GALLO, Antonio
Nacque verso il 1440 da Cristoforo, esponente di una nobile famiglia originaria di Levanto e trasferitasi a Genova nel 1380. Le notizie sull'infanzia e sulla formazione culturale del G. sono scarse. Probabilmente ricevette una buona educazione, come si può dedurre dalla correttezza filologica del De rebus gestis Alexandri Magni liber tertius di Curzio Rufo, testo che egli finì di copiare nel 1462 (Venezia, Bibl. naz. Marciana, Lat. Z.386 [=1849]). Da un atto notarile del 20 genn. 1466 risulta che era già sposato con Isabella, figlia di Gerolamo di Giogo. Lo stesso anno il G. partecipò alla spedizione della Repubblica genovese contro Barcellona, rea di avere infranto la tregua stipulata da Genova con il re d'Aragona Giovanni II. L'episodio è narrato dal G. nel suo Commentarius de Genuensium maritima classe in Barchinonenses expedita.
L'opera, redatta probabilmente pochi anni dopo, su invito dell'amico Gotifredo d'Albaro, in quel periodo annalista ufficiale di Genova, affronta con eccessiva abbondanza di particolari la narrazione della spedizione punitiva, ma descrive l'evento con imparzialità, soffermandosi ora a elogiare il capitano della flotta genovese, Lazzaro Doria, ora a criticare la scarsa disciplina della ciurma, intenta solo a salvarsi la vita e a fare un ricco bottino. Nell'ottobre del 1467 il G. divenne notaio, seguendo così la tradizione familiare, ed esercitò fino al 1508. Le prime notizie relative alla sua carriera pubblica risalgono al 1470, quando fu inviato presso il duca di Milano per negoziati relativi alla Comunità di Chiavari. Nel 1474 fu eletto console delle Calleghe, nel 1475 sindacatore, l'anno successivo officiale della Moneta, nel 1477 di nuovo console delle Calleghe. Ricoprì la carica di consigliere del Collegio dei notai nel 1486 e nel 1489 fu inviato come ambasciatore presso il duca di Milano.
Nel 1490 divenne cancelliere del Banco di S. Giorgio, carica che gli rendeva 250 lire l'anno e che gli consentiva di usufruire delle relazioni del Banco con la Corsica e di volgere a suo profitto gran parte dei commerci con la colonia. Esercitò anche il commercio, nel quale veniva aiutato dai fratelli Barnaba e Gregorio, dai figli e dai congiunti, attività documentata dai due registri dei Cartularia rationum privatarum Antonii Galli (Arch. di Stato di Genova, Mss., 711, 750). Il primo registro è relativo al periodo più intenso, gli anni 1491-94; il secondo, che va dal 1504 al 1509, ci offre l'immagine di un uomo gravato dagli anni e con un giro d'affari limitato alle rendite delle case possedute a Genova e nei dintorni. Da questi registri il G. risulta commerciante all'ingrosso di stoffe genovesi e forestiere, di cotone, pepe e allume e proprietario di una "apoteca" di panni, che forse era appartenuta al fratello Barnaba, morto prima del 1479, e che annoverava tra i suoi clienti le famiglie più ricche di Genova.
In tempi ancora caratterizzati da frequenti carestie, il commercio del vino e dell'olio, ma soprattutto del grano e dell'orzo, dovevano offrire redditi cospicui: molte pagine dei due registri testimoniano gli acquisti e le vendite di cereali provenienti dalla Lombardia, da Arles, da Orano, dalle Fiandre e specialmente dalla Corsica. Il G. risulta dapprima cointeressato nella proprietà dei galeoni che trasportavano le sue merci, poi unico proprietario di un "lembo", che nel 1504 si trovava di stanza ad Ajaccio, e di una seconda imbarcazione dello stesso tipo, acquistata a Portofino nel 1507. Nel 1491 egli ricoprì la carica di cancelliere ad Amelia e Sarzana, nel 1493 fu nominato commissario in Corsica, ufficio che ricoprì per 14 anni, e che gli consentì di importare stoffe, barili d'olio, pezze di cuoio, acciaio. Prima del 1491 rimase vedovo, con cinque figli, e passò presto a seconde nozze con Damianina Boeto, vedova e madre di un'unica figlia, Lucrezia. La seconda moglie apparteneva a una ricca famiglia e aveva proprietà a Terralba e a Lavagna. Probabilmente per tenere in famiglia tutte le sostanze di Damianina il G., tra aprile e luglio del 1492, combinò un matrimonio tra il figlio Paolo e Lucrezia, unione da cui discese una numerosa prole. Nel 1494-95 il G. fu commissario a Lerici e ad Amelia, nel 1496 cancelliere dei commissari a Sarzana e nel 1499 fu inviato in missione diplomatica presso il re di Francia per offrirgli il dominio di Genova.
Il G. dimostrò accortezza e abilità negli affari, affiancando all'attività di mercante quella di banchiere. Inizialmente faceva prestiti per conto dell'Ufficio di S. Giorgio, poi svolse in proprio attività di cambio e di prestiti su pegni di oggetti preziosi. Con la sua numerosa famiglia risiedeva a Genova nella casa appartenuta alla prima moglie, che si trovava nel carruggio dritto di Ponticello, fuori l'antica porta di S. Andrea, poco lontano dalla casa dei Colombo. Nei dintorni di Genova il G. possedeva, oltre ai possedimenti trasmessi da Damianina, la villa paterna di Quinto che aveva ricostruito e ampliato e dove, con la sua famiglia, trascorreva i mesi estivi.
Il G. non trascurava di annotare tra le spese i frequenti acquisti di libri, opere latine - come le declamazioni attribuite a Quintiliano, le epistole di Cicerone, un Virgilio, le epistole di Ovidio, uno Svetonio con commento, i panegirici di Plinio il Giovane, un'opera di Prudenzio - e opere di contemporanei, come una centuria di Poliziano e un libro di Marsilio Ficino.
Non si conosce la data di morte del G., ma nel secondo registro segnò la riscossione di una vendita di antenne il 18 ott. 1509, mentre il 27 febbr. del 1510 il figlio Paolo si riferiva nei suoi atti al "q. Antonio" e nominava procuratore suo fratello Bernardo, anch'egli notaio. Il G. fu sepolto nella cappella di famiglia di S. Filippo della chiesa di S. Maria dei Servi a Genova.
L'attività storiografica del G. ha continuato la tradizione e il modello degli annali, con la narrazione di vicende contemporanee, prive di riferimenti alle origini della città o di più ampie contestualizzazioni storiche. Scrisse tre opere, diverse per argomento e taglio, ma sempre legate alla storia cittadina: il già citato Commentarius de Genuensium maritima classe in Barchinonenses expedita, i Commentarii rerum Genuensium e il De navigatione Columbi per inaccessum antea Oceanum commentariolum. I testi (editi tutti e tre a cura di E. Pandiani, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XXIII, 1) sono in latino e di chiara influenza classica: le date degli avvenimenti sono scritte all'uso latino e le ore della notte sono divise in quattro vigilie, nonostante l'autore sia consapevole che il suo stile si discosta da quel genere. I Commentarii rerum Genuensium vennero scritti quasi in concorrenza con Gotifredo d'Albaro, e oggi rivestono una certa importanza poiché colmano parzialmente un periodo della storia genovese privo di annali ufficiali. Il G. divise la narrazione in due parti: la prima dal 1476 al 1478; la seconda dalla guerra pontificio-fiorentina del 1478 alla fine dell'anno. Si presume che l'opera sia rimasta incompiuta, poiché alla fine la narrazione resta come sospesa.
Nel più noto di questi testi, il De navigatione Columbi…, il G. descrive l'impresa del grande navigatore. Secondo Spotorno l'opera, incompiuta (si arresta infatti alla narrazione del secondo viaggio), fu composta tra il secondo e il terzo viaggio di Colombo, cioè tra il 1496-98, mentre Revelli sostiene che fu iniziata nel 1506, probabilmente dopo la morte del navigatore, avvenuta nel maggio dello stesso anno.
Il G. sostiene che Cristoforo e suo fratello Bartolomeo erano nati a Genova da una famiglia popolare dedita all'arte della lana. L'affermazione è importante per la controversia sull'identificazione della patria del grande navigatore, ed è resa attendibile dal fatto che il G. probabilmente conobbe, se non personalmente Cristoforo, la sua famiglia: la tenuta di Quinto confinava infatti con i terreni di Mico Colombo, cugino di Cristoforo. Il G. aveva anche fatto prestiti in denaro a Mico, estinti dalla moglie di questo col suo lavoro di tessitrice. Pandiani sostiene che il G. usò come fonte le lettere autografe che il navigatore inviò ai suoi parenti di Quinto. Inoltre il G. ebbe rapporti epistolari ufficiali con Colombo in qualità di cancelliere del Banco di S. Giorgio, come testimonia la minuta di una lettera scritta dal notaio l'8 dic. 1502: "n'è stato dato una lettera de Vostra Claritudine, la quale ne ha data una consolatione singularissima, vedendo per quela, Vostra Excelentia essere, como è consentaneo a la natura sua, afectionato de questa sua originaria patria, a la quale mostra portar singularissimo amore et carità" (Revelli, 1926, p. 92).
Fonti e Bibl.: R. Soprani, Li scrittori della Liguria, Genova 1667, pp. 36 s.; M. Giustiniani, Gli scrittori liguri, Roma 1667, p. 91; A. Oldoini, Athenaeum Ligusticum…, Perugia 1680, pp. 45 s.; G. Spotorno, Storia letteraria della Liguria, Genova 1824, II, pp. 22-25; L.T. Belgrano, Della dedizione dei Genovesi a Luigi XII re di Francia, in Miscellanea di storia italiana, I (1862), pp. 557, 615-633; M. Staglieno, A. G. e la famiglia di Cristoforo Colombo, Genova 1890, pp. 3-10; H. Vignaud, Études critiques sur la vie de Colomb avant ses découvertes, Paris 1905, pp. 41, 51 s., 101; E. Pandiani, Vita privata di A. G. cronista genovese del secolo XV, in Archivio Muratoriano, XIV (1914), pp. 143-160; P. Revelli, Terre d'America e archivi d'Italia, Milano 1926, pp. 91 s.; Id., Cristoforo Colombo e la scuola cartografica genovese, Genova 1937, pp. 90 s., 96, 225 s., 452 s.; L. De Simoni, La genovesità di Cristoforo Colombo come fu intesa dal notaio A. G., in Bollettino del Civico Istituto Colombiano, I (1953), 1, pp. 57 s.; G. Petti Balbi, La storiografia genovese fino al secolo XV, in Studi sul Medioevo cristiano offerti a R. Morghen, Roma 1974, p. 843; G. Ferro, La tradizione cartografica genovese e Cristoforo Colombo, Roma 1992, pp. 93 s.; Repertorium fontium historiae Medii Aevi, IV, p. 628, s.v.