GAI, Antonio
Nacque a Venezia il 3 maggio 1686 da Francesco di Giacomo e da Fiorina, nella parrocchia di S. Michele Arcangelo. L'attività del padre, scultore in legno, si esaurì nell'ambito di un artigianato anonimo; pur destinato allo stesso mestiere, il G. iniziò l'apprendistato nella bottega di un altro intagliatore, Ottavio Calderon, del quale risulta "garzone" già nel 1696 o 1697 (Temanza, 1738, pp. 30, 32, con discrepanza tra le date). Non aveva completato il tirocinio professionale quando sposò Lucia, la prima moglie (1710); giunse al grado di "capo maestro" nel 1716, all'età di trent'anni. Della sua produzione in legno non resta testimonianza, fatta eccezione per gli "ornati d'intalgio" nella Libreria Marciana, identificabili con le decorazioni di alcuni armadi costruiti tra il secondo e il terzo decennio del Settecento (ibid., p. 32; Semenzato, 1966, p. 132).
A detta del Temanza (1752), che ne loda lo "scalpello eccellente", iniziò a scolpire in pietra solo nel 1720. Primi esemplari furono le statue e i vasi per il giardino di villa Dolfin presso Carpenedo (dispersi), di cui aveva assunto la commissione - con la semplice qualifica di intagliatore - prima della nascita del Collegio degli scultori (1724), e che poté ultimare e consegnare in virtù di una speciale deroga alle leggi dell'associazione, accordatagli nel 1725 dal priore G. Torretto. Nel 1726 eseguì il Capitello delle Nazioni (o dei Popoli) per palazzo ducale, il sesto dal molo sulla facciata occidentale, copia di un originale trecentesco. L'anno successivo decise di regolarizzare la propria posizione sottoponendosi all'obbligatoria prova d'arte richiesta dal Collegio; ebbe probabilmente per esaminatori G. Torretto e A. Corradini (Vio, 1984, p. 208). Nel 1733 tornò a lavorare per la piazzetta di S. Marco con la commissione per le portelle bronzee d'accesso alla loggetta di Iacopo Sansovino, di cui si imponeva, per ragioni igieniche e di decoro, la chiusura al pubblico.
Nel contratto stipulato con i procuratori di S. Marco, il 16 marzo 1733, si obbligava all'esecuzione autografa dei modelli, alla fusione in bronzo e alla nettatura delle figure allegoriche principali, per 1600 ducati di compenso che vennero devoluti al G. tra l'aprile 1733 e il settembre 1735 (Lorenzetti, 1910, p. 116).
Già a quest'epoca doveva aver associato a sé i figli Francesco e Giovanni, se, datando le portelle al 1734, firmava "Ant. Gai et filii"; ma a lui soltanto vanno imputate la tecnica raffinata e la correttezza "filologica" dello stile, garante della compatibilità tra l'opera e il contesto cinquecentesco. Nelle vesti delle figure (la Vigilanza, la Libertà, il Governo, la Felicità) è possibile rilevare un gusto per l'andamento autonomo delle pieghe che denuncia l'attenzione alle opere di A. Corradini (Semenzato, 1966, p. 58).
A seguito di questa prestigiosa commissione la quotazione dell'artista lievitò, in città e fuori. In una lettera del 1736 lo svedese C.G. Tessin gli tributava la qualifica di "demi Michel-Ange", reputandolo altresì l'unico scultore veneziano degno di menzione (Sirén, 1902); a questa data il G. aveva già conquistato il mercato inglese, sul quale pare che le sue opere fossero ricercate e ipervalutate. Le commissioni inglesi dovettero passare per lo più attraverso il banchiere e collezionista - poi console inglese a Venezia - Joseph Smith; su commissione dello Smith, o da lui mediata, il G. eseguì un Meleagro, una Atalanta e dei Senatori, inviati in Inghilterra e dispersi.
In simili prodotti, classicheggianti per stile e soggetto, era probabilmente specializzato; per essi fu apprezzato anche a Venezia, se il Temanza (1738, pp. 30 s.) ricorda diverse statuine "su l'antico" - di cui una "coricata" - scolpite per i nobili amatori della città.
Nel 1738 formò, con G.B. Piazzetta, G.B. Tiepolo e P. Longhi, la commissione peritale incaricata di valutare il patrimonio artistico del defunto Gherardo Sagredo. Dalla stima dei pezzi scultorei della collezione, vergata a quattro mani dal G. e dal Tiepolo, emerge la preferenza per le statue alla "maniera antica", nonché per quelle firmate da A. Corradini e G. Le Court (Brunetti, 1951, p. 160).
Intorno al 1738 il Semenzato (1966, p. 58) pone l'esecuzione della Vista e dell'Udito destinati allo scalone di villa Giovanelli a Noventa Padovana, per cui lavorarono anche A. Tarsia (Gusto e Odorato) e i fratelli G. e P. Groppelli (Tatto e Ragione).
Le due allegorie di villa Giovanelli esprimono lo stile ormai maturo del G., che qui come altrove applica le regole di una geometria esatta e asettica, procedendo per schemi compositivi ricchi di rispondenze, impostando le figure sulle diagonali virtuali del blocco grezzo e avvolgendole in panni dalle pieghe larghe e schiacciate.
Nel settembre del 1740, insieme con G. Torretto, stimò gli intagli eseguiti da G.B. Gaggia sugli armadi della sala grande della Scuola di S. Rocco (Rossi, 1982). Intorno a questa data abitava e aveva bottega nella parrocchia di S. Bartolomeo, dove continuò a risiedere sino alla morte; possedeva altresì una casa e del terreno "in villa", a Sambruson presso Dolo (Ceresole, 1877, p. 107). A ridosso del 1742 fu impegnato nell'elaborazione di modelli e statue destinate a una facciata laterale della loggetta, mai realizzata; alla fiera della Sensa del 1743 espose due trionfi perduti con Storie di Giuditta e Oloferne (Semenzato, 1966, p. 131). Il 14 sett. 1749 i procuratori di S. Marco decretarono l'ampliamento dell'attico della loggetta mediante l'aggiunta di due riquadri con Putti su trofei; la delicata commissione toccò al G., in virtù del mimetismo linguistico già sperimentato nelle portelle bronzee. Nei bassorilievi - pagatigli tra il dicembre 1749 e il marzo 1750 - lo scultore rivela una forte sensibilità materica, certo affinata su modelli classici.
All'inizio del sesto decennio accomodò le statue dell'altar maggiore di S. Marco e licenziò un lavello per la sagrestia, collocato nel 1751; di lì a poco realizzò per S. Maria della Pietà l'equilibratissimo S. Marco che fiancheggia l'altare principale, a pendant col S. Pietro di G. Marchiori. Si applicò ripetutamente alla decorazione delle cappelle maggiori delle chiese, in città e nell'entroterra.
Perduti i due Angeli di S. Simeon Grande e la Fede di S. Giovanni in Bragora, restano la Fede e la Fortezza di S. Vidal e i Ss. Pietro e Paolo della parrocchiale di Scaltenigo. Tra le sue opere sacre con diversa destinazione vanno menzionate il S. Carlo Borromeo oggi sul timpano dell'arcipretale di Mira (ma inizialmente collocato davanti alla chiesa: Costa, 1750); i Ss. Antonio Abate, Ermagora e Fortunato, la Carità, la Giustizia, lo Stemma Dolfin e due Putti della facciata di S. Antonio Abate a Udine; gli Angeli e i Cherubini dell'altare della Circoncisione in S. Antonio a Rovigo (Bartoli, 1793); un bassorilievo con Cristo nell'orto, oggi conservato all'arcipretale di Dolo, ma originariamente in collezione privata, nel quale si ritrova, proiettata su piano, la rigorosa costruzione spaziale della statuaria maggiore.
Contemporanea e complementare alla sacra, la produzione profana del G. ebbe larga diffusione nei palazzi cittadini e nelle ville della riviera del Brenta, cui l'artista riservò un dovizioso repertorio di figurazioni e suppellettili.
Probabilmente intorno alla metà del secolo eseguì l'Autunno, l'Inverno, la Primavera e l'Estate per il giardino di palazzo Vecchia-Romanelli a Vicenza, oggi conservati nel parco comunale Querini (Semenzato, 1966, pp. 58 s.); le statue, di dimensioni diseguali (più piccole la Primavera e l'Estate), furono forse condotte con l'aiuto della bottega. Della ricca decorazione di villa Soderini a Nervesa, parzialmente imputabile anche a G. Torretto, rimangono solo due vasi, oggi alla villa Sicher-Barnabò di Arcade.
Copiosa la produzione di arredi e statue per Mira Vecchia, Fiesso d'Artico e soprattutto Strà, dove il G. lavorò alla grandiosa villa dei Pisani di Santo Stefano e forse alla "Barbariga" dei Pisani Dal Banco-Moretta (la Bassi gli attribuisce con riserva l'Apollo e la Dafne dell'ingresso principale, nonché i Cacciatori e i Contadini dei porticati: 1987, p. 203). Su commissione dei Pisani di Santo Stefano concepì pure una coppia di statue allegoriche nel palazzo veneziano a S. Vidal, oggi conservatorio Benedetto Marcello.
All'atto della fondazione dell'Accademia di pittura e scultura di Venezia il nome del G. venne inserito nella lista dei trentasei artisti chiamati a formare il corpo insegnante (13 febbr. 1756); per la stanza delle "riduzioni" dell'Accademia licenziò una perduta Diana in marmo di Carrara, collocata su una "gocciola" di G.M. Morlaiter (Fogolari, 1913, p. 385). La rinomanza e il prestigio che ne avevano dettato l'inclusione nel corpo accademico motivarono dopo qualche anno la sua ascesa alla presidenza dell'istituzione (1764). Il 7 ag. 1765 gli inquisitori e revisori sopra le Scuole grandi gli commissionarono, insieme con G. Marchiori, G.M. Morlaiter e G. Bernardi, la decorazione scultorea della facciata della chiesa di S. Rocco; delle sette statue previste nel progetto vennero affidate al G. il S. Lorenzo Giustiniani e il B. Gregorio Barbarigo del secondo ordine. La decennale collaborazione dello scultore con i figli dovette arrivare in questa contingenza molto vicino alla delega.
Al 1766, anno d'avvio dei lavori, data una prima ricevuta di 300 ducati personalmente firmata dall'artista (Rossi, 1981, p. 234). Complice l'età avanzata dello scultore, l'esecuzione dei due pezzi procedette a rilento; risultavano compiuti e collocati nel 1768. Rispetto al modello d'origine, per ragioni squisitamente compositive, le statue ebbero aggiunti due puttini impegnati a sostenere la croce del Giustiniani e il pastorale del Barbarigo. Già un "notatorio" Gradenigo le etichettava come opere di scuola (mentre erano ancora in lavorazione: Livan, 1942, p. 161, 16 ag. 1767). Che l'artista ottantaduenne abdicasse ormai alle questioni pratiche è provato dalla procura ufficiale fatta a Francesco e a Giovanni per la firma delle ricevute e la riscossione dei pagamenti (una seconda rata di 300 ducati, il saldo di 450, 30 zecchini d'oro per l'aggiunta dei putti, tra il gennaio e il settembre 1768: Rossi, 1981, pp. 234 s.).
Nella tarda primavera del 1767, mentre lavorava o più probabilmente sovrintendeva all'esecuzione delle statue di S. Rocco, il G. si risposò - pare controvoglia e sotto forti pressioni esterne - con una Antonia (Ceresole, 1877, p. 107). Il 24 agosto di quello stesso anno fece testamento, affidando ai figli la bottega. Morì il 4 giugno del 1769 nella sua casa veneziana di S. Bartolomeo.
Attivo perlopiù a Venezia e stretti dintorni, esecutore diligente e spesso raffinato, a suo agio nei temi sacri come in quelli profani, il G. seppe interpretare con gusto lo spirito esornativo della scultura contemporanea. Si confrontò coi maggiori nomi veneziani, in Accademia e sui "cantieri" delle chiese cittadine e delle ville suburbane, ma la stilizzazione e l'equilibrio comuni a G. Torretto, G. Mazza e A. Tarsia restano i referenti privilegiati della sua ineccepibile correttezza formale; comprovabili gli scambi e le influenze col più giovane Marchiori, che gli lavorò accanto in varie occasioni e che poté apprendere da lui l'eleganza studiata del panneggio.
Nulla ci è dato sapere della bottega del G., alla quale appartenevano certamente i figli Francesco e Giovanni, associati al genitore, in una pubblica patente d'idoneità, già sul cancello della loggetta. I due ricalcarono le orme del padre, ereditandone lo stile, i pubblici incarichi e, con ogni probabilità, la committenza. Come G. Bonazza, G.M. Morlaiter e F. Cabianca, Francesco lavorò alle Bocche di Cattaro; sono suoi, e firmati, il S. Giovanni Evangelista e il S. Rocco dell'altar maggiore di S. Maria di Scarpello, eseguiti nella prima metà del secolo (Vasic, 1959-60). A Venezia fece parte dell'Accademia di pittura e scultura dalla morte del padre sino alla propria, sopraggiunta alla fine del nono decennio. Nel 1770 gli venne richiesto, come da statuto accademico, un saggio scultoreo che non consegnò mai (Bassi, 1941). Giovanni ha sicuramente al suo attivo il busto di Teofilo Folengo della chiesa parrocchiale di Campese e il S. Giovanni Battista sull'altare della chiesetta privata di Ca' Rezzonico a Bassano (Verci, 1775). Sono stati recuperati al suo scarno catalogo i busti del doge Niccolò Sagredo e del patriarca Alvise Sagredo in S. Francesco della Vigna a Venezia, del 1745 circa (Barcham, 1983), in passato alternativamente attribuiti a lui e al padre, che praticò il genere nel disperso Cardinal Querini di Busche (presso Feltre); nel Museo Correr di Venezia si conserva un busto del doge Bartolomeo Gradenigo firmato semplicemente "Gai" che la Casanova (1957) attribuisce al G., mentre il Semenzato lo espunge dal corpus dell'artista, senza tuttavia avanzare altra paternità (1966, p. 132). Nel 1771 Giovanni riceve dai Pisani-Moretta 2210 lire per lavori non identificati nel "tinello novo" del palazzo cittadino di S. Polo (Chiappini di Sorio, 1982); stante il rapporto di committenza, non è escluso che possano essere riferite alla sua mano, in tutto o in parte, le statue della "Barbariga" attribuite al padre.
Fonti e Bibl.: T. Temanza, Zibaldon (1738), a cura di N. Ivanoff, Venezia-Roma 1963, pp. 23 s., 29-33; F. Costa, Delle delicie del fiume Brenta, I, Venezia 1750, n. 44; T. Temanza, Vita di Jacopo Sansovino, Venezia 1752, p. 27; G.B. Verci, Notizie intorno alla vita e alle opere de' pittori, scultori e intagliatori della città di Bassano, Venezia 1775, pp. 316, 321 (per Giovanni); F. Bartoli, Le pitture, sculture ed architetture della città di Rovigo, Venezia 1793, pp. 21 s.; V. Ceresole, La grille de la "Loggetta" œuvre d'A. G. de Venise, in L'Art, III (1877), 2, pp. 104-107; O. Sirén, Dessins et tableaux de la Renaissance italienne dans les collections de Suède, Stockolm 1902, p. 109; G. Lorenzetti, La loggetta del campanile di S. Marco, in L'Arte, XIII (1910), pp. 115-118, 132 s.; G. Fogolari, L'Accademia veneziana di pittura e scoltura del Settecento, ibid., XVI (1913), pp. 246, 250, 260, 385 s.; E. Bassi, La Regia Accademia di belle arti di Venezia, Venezia 1941, p. 70 (per Francesco); Notizie d'arte tratte dai notatori e dagli annali del n. h. Pietro Gradenigo, a cura di L. Livan, Venezia 1942, pp. 4, 68, 127, 161, 176; M. Brunetti, Un eccezionale collegio peritale: Piazzetta, Tiepolo, Longhi, in Arte veneta, V (1951), pp. 158-160; L. Casanova, Un busto del G. al Museo Correr, in Bollettino dei Musei civici veneziani, II (1957), 1-2, pp. 33 s.; P. Vasic, Scultori veneziani nelle Bocche di Cattaro, in Arte veneta, XIII-XIV (1959-60), p. 125 (per Francesco); C. Semenzato, La scultura veneta del Seicento e del Settecento, Venezia 1966, pp. 58 s., 130-132; P. Rossi, Lavori settecenteschi per la chiesa di S. Rocco: la decorazione della sagrestia e le sculture della facciata, in Arte veneta, XXXV (1981), pp. 227 s., 230 s., 233-235; P. Rossi, L'attività di G. Marchiori per la Scuola di S. Rocco, ibid., XXXVI (1982), pp. 262, 264, 266; I. Chiappini di Sorio, Gli stuccatori delle decorazioni a palazzo Pisani-Moretta a S. Polo, in Notizie da palazzo Albani, XI (1982), 1-2, p. 103 (per Giovanni); W.L. Barcham, The Cappella Sagredo in S. Francesco della Vigna, in Artibus et historiae, IV (1983), 7, pp. 119 s. (per Giovanni); G. Vio, G. Torretti, intagliatore in legno e scultore in marmo, in Arte veneta, XXXVIII (1984), pp. 205, 208; E. Bassi, Ville della provincia di Venezia, Milano 1987, pp. 203, 234, 526; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, pp. 69 s.