Giacomini Tebalducci, Antonio
Nato a Firenze il 1° agosto 1465 dal banchiere Iacopo di Tommaso (detto Papi) e da Giovanna Giugni, G. era nipote di quel Piero di Tommaso il cui coinvolgimento nella congiura antimedicea del 1466 aveva causato l’esilio dell’intera famiglia. Trascorse i primi anni giovanili a Pisa, come cassiere apprendista presso la filiale locale del banco Salviati. Accusato da un mercante fiorentino, Bernardo di Nebrotto Peruzzi, di aver omesso la registrazione di una somma di denaro, lasciò la città nel 1477 per trasferirsi a Napoli, dove tentò di avviare un’attività commerciale autonoma. Tornato nel 1484 a Firenze, vi rimase fino al 1486, quando una sentenza emessa dal magistrato degli Otto di Guardia e Balìa – in relazione alla denuncia di Peruzzi – lo condannò ad altri cinque anni di esilio. G. rientrò però nella città natale solo nel 1495, quindi dopo la caduta del regime mediceo e la conseguente elezione di suo padre al priorato.
Durante l’esilio, che aveva passato in buona parte come soldato al servizio di Roberto Sanseverino e dei cosiddetti Roberteschi – i sopravvissuti della grande compagnia di ventura di Roberto da Montalboddo, caduto nel 1448 –, G. aveva maturato un’esperienza militare che mise a frutto nella sua carriera al servizio di Firenze, dedicata quasi interamente alla lotta per la riconquista di Pisa, ribellatasi al dominio di Firenze.
Il suo primo incarico, quale commissario di Pontedera (sett.-nov. 1495), lo condusse sin da subito al confine con i territori ribelli; nel 1497 fu nominato commissario generale per tutto il Dominio della guerra contro Pisa. In quel periodo G. ebbe il compito di supervisionare zone strategicamente importanti per il rifornimento di Firenze, come la Val di Serchio (1496), Livorno (1497), la Lunigiana (1498), e di difendere gli avamposti fiorentini in Romagna durante l’assedio veneziano al borgo di Marradi (sett. 1498). Nel 1499, di fronte alla ritirata dal territorio di Pisa delle truppe fiorentine comandate da Paolo Vitelli e alle incertezze della Signoria sulla possibilità di conquistare l’ambita città, G. si propose nuovamente come commissario generale e ricevette la nomina. L’incarico gli venne rinnovato dal 1502 al 1505, anno in cui, con la sua vittoria presso San Vincenzo contro le truppe al servizio di Pisa (17 ag.), pose fine all’«insolentia di Bartolomeo d’Alviano», come ricorda Biagio Buonaccorsi nel suo Diario de’ successi più importanti seguiti in Italia, & particolarmente in Fiorenza dall’anno 1498 in sino all’anno 1512 (1568, in Diario dall’anno 1498 all’anno 1512 e altri scritti, a cura di E. Niccolini, 1999, p. 163), che rappresenta la fonte principale di Iacopo Nardi per la sua biografia di G., Vita di Antonio Giacomini Tebalducci Malespini, scritta nel 1548, ma pubblicata (postuma e in una versione corretta e censurata) soltanto nel 1597. Nardi vi descrive G. come un artefice della riforma militare fiorentina: «Per la maggior parte per suo indirizzo e ordini fu fatta l’ordinanza della nostra milizia del contado» (I. Nardi, Vita di Antonio Giacomini, a cura di V. Bramanti, 1990, p. 130). Iacopo Pitti, quando, tra il 1570 e il 1574, riprese e ampliò il libro di Nardi, sostenne che G.,
salito a’ Dieci, salito al Gonfaloniere et alla Signoria, con efficaci ragioni li persuase a creare una ordinanza di giovani del contado e del distretto, più atti a portare l’armi per servirsene ne’ bisogni della guerra (I. Pitti, Vita di Antonio Giacomini Tebalducci, a cura di C. Monzani, 1853, pp. 239-40).
Nella creazione della milizia fiorentina, G. cooperò con M.: la magistratura dei Nove, di cui G. divenne membro il 12 gennaio 1507, trovava fondamento nella Provisione della ordinanza, presentata da M. alla Signoria il 30 novembre o il 1° dicembre 1506 (SPM, p. 468 nota 6). Ma fin dagli anni 1503-04, a cui risalgono i primi interventi di M. sulla necessità per Firenze di dotarsi di un proprio esercito, G. avrebbe avuto occasione di esporre personalmente a M. le proprie riserve sull’affidabilità dei capitani di ventura (Tommasini 1883, p. 348). E ancora prima, nel 1500, in seguito a un contrasto con Vitelli, G. aveva inviato ai Dieci di Balìa delle Avvertenze ai Dieci di balia per la condotta dei conestabili al tempo della guerra di Pisa (pubblicate da Giuseppe Canestrini, che le attribuisce peraltro a M., in «Archivio storico italiano», 1851, 15). Le riforme proposte da G., riguardanti la selezione dei capitani e il pagamento dei soldati, avrebbero consentito la riaffermazione del controllo del governo centrale sui ‘conestabili’ al comando di battaglioni indipendenti; ma i suggerimenti vennero ignorati dalla Signoria (Bayley 1961, pp. 247-48; Arrighi 2000, p. 176). Sebbene il ruolo centrale di M. nell’ideazione nella riforma militare fiorentina rimanga indiscusso, G., che M. giudicava «delle cose della guerra innanzi a tutti li altri cittadini fiorentini peritissimo» (Nature di uomini fiorentini, in Opere storiche, a cura di A. Montevecchi, C. Varotti, t. 1, 2011, p. 74), gli fu certamente di «conforto e sprone» nella realizzazione dell’ambizioso progetto (F. Chabod, Il Segretario fiorentino [1953], in Id., Opere, 1° vol., Scritti su Machiavelli, 1964, p. 330).
Pur essendo alle dipendenze dei Dieci, il ruolo di commissario consentiva a G. una certa autonomia decisionale: egli non fu un semplice uomo d’armi, bensì un mediatore tra il governo e le truppe dislocate nelle zone di guerra; a lui M. scriveva in «secreto» (27 ag. 1505), esortandolo a non abbandonare il campo, per non dare occasione agli avversari politici di «latrare di nuovo» (M. a G., 23 sett. 1505, Lettere, p. 114). Gli ultimi incarichi ufficiali ricoperti da G. − le ispezioni a varie ‘bandiere’, tra cui quelle di Pescia e di San Miniato e quelle di Firenzuola e Dicomano − cessarono nel 1507. In vista della conclusione dell’assedio di Pisa, G. non fu eletto tra i commissari (marzo 1509). Le operazioni si sbloccarono solo con il pagamento di 150.000 ducati a Francia e Spagna, perché ritirassero ogni protezione alla città ribelle: ma «se vi fusse stato Antonio sarebbero stati [i pisani] tanto innanzi stretti che si sarebbero dati a discrezione de’ Fiorentini», commenta M. (Discorsi III xvi 16). Ritiratosi a vita privata, e ancor più emarginato dopo la restaurazione medicea, G. morì a Firenze nel gennaio 1518.
Bibliografia: Fonti: G. Canestrini, Documenti per servire alla storia della milizia italiana dal XIII secolo al XV, «Archivio storico italiano», 1851, 15, pp. 258-68, 272-306, 400 e segg., 463; I. Pitti, Vita di Antonio Giacomini Tebalducci, a cura di C. Monzani, «Archivio storico italiano», I s., t. 4, parte seconda, 1853, pp. 99-270; F. Guicciardini, Storia fiorentina, in Id., Opere inedite, Firenze 1859, p. 253; I. Nardi, Vita di Antonio Giacomini, a cura di V. Bramanti, Bergamo 1990.
Per gli studi critici si vedano: P. Villari, Niccolò Machiavelli e i suoi tempi, illustrati con nuovi documenti, 3 voll., Firenze 18771882, 2 voll., Milano 19274, ad indicem; O. Tommasini, La vita e gli scritti di Niccolò Machiavelli nella loro relazione col machiavellismo, 1° vol., Torino-Roma 1883, ad indicem; C.C. Bayley, War and society in Renaissance Florence: the De militia of Leonardo Bruni, Toronto 1961, pp. 247-48, 251-53, 276; J.R. Hale, Machiavelli and Renaissance Italy, London 1961, pp. 14, 59, 63, 82 e segg., 88, 93, 113; H.C. Butters, Governors and govern ments in early sixteenth century Florence, 1502-19, Oxford 1985, pp. 56, 81, 87-88, 101; V. Arrighi, Giacomini Tebalducci Antonio, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 54° vol., Roma 2000, ad vocem (con bibliografia precedente); L. De Los Santos, Les biographies du commissaire florentin Antonio Giacomini: entre exaltation de la république et justification du principat, in Les guerres d’Italie (1494-1559): histoire, pratiques et représentations, Actes du Colloque international, 9-11 décembre 1999, éd. D. Boillet, M.F. Piéjus, Paris 2002, pp. 215-35; M. Hörnqvist, «Perché non si usa allegare i Romani»: Machiavelli and the Florentine militia of 1506, «Renaissance quarterly», 2002, 1, pp. 148-91.