GHISLANZONI, Antonio (Giacomo Antonio)
Terzo di sei figli, nacque a Lecco il 25 nov. 1824 da Giovanni Battista, già soldato napoleonico, medico e direttore dell'ospedale cittadino, e da Teresa Cremona. Dopo le elementari (tra i compagni d'infanzia c'era il coetaneo A. Stoppani, futuro autore del Bel paese), il 5 nov. 1834 entrò, per volontà del padre, nel seminario di Castello. Qui il carattere insofferente, già capace di atteggiamenti di rifiuto dell'autorità paterna e soprattutto dell'educazione impartita dalle istituzioni religiose, lo portò a scontrarsi con la rigida disciplina dell'istituto e con l'autoritarismo del rettore. Espulso nel 1841 per il comportamento giudicato irriverente e scorretto, nel novembre dello stesso anno il G. si trasferì a Pavia per terminarvi il liceo e iscriversi nel 1843 alla facoltà di medicina. Entrato in amicizia con B. Cairoli, assorbì dalla madre di questo l'amore per la musica e gli ideali patriottici, tanto da accostarsi al mazzinianesimo e da abbandonare l'università per dedicarsi, nonostante l'opposizione paterna, allo studio del canto presso l'istituto Tadini di Lovere. Dopo avere firmato un contratto quinquennale con un impresario milanese come primo baritono assoluto, esordì a Lodi ottenendo un lusinghiero successo, che gli fu confermato nel 1847 dal teatro Carcano di Milano.
Ingegno versatile, collaboratore fin dal 1844 della Gazzetta provinciale di Pavia come autore di poesiole, racconti e recensioni teatrali, compilatore dall'inizio del 1848 del Corriere delle mode, supplemento del Corriere delle dame, alla notizia dell'insurrezione del 18 marzo il G. passò da Piacenza a Milano il 3 aprile fondandovi un giornale mazziniano, Il Repubblicano, di cui restano tracce sino al 4 maggio e redigendo, tra il 18 e il 27 dello stesso mese, un quotidiano, il Dialogo del popolo.
Erano iniziative effimere, nate nel clima entusiastico del momento, e che tuttavia, oltre a ribadire la volontà della partecipazione politica, preludevano a un'intensa esperienza giornalistica, destinata ad assorbire in seguito una parte consistente delle energie del G.; intanto, dopo avere forse incontrato G. Mazzini a Lugano - si era rifugiato in Svizzera dopo il ritorno degli Austriaci in Lombardia - nel 1849 era tratto in arresto dai Francesi mentre cercava di raggiungere Roma, dove resisteva la repubblica. Condotto a Bastia e poi liberato, riuscì a organizzare una nuova compagnia, con la quale si trasferì in Francia e il 2 dic. 1851, la sera del colpo di Stato di Luigi Napoleone Bonaparte, rappresentò l'Ernani di G. Verdi al Théâtre des Italiens di Parigi. Tornato in Italia - forse nel 1854 - sciolse la compagnia dopo che la sua ultima esibizione milanese, nel 1855, fece registrare un clamoroso insuccesso. La scomparsa del cantante coincideva con la nascita dello scrittore, come ricorderà lo stesso G. in alcune pagine autobiografiche raccolte nel Libro serio (Milano 1879), rievocando in particolare una recensione di G. Rovani che, rallegrandosi per il suo abbandono, gli aveva preannunziato "allori più invidiabili nel campo delle lettere".
Il frutto più noto e significativo della sua nuova attività fu il romanzo Gli artisti da teatro, storia di una tormentata vicenda d'amore tra due cantanti uscita a puntate sul milanese Cosmorama pittorico a partire dal gennaio 1857 (pubblicato in volume, a Milano, dal 1858, con sette edizioni ottocentesche e tre novecentesche).
I limiti dell'opera, che ha i suoi modelli nelle Scènes de la vie de bohème (1851) di H. Murger e soprattutto nelle Illusions perdues (1837-43) di H. de Balzac, consistono in una iperbolica e stereotipata connotazione appendicistica, che va dalla retorica sentimentale al ritratto truculento dei malvagi; interesse storico-documentario ha invece la raffigurazione dell'ambiente che ruota attorno ai teatri e alle sedi dei giornali. La componente autobiografica e l'intento di polemica sociale vengono a incontrarsi nel tentativo di dar vita a uno dei primi romanzi contemporanei di costume, in cui tuttavia la denuncia appare stemperata nei modi schematici di un moralismo convenzionale e qualunquistico, che non tocca le radici del problema. Questa contraddizione di fondo, destinata a rimanere irrisolta negli scritti e negli atteggiamenti del G., ne spiega le vistose incongruenze e oscillazioni, le adesioni e le ritrattazioni.
Da allora fu tutto un succedersi di iniziative culturali nei campi più svariati e con un percorso tutt'altro che lineare: innumerevoli le collaborazioni a quotidiani e periodici, su cui comparvero spesso suoi romanzi e racconti; fra l'ottobre e il dicembre 1859 furono circa 150 gli articoli del G. apparsi sul Cosmorama pittorico, da lui diretto; sulla Lombardia videro la luce più di cento appendici, oltre a vari testi narrativi (tra cui Un capriccio della rivoluzione, 1859); sull'Uomo di pietra, che diresse per qualche mese nel 1859, stampò nel 1857 Le memorie di un gatto, un "romanzo umoristico-sociale" che si richiama al precedente Gatto (1846) di G. Rajberti (altri suoi racconti comparvero sulla Strenna dell'Uomo di pietra); per la Gazzetta del popolo di Milano scrisse nel 1860 I misteri del clero ambrosiano e La feccia di Milano, precorrendo le inchieste di P. Valera sulla vita dei bassifondi; sullo Spirito folletto del 1861 pubblicò la Storia dell'avvenire, primo nucleo del romanzo Abrakadabra, di cui altre puntate sarebbero state anticipate sul Pungolo del 1863 e sulla Lombardia del 1874; al Figaro, cui il G. diede vita nel 1862-63, furono destinate le Memorie politiche di un baritono e parecchi racconti. Molte le rubriche da lui tenute: "Corriere di Milano" (sulla Lombardia, dal 1861), "Viaggio umoristico nelle contrade di Milano" (su Il Lombardo, 1861), "Della democrazia" (su La Settimana illustrata, 1863), "Bollettino teatrale" (in Costumi del giorno, 1864), "Conversazioni milanesi" (in L'Alleanza, 1865), "Appunti settimanali" (in L'Illustrazione universale, 1867).
Attraverso questa assidua presenza nella vita culturale milanese il nome del G. acquistò ben presto un'ampia risonanza, il cui significato è da valutare anche in relazione all'affermarsi della scapigliatura e alla sua frantumazione in posizioni e iniziative anche diverse e contrastanti fra loro ma riconducibili in genere a un atteggiamento di rifiuto o di insofferenza verso i valori della società borghese e i modelli letterari che li rappresentavano. In questa vicenda, il G. legò il suo nome soprattutto alla fondazione, nel 1865, della Rivista minima che, dopo una lunga interruzione fra il 1866 e il 1871, diresse fino al 1875, quando cedette l'incarico a S. Farina. Sulle colonne della rivista, di piccolo formato e irregolare nelle sue uscite (che comprendevano anche dei supplementi), trovarono ospitalità testi di E. Praga e I.U. Tarchetti, che nel G. ebbe il proprio scopritore. Alla scapigliatura va assegnata parte dell'attività ghislanzoniana, per quanto riguarda i numerosi racconti umoristici e alcuni testi fantastici (Racconti incredibili, Milano 1868).
Secondo G. Mariani, inoltre, il romanzo Angioli nelle tenebre (ibid. 1865), intriso di patetismo populista, il racconto Un suicidio a fior d'acqua (1864), che muove da un intento parodico nei confronti delle foscoliane Ultime lettere di Jacopo Ortis, e il "romanzo comico-sentimentale" Le donne brutte (ibid. 1867) avrebbero fornito qualche spunto ai romanzi di I.U. Tarchetti (Paolina, Una nobile follia e Fosca). Ma si trattava di analogie puramente esteriori, se è vero che fin dall'inizio il G. restava estraneo a ogni autentica volontà di rottura, risolvendo piuttosto il suo anticonformismo nella misura a lui più congeniale del divertissement, dell'eccentricità stravagante e scherzosa. Così, nel giudicare i versi di E. Praga, tendeva a ridimensionarne gli aspetti "maledetti" e ribelli, insistendo sulla poesia degli affetti e dei buoni sentimenti, mentre su A. Boito esprimeva pareri sostanzialmente ambigui, di cauta e diffidente adesione. Più tardi, con un intervento sulla Rivista minima del 3 genn. 1875 prese decisamente le distanze dagli "avveniristi" scrivendo: "Da noi hanno finito col chiamarsi scapigliatura e bohème tutti gli artisti senza ingegno e senza commissioni, tutti i letterati che si ubriacano, tutti i giornalisti che vivono di ricatti. […] Francamente agli scapigliati d'oggidì io preferisco di lunga mano i classici d'una volta". Ma nella lettera a S. Farina, posta come introduzione a La contessa di Karolystria (ibid. 1883), non esitò ad affermare: "Io sono un vecchio matto, voi un giovane serio ed assestato; io appartengo alla scapigliatura incorreggibile, voi rappresentate il modello dei cittadini, dei mariti e dei padri; io faccio della prosa per far ridere i buontemponi, fabbrico dei versi per far disperare i maestri, e voi scrivete dei romanzi squisitamente arguti per educare gli animi a tutto che vi ha di gentile e di onesto".
Un atteggiamento del genere sembrava avere un corrispettivo sul piano delle posizioni politiche, dove, con la sola costante dell'anticlericalismo, il giovanile mazzinianesimo lasciava gradualmente il posto a una crescente sfiducia nelle concezioni liberali e a una professione di conservatorismo che non era tanto adesione a un programma politico, quanto conclamata insofferenza nei confronti di ogni soluzione praticabile. Non si trattava nemmeno di involuzione, ma piuttosto di un individualismo scettico e pessimistico, che trovava il suo humus in quelle stesse contraddizioni sulle quali, dopo averle indicate, il G. finiva per adagiarsi. Non a caso la cifra più caratteristica della sua torrenziale produzione era quella umoristica, variamente coniugata nei modi della bizzarria e del "capriccio" (un termine assai caro al G.), ma sempre superficiale, spesso paga di effetti meccanici, insidiata da un moralismo che annacquava e negava le eventuali premesse provocatorie. Nella ricerca del paradosso e dell'amplificazione l'insofferenza e l'irriverenza si risolvono così nel loro opposto, senza attingere a quel "sentimento del contrario" che L. Pirandello teorizzerà nel suo saggio sull'Umorismo (1908).
La radice anticonformistica della produzione ghislanzoniana sembra piuttosto da ricercarsi nella genesi sociologica del fenomeno scapigliato, nella diffusione del giornalismo e nell'industrializzazione della cultura, che trasforma anche la letteratura in un prodotto di mercato e l'arte in mestiere. Anche il G. risentì di questa situazione e ne subì le conseguenze, denunciate in una lettera a C. Arrighi che, apparsa sulla Cronaca grigia del 18 e 25 sett. 1865, voleva essere realistica presa d'atto della avvenuta subordinazione della letteratura al mercato. Ma a differenza di chi, come il Praga, rimase vittima di questo sistema, il G. seppe adattarsi, trovando in esso, sia pure faticosamente, i mezzi per condurre la propria esistenza, ma pagando lo scotto del bozzettismo tipico di una scrittura per quotidiani, svelta e scorciata. Quando non si impantanava nella retorica sentimentale, anche lo stile appariva mosso e variegato, e, pur restando estraneo al "plurilinguismo" di altri scapigliati (C. Dossi, per esempio), andava oltre il manzonismo teorizzato da E. De Amicis, aprendosi, con i risultati propri della trovata brillante o del gioco di parole, all'innesto di forme e costrutti eterogenei.
La dispersione e l'episodicità, stilistiche e strutturali, caratterizzavano anche i romanzi più ampi e lungamente elaborati, come Abrakadabra (ibid. 1884), opera nata con l'intento di "esprimere in forma di romanzo la rotazione dell'universo morale materiale" (così in una introduzione del 1865, poi soppressa) e proiettata in un futuro fantascientifico (gli ultimi decenni del secolo XX) in cui il progresso tecnologico non migliora la reale natura dell'uomo, così da rendere necessario un nuovo diluvio. All'inconsistenza filosofica, già additata da B. Croce, si accompagna la discontinuità non di rado farraginosa del racconto, in cui la conclusione apocalittica è anche la proiezione metaforica del pessimismo dell'autore, delle sue convinzioni immobilistiche. Nella ristampa curata da E. Villa nel 1969 il romanzo era accompagnato da La contessa di Karolystria (1883), un lungo racconto che, abbandonate le sovrastrutture ideologiche, raggiunge una più vivace e divertente scioltezza di esecuzione.
Le caratteristiche salienti dello scrittore restavano comunque quelle del poligrafo dalla facile vena, pronto a cimentarsi nei più svariati tentativi, con uno sguardo sempre attento alle possibili reazioni del pubblico e ai modi con cui catturarne l'attenzione.
Questa prolificità consentì al G. di pubblicare, tra l'altro: L'arte di farsi sposare insegnata alle ragazze di buona famiglia (ibid. 1865), elogiata dal Tarchetti, e L'arte di far debiti di Roboamo Puffista (ibid. 1867); un volume di Racconti politici (ibid. 1869-70; n. ed. ampliata, ibid. 1876); la commedia Tutti ladri (ibid. 1875); il romanzo Ernesto Redenti. Scene della vita letteraria (ibid. 1878), presentato come il seguito di Artisti da teatro; una Storia di Milano dal 1836 al 1848 (ibid. 1879), condotta con un piglio cronachistico e aneddotico, in cui il G. faceva confluire anche le proprie esperienze autobiografiche (rist. in Memorialisti dell'Ottocento, a cura di C. Cappuccio, II, Milano-Napoli 1958, pp. 253-277).
A tutti questi generi della narrazione in prosa si aggiungeva la poesia, cui il G. affidava i suoi estri polemici e bizzarri, nei ritmi di una facile e scorrevole cantabilità. Nel Libro proibito (ibid. 1878), per esempio, i suoi testi satirici ed epigrammatici (oltre ad alcune anacreontiche) ribadivano la sua insofferenza verso tutti gli aspetti dell'arte e del costume contemporanei. Ma i risultati più significativi erano da lui colti in un altro vasto settore della sua instancabile attività: quello dei libretti d'opera, che fanno del G. una delle personalità più rilevanti in questo settore. Qui soprattutto poté mettere a frutto le esperienze maturate negli anni giovanili sulla scena, continuando a coltivare interessi che mai aveva abbandonato: oltre a occuparsi della Gazzetta musicale (ceduta nel 1869 a S. Farina), aveva discusso di musica su altre testate, anteponendo G. Verdi a R. Wagner ammirato da molti "avveniristi" (ma riferimenti a queste convinzioni si trovano sparsi anche nelle opere narrative, a ulteriore conferma dell'osmosi fra giornalismo e letteratura).
Un'ottantina sono i libretti scritti dal G., che pubblicò anche, nel 1877, l'Album di romanze per musica e le Mie idee sul libretto per musica. Se la maggior parte era destinata a opere oramai dimenticate, non mancavano testi composti per musicisti più accreditati, come il Salvator Rosa di C.A. Gomes e I Lituani di A. Ponchielli, rappresentati entrambi nel 1874. La notorietà, in questo campo, gli era derivata soprattutto dal libretto allestito, con una sobria riduzione, per I promessi sposi, musicati da E. Petrella e andati in scena con successo nel 1869.
Fu probabilmente per merito delle capacità dimostrate in questa occasione che il Verdi lo scelse per il libretto dell'Aida (1872), a cui il nome del G. è rimasto soprattutto affidato; come risulta dal carteggio, fu un impegno difficile e faticoso, per l'esigenza di conciliare la forma del testo con le pressanti richieste verdiane. Ma il risultato fu pieno, tanto che anche il libretto, oltre alla fortuna clamorosa dell'opera, resta fra i più significativi di questo genere letterario.
Anche in questo campo il G. si misurava direttamente con le richieste della committenza e le attese del pubblico (per l'Aida rimpianse di aver accettato un compenso forfettario, anziché una percentuale sui diritti delle rappresentazioni, che gli avrebbe assicurato quella tranquillità economica rimasta invece fino all'ultimo precaria). Una particolare attenzione dedicava all'organizzazione degli scritti letterari sia nel passaggio dal giornale al libro, sia nei modi della presentazione editoriale. I testi narrativi più brevi apparvero, variamente ripresi e combinati, in più volumi, tra cui l'ampia silloge del 1874 intitolata Racconti e novelle (comprende Dietro una valanga, Una partita in quattro, Autobiografia di un ex-cantante, Daniel Nabaäm De-Schudmoëken, La corte dei nasi, Giuda Iscariota, Il renitente, Se il marito sapesse, Un uomo colla coda, Cugino e cugina, I primi passi alla scienza, Ciò che si vuole, Il redivivo, Il violino a corde umane, La tromba di Rubly, Le vergini di Nyon, Il flauto di mio marito e Le sedici battute dell'Africana). Nel 1869-70 erano usciti, sempre a Milano, in tre serie gli Scritti piacevoli, seguiti da una quarta serie nel 1872. Tra il 1878 e il 1882 apparvero (ibid.) il Libro allegro, il Libro proibito, il Libro serio, il Libro segreto e il Libro bizzarro. Il successo del Libro proibito, giunto nel 1890 alla settima edizione, fu dovuto anche all'abilità con cui venne presentato, chiuso con una fascetta, come se si trattasse di una pubblicazione licenziosa (nella premessa al volumetto di versi, intitolata Interdetto, l'autore metteva in guardia il lettore dall'aprirne le pagine). Da ultimo una buona parte degli scritti ghislanzoniani fu fatta confluire nei Capricci letterari, pubblicati a Bergamo in sei volumi dal 1886 al 1889 (con lo stesso titolo erano usciti, nel 1870, 23 fascicoli allegati alla Gazzetta musicale).
All'altezza degli anni Settanta si registrò un sostanziale ripiegamento dello scrittore, che nelle Confessioni di un critico (sulla Lombardia del 26 ott. 1870) denunciava con una sorta di ritrattazione l'inconcludenza e le falsificazioni della critica militante e, coinvolgendo anche se stesso, confessava: "la più parte dei libri moderni io li ho lodati senza leggerli". Staccatosi da Milano, alternava i soggiorni in città (dove aprì anche una bottega di libri) con la residenza a Mariaga di Eupilio, per poi trasferirsi a Malgrate, in una casa al cosiddetto porto di Lecco, e infine a Caprino Bergamasco. Non abbandonò comunque la collaborazione ai giornali (a quelli già indicati vanno aggiunti il Corriere della sera, La Farfalla, La Gazzetta illustrata e La Commedia umana), né trascurò la vocazione "imprenditoriale", rilanciata nel 1877 con la fondazione del Giornale capriccio, la cui cessazione, nel 1879, lo costrinse, per far fronte ai debiti contratti, a vendere la casa di Barco (presso Lecco), da cui proveniva la famiglia. L'ultima impresa a cui diede vita fu La Posta di Caprino (dal luglio 1890 al dicembre 1892), che compilò praticamente da solo. Nel 1892 gli venne a mancare la moglie Maria Bosisio, sposata nel 1859 e affetta, negli ultimi anni, da una grave forma di malattia mentale.
Dopo aver diretto per un breve periodo la Cronaca, il G. morì a Caprino Bergamasco il 16 luglio 1893.
Fonti e Bibl.: Circa 450 lettere del G. sono conservate presso la Biblioteca comunale di Como, la Biblioteca Pio Rajna di Sondrio e l'archivio della casa editrice Ricordi di Milano: cfr. in proposito A. Benini, La sua vita, attraverso le lettere, in L'operosa dimensione scapigliata di A. Ghislanzoni.Atti del Convegno di studio… Milano… 1993, Lecco 1995, pp. 247-258. Le lettere di Verdi al G. sull'Aida sono pubblicate in I copialettere di G. Verdi, a cura di G. Cesari - A. Luzio, Milano 1913, pp. 638-675; documentazione relativa alla attività di librettista del G. in C. Vambianchi, Il maestro Errico Petrella ed il poeta A. G. per l'opera "I promessi sposi" (da lettere e documenti inediti), in Rivista di Bergamo, II (1923), 23-24, pp. 1214-1218; A. Luzio, Come fu composta l'"Aida" (con nuovi documenti verdiani), in Nuova Antologia, 16 marzo 1935, pp. 203-221. Un nutrito elenco delle collaborazioni giornalistiche, talora con descrizione o citazioni, si ricava da La pubblicistica nel periodo della scapigliatura. Regesto per soggetti dei giornali e delle riviste esistenti a Milano e relativi al primo ventennio dello Stato unitario: 1860-1880, a cura di G. Farinelli, Milano 1984, ad indicem. Per notizie, testimonianze di contemporanei e inquadramenti critici si vedano: S. Farina, La mia giornata. Care ombre, Torino 1913, pp. 100-117; P. Nardi, Scapigliatura. Da Giuseppe Rovani a Carlo Dossi [1924], Milano 1968, pp. 101-103 e passim; A. Nava, A. G.: cenni biografici, Lecco 1924; U. Cermenati, pref. ad A. Ghislanzoni, Abrakadabra, Milano 1924; B. Croce, A. G., in La Critica, 20 marzo 1935 (poi in Id., Letteratura della nuova Italia, V, Bari 1950, pp. 111-118); B. Lupo, Uno scapigliato di giudizio: A. G., in Rivista di Bergamo, XVII (1938), pp. 7-13; L. Ridenti, introd. ad A. Ghislanzoni, Gli artisti da teatro, Milano 1944; M. Morini, Epigoni del romanticismo lombardo: A. G. nella vita e nell'arte, in La Martinella, VII (1953), pp. 472-476, 538-544, 615-620; D. Nava, Manzoni, Verdi e il lecchese A. G., in Atti del Quinto Congresso nazionale di studi manzoniani, Lecco… 1961, Lecco 1963, pp. 173-185; A. Ambesi, G. e la scapigliatura. Il librettista dei "Promessi sposi", in La Fiera letteraria, 29 giugno 1963; E. Travi, A. G., un vivo e frettoloso ingegno, in L'Italia, 20 giugno 1963; A. Zappa, A. G.: mostra documentaria. Bibliografia ghislanzoniana, Lecco 1964; G. Mariani, Storia della scapigliatura, Caltanissetta-Roma 1967, pp. 695-700 e passim; E. Villa, introd. ad A. Ghislanzoni, Abrakadabra. La contessa di Karolystria, Milano 1969; Ph. Gosset, Verdi, G. and "Aida": the uses of convention, in Critical Inquiry, I (1974-75), pp. 291-334; G. De Santis, A. G. e il teatro di Lecco, Lecco 1977; A. Pavarani Bellio, G., Manzoni e il melodramma, in Il "vegliardo" e gli "antecristi". Studi su Manzoni e la scapigliatura, a cura di R. Negri, Milano 1978, pp. 166-192; M. Lavagetto, Quei più modesti romanzi. Il libretto nel melodramma di Verdi, Milano 1979, p. 156; G. Scarsi, Scapigliatura e Novecento, Roma 1979, ad ind.; E. Travi, L'"operosa dimensione scapigliata" di A. G., in Otto-Novecento, IV (1980), pp. 69-93; F. Vittori, La "Rivista minima" da G. a Farina, ibid., pp. 95-109; Notturno italiano. Racconti fantastici dell'Ottocento, a cura di E. Ghidetti, Roma 1984, pp. 97-106; G. Farinelli, La librettistica di A. G.: contributo per una ricerca, in Otto-Novecento, X (1986), 1, pp. 21-34 (poi in Id., Dal Manzoni alla scapigliatura, Milano 1991, pp. 299-317); G. Angeloni, A. G. cantante, pittore, librettista, romanziere, in Atti dell'Ateneo di scienze, lettere ed arti di Bergamo, LI (1989-90), pp. 211-228; Id., introd. ad A. Ghislanzoni, La contessa di Karolystria, Lecco 1990; G. Carnazzi, Da Rovani ai "perduti". Giornalismo e critica nella scapigliatura, Milano 1992; G. Angeloni, … dalle consorterie vivo lontano… Per la biografia di A. G., in Archivi di Lecco, XVI (1993), 1, pp. 11-205 (con bibliografia); A. Benini, G. cent'anni dopo. Per la biografia di A. G., Lecco s.d. [ma 1993]; L'operosa dimensione scapigliata di A. G., cit. (contiene interventi di M. Morini, A. Borghi, G. Scotti, A. Colombo, L. Romaniello, G. Carnazzi, E. Mazzali, E. Paccagnini, S. Mercadanti, L. Tognetti, S. Martinotti, F. Battaglia, D. Carrara, A. Rusconi, P. Forcella, G.L. Baio, A. Benini, E. Travi); A. Benini, Una "Salammbó" perduta: quella di A. G., in Flauberts Salammbô in Musik, Malerei, Literatur und Film, a cura di K. Ley, Tübingen 1998, pp. 108-119.