciascuna schierata a favore di un suo candidato cardinale: il cardinale Alvaro Cienfuegos, inviato imperiale a Roma, premeva per Giuseppe Accoramboni; gli spagnoli spingevano per Lambertini; i francesi avrebbero voluto Curzio Origo; il camerlengo Annibale Albani propendeva per Pietro Marcellino Corradini. Alla fine, Clemente XII decise autonomamente di non servirsi per quell’ufficio di un porporato, bensì di un semplice prelato di Curia, come Valenti appunto, alla cui improvvisa e imprevedibile scomparsa subentrò il segretario della congregazione dei Vescovi e regolari Antonio Saverio Gentile.
Ammalatosi sul finire del mese di luglio del 1730, dopo qualche inutile salasso a Roma Valenti partì per Trevi, sperando in un rapido ristabilimento grazie all’aria nativa. Nell’autunno sembrò essersi rimesso, ma non fece subito rientro a Roma, fermandosi invece ad Albano, ospite dell’amico cardinale Niccolò del Giudice. Ritornato a Roma, si stabilì nel palazzo della Dataria, abbandonando la sua antica dimora di via Arenula, di fronte alla chiesa dei Ss. Cosma e Damiano dei Barbieri, oggi di Gesù Nazareno (possedeva anche una villa rustica a Marino, dove praticava con passione la caccia). Un malore nel dicembre successivo, mentre era a colloquio con il nipote del papa, monsignor Neri Maria Corsini, manifestò la ripresa dell’infermità, che si sviluppò violenta nella primavera seguente.
Stroncato da un colpo apoplettico, morì nella notte tra il 15 e il 16 maggio 1731, a Roma. Il funerale fu celebrato dall’arcivescovo titolare di Amasea Giovanni Battista Gamberucci nella chiesa domenicana di S. Maria sopra Minerva, dove era già approntata la sepoltura; a Trevi fu commemorato il 26 maggio nella chiesa della Madonna delle Lagrime.
Alla morte, come documentato dal testamento del 23 dicembre 1729, Valenti lasciò in eredità un patrimonio di 70.000 scudi, molto mobilio di gusto, argenteria e porcellane, cavalli e carrozze, nonché una fornita biblioteca, che fu riportata a Trevi, nella disponibilità della vedova del fratello Giovanni Battista, Maria Gabriella Ferretti.
Un unico e anonimo ritratto di Valenti si conserva nel palazzo di famiglia, con il prelato raffigurato in piedi di tre quarti, mentre regge con la destra una lettera su cui s’intravede il nome del fedele segretario, il canonico Agostino Petrucci, che verosimilmente lo fece realizzare dopo la morte del ‘patrono’, di cui fu esecutore testamentario.
Fonti e Bibl.: Notizie documentarie su Valenti sono rinvenibili a Trevi, nell’archivio di famiglia (oggi Prosperi Valenti), in buona parte utilizzato per il volume Le antichità valentine. Dialoghi due di Francesco Alighieri e Sante Ponzio, nuovamente pubblicati e di preliminari illustrazioni muniti da Clemente Bartolini, patrizio di Trevi dell’una e l’altra legge dottore, e socio di varie accademie, Perugia 1828, pp. 54-56. Altra documentazione è presso l’Archivio apostolico Vaticano nei fondi corrispondenti agli uffici ricoperti da Valenti.
In assenza di una monografia critica, bisogna attingere agli accenni essenziali di opere generali, come Foglio di Foligno, 31 gennaio e 7 febbraio 1727, nn. 5 e 6; [M.G. Morei], Memorie istoriche dell’adunanza degli Arcadi, Roma 1761, p. 94; A. Mariotti, De’ perugini auditori della Sacra Rota Romana. Memorie istoriche, Perugia 1787, pp. 179-181; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, XIX, Venezia 1843, p. 139, XXXIX, 1846, p. 250; N. Del Re, La curia romana. Lineamenti storico-giuridici, Roma 1952, p. 263; R. Ritzler - P. Sefrin, Hierarchia catholica Medii aevi, V, Patavii 1952, p. 375; L. von Pastor, Storia dei papi, XV, Roma 1962, p. 665; G. Beltrami, Notizie su prefetti e referendari della Segnatura Apostolica desunte dai brevi di nomina, Città del Vaticano 1972, p. 126; D. Natalucci, Historia universale dello Stato temporale ed ecclesiastico di Trevi, 1745, a cura di C. Zenobi, Foligno 1985 (che riporta un’inesatta data di nascita); M.V. Maneschi Prosperi Valenti, A.F. V., datario di Santa Romana Chiesa, in Bollettino storico della città di Foligno, XVI (1992), pp. 245-264; A. Gnavi, Carriere e Curia romana. L’Uditorato di Rota (1472-1870), in Mélanges de l’École française de Rome. Italie et Méditerranée, 1994, vol. 106, n. 1, pp. 161-202; M.V. Maneschi Prosperi Valenti, Un avvocato concistoriale umbro nella Roma del ’700, in Bollettino storico della città di Foligno, XX-XXI (1996-1997), pp. 225-244.