GIANLISI, Antonio
Figlio di Antonio e Angela Fugazza, nacque a Rizzolo (ora in provincia di Piacenza) il 26 luglio 1677 e fu battezzato, lo stesso giorno, nella parrocchia di S. Andrea.
Il padre Antonio nacque a Ponte dell'Olio l'8 febbr. 1655 da Antonio Maria e da Maria Jugali; sebbene di lui non si conoscano opere, è ricordato dalle fonti come eccellente pittore di nature morte, specialista nel dipingere grappoli d'uva. Mortagli la moglie, il 14 sett. 1695, si trasferì a Crema al seguito del figlio. Da questa città chiese alla curia vescovile di Piacenza una licenza matrimoniale, con l'evidente intenzione di risposarsi (Fiori, 1990). Ignoto è l'anno della sua morte.
Il G. fu allievo del padre e visse a Piacenza presso la parrocchia di S. Stefano, fino al 1693, anno in cui si trasferì a Parma. In questa città si recò probabilmente per terminare la sua formazione a fianco di Felice Boselli, già famoso per i dipinti nella rocca di Fontanellato. In seguito a questo soggiorno parmense l'artista è spesso ricordato come parmigiano.
Nel 1695 si spostò a Crema. Invitato da Vittore Tasca, si recò nel 1697 a Bergamo dove entrò in contatto con gli artisti della cerchia di Evaristo Baschenis. Frequentò in particolare Bonaventura Bettera, figlio di Bartolomeo, e Antonio Mara detto lo Scarpetta. Da questi artisti il G. desunse un modo di impaginare la composizione pittorica costituito da un insieme di tendaggi, tappeti riccamente damascati, strumenti musicali, a volte impolverati, orologi, bottiglie, vasi di fiori e vassoi di frutta, di stampo tipicamente bergamasco.
Tra il 1697 e il 1698 il G. effettuò un viaggio in Svizzera con Giacomo Francesco Cipper, detto il Todeschini, conosciuto a Bergamo, secondo quanto supposto da Arisi (1987, p. 107). Ma il 7 genn. 1698 è nuovamente documentato a Piacenza, dove sposò, nella chiesa di S. Stefano, Maria Rosa Fugazza. Andò successivamente a Brescia, dove rimase per due anni al servizio dei conti Fenaroli. Soggiornò ancora a Venezia e a Vicenza dove sostò per circa un anno e mezzo presso il conte Orazio Trenti. Nel 1701 si trovava a Busseto e nel 1709 a Piacenza, città in cui gli nacque un figlio. Nel 1710 si spostò definitivamente a Cremona, dove prese dimora nei pressi della parrocchia di S. Donato e donde gli derivò l'epiteto di Cremonese.
Puerari (1951) che chiama erroneamente l'artista Francesco, come aveva fatto anche Zaist (1774), fu il primo a individuare la personalità del G. e ad attribuirgli cinque dipinti, attualmente nella Pinacoteca civica di Cremona. Secondo questo studioso, caratteristica principale della sua pittura è la rilettura in superficie dell'arte di Baschenis, interpretata in chiave descrittiva, a volte ridondante, e realizzata attraverso l'impiego di una tavolozza accesa, in cui i singoli particolari, osservati attentamente, assumono maggiore rilievo rispetto alla visione d'insieme. Componenti costitutive della pittura del G. furono con ogni probabilità anche l'opera del padre - si vedano i due dipinti con Grappoli d'uva appesi nella Galleria Alberoni di Piacenza, ascrivibili ai suoi anni giovanili - e le nature morte di Boselli, come si può notare nel quadro con Strumenti musicali, cacciagione e crostacei nella Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia.
Veri protagonisti delle opere del G. sono i tessuti, dal morbido panneggio, spesso ornati di fiori. L'attenzione al dato reale emerge soprattutto nella fattura delle frange, che vengono descritte con uno spirito analitico, quasi maniacale. Si ricordano, in particolare, due dipinti con tappeti, strumenti musicali e frutta (ubicazione ignota: Arisi, 1995, nn. 628 s.), il primo dei quali reca la sigla "A.G.". Arisi attribuisce all'artista anche un quadro con tappeto e armatura in collezione privata a Milano (n. 635), in base a un inventario dei beni di casa Marliani a Piacenza pubblicato da Fiori (1969), in cui sono attribuiti al pittore alcuni dipinti raffiguranti paramenti ecclesiastici e armature.
Altro tema presente nell'opera del G. è il mondo animale, raffigurato in modo vivace e immediato, venato di sottile ironia. Si osservino due tele, concepite in pendant, nelle quali lo stesso cane, di piccola taglia, appare raffigurato accanto al proprio cucciolo o mentre abbaia in direzione di un pappagallo appollaiato su di un forziere (Arisi, 1995, nn. 639 s.).
In un altro gruppo di dipinti - in collezione privata milanese (n. 646), nell'Accademia Tadini di Lovere, in collezione privata a Piacenza (n. 649), in collezione privata a Brescia (n. 647) - compaiono cardellini, motivo per cui parte della critica (Bombelli) li ha attribuiti a Giacomo Desti detto il Cardellino, artista attivo in Lombardia nella seconda metà del Settecento. Tale ipotesi tuttavia non ha trovato seguito.
Il G. fu anche autore di trompe-l'oeil, molto lodati fin dall'epoca di Zaist (1774), uno dei quali, firmato "Ant. Gianl. Piac." (Bergamo, coll. privata), è stato interpretato (Zanardi, 1991, n. I.240) come tipica allegoria della Vanitas, per la presenza di oggetti voluttuari quali un portagioie con una collana, un ventaglio, una spilla. In un altro trompe-l'oeil compare una lettera recante la firma del G. e la data 1° apr. 1718 (Salerno, 1989, p. 163). I trompe-l'oeil del G. si caratterizzano per lo sfondo di legno a grossi nodi, per la presenza di oggetti appesi alle pareti come montature di occhiali o berretti, per la disposizione su semplici mensole di carte da gioco, calamai, vasi con fiori; spesso sulle pareti sono attaccati dei dipinti di paesaggio. G. del resto è ricordato dalle fonti anche come autore di paesaggi, finora mai rintracciati. E un delicato brano paesaggistico fa da sfondo a numerosi dipinti attribuiti al G. - notevoli due quadri in collezione privata cremonese (Arisi, 1995, nn. 637 s.) - in cui la luce nebbiosa proveniente dall'esterno si proietta sugli oggetti in primo piano.
Il G. morì a Cremona il 1° maggio 1727.
Sono ascrivibili a tal Francesco Gianlisi, probabile parente dell'artista, quattro trompe-l'oeil comparsi all'asta di Finarte del 12 dic. 1988 (lotto 132-133), con la sigla "F.G.", due dei quali datati rispettivamente 1761 e 1765 (Salerno, 1989, p. 162); un altro dipinto siglato nello stesso modo, e datato 1762, risulta venduto dalla Finarte all'asta del 1° dic. 1982 (Safarik - Bottari).
Fonti e Bibl.: G.B. Zaist, Notizie istoriche de' pittori, scultori e architetti cremonesi, II, Cremona 1774, p. 169; G. Grasselli, Abecedario biografico de' pittori, scultori ed architetti cremonesi, Milano 1827, pp. 139-149; L. Ambiveri, Gli artisti piacentini. Cronaca ragionata, Piacenza 1879, pp. 120 s.; A. Puerari, La Pinacoteca di Cremona, Cremona 1951, pp. 221 s.; A. Bombelli, I pittori cremaschi dal 1400 a oggi, Milano 1957, pp. 147-149, fig. 73; C. Volpe, La natura morta italiana (catal., Napoli), Milano 1964, p. 95, tav. 100; C. Volpi, Collezione G.M.M., Milano 1971, pp. 44-47; L. Salerno, La natura morta italiana, 1560-1805, Roma 1984, p. 370; F. Arisi, Altre cose piacentine d'arte e di storia, Piacenza 1987, pp. 106-111; A. Morandotti, A. G. il giovane, in La natura morta in Italia, I, Milano 1989, pp. 284-286; E.A. Safarik - F. Bottari, ibid., p. 381; L. Salerno, Nuovi studi sulla natura morta italiana, Roma 1989, pp. 162 s., 189; M. Zanardi, in I pittori bergamaschi dal XIII al XIX secolo, II, Bergamo 1989, pp. 443, 461; F. Arisi, Arte e storia nella collezione Alberoni di Piacenza, Piacenza 1990, pp. 338 s., nn. 188, 190-192; G. Fiori, in Strenna piacentina, 1990, pp. 77-79; M. Zanardi, A. G., in Il Settecento lombardo (catal.), a cura di R. Bossaglia - V. Terraroli, Milano 1991, pp. 245-248; F. Arisi, Natura morta tra Milano e Parma in età barocca. Felice Boselli rettifiche e aggiunte, Piacenza 1995, pp. 451-467.