GIGANTI, Antonio
Nacque a Fossombrone, nel Ducato di Urbino, nel 1535 da Ludovico e Susanna Guiducci. Tra gli esponenti più illustri della famiglia paterna, di piccola nobiltà, figurava lo zio Girolamo.
Questi (n. a Fossombrone nella seconda metà del secolo XV e morto a Venezia nel 1566) fu letterato di modesta levatura ma giurista stimato. Studiò a Perugia e si laureò in utroque iure a Bologna. Tra le sue opere: Summa Azzonis (1533), Tractatus de pensionibus ecclesiasticis (Venezia 1542), De residentia episcoporum (ibid. 1548), Tractatus de crimine lesae maiestatis (Lione 1557), Responsa familiaria (Colonia 1619).
Alla morte del fratello Ludovico, Girolamo prese con sé il G., contribuendo alla sua formazione umanistica, peraltro già avviata sotto la guida di Ludovico Panezio da Fano (Vernarecci, 1914, p. 491).
Fu forse lo zio, dunque, a mediare l'incontro tra il G. e il prelato e umanista bolognese Ludovico Beccadelli, nunzio pontificio a Venezia dal 1550. Da allora fino alla morte del Beccadelli (17 ott. 1572), il G. divenne il suo fidatissimo segretario, pronto a seguirlo in ogni suo spostamento. I due rimasero a Venezia fino all'estate 1544, quando il Beccadelli fu nominato vicario in spiritualibus per la diocesi di Roma. Dopo un breve soggiorno romano, si trasferirono a Ragusa, in Dalmazia (vi giunsero il 9 dic. 1555), dove, con un chiaro gesto di ostilità, il nuovo papa Paolo IV aveva destinato il Beccadelli senza neppure consultarlo, con il pretesto di elevarlo al titolo di arcivescovo.
A Ragusa il Beccadelli tentò di trasformare quello che considerava una sorta di esilio causato da una "disposizione della divina Maestà" (Alberigo, p. 411) in una piccola corte. A questo periodo risalgono i primi componimenti poetici noti del G., tra cui il De irrito piscatu in litore Illyrico, nonché il suo interesse per la poesia provenzale: il G., scrive il Beccadelli in una sua lettera, "ha voglia di farvi un poco di studio con l'occasione di un Francese ch'ho in casa, et io lo aiuto volentieri a far bene" (Debenedetti, p. 309). E difatti il prelato si adoperò affinché il suo segretario potesse far "qualche progresso in queste cose", impegnandosi in prima persona nel fornirgli una "grammatichina" e altre "scritture provenzali" (ibid.).
Durante gli anni ragusei il G. avviò la propria raccolta, a mano a mano accresciutasi, di oggetti naturalistici. Ispirazione poetica e passione collezionistica gli derivavano da una sorta di spirito di emulazione nei confronti del Beccadelli (che scriveva allora la vita di Petrarca, dedicandola proprio al G., secondo quei criteri di insegnamento umanistico nei confronti di chi aspirava a camminare "per quella medesima strada […] ch'io già discorrendo passai", Vernarecci, 1914, p. 492) e già in una lettera del 1555 ricordava un proprio studiolo, con oggetti di varia natura, nella residenza cittadina di Bologna (Fragnito, p. 160).
A Ragusa il G. rimase fino al 1560, allorquando il Beccadelli poté finalmente tornare a Roma. L'anno seguente Pio IV inviava Beccadelli a Trento per prendere parte alla riapertura del concilio, e dove si sarebbe fermato fino al maggio del 1563. Come sempre, anche in quell'occasione il G. lo seguì, e in alcuni suoi versi non mancò di ricordare la città del concilio e gli incontri lì avuti con amici e conterranei. Nel 1564 si trasferì a Prato, dove il Beccadelli, negli ultimi otto anni della sua vita, esercitò la prepositura. Durante il soggiorno in Toscana il G. continuò a coltivare i propri interessi letterari. Divenne membro dell'Accademia fiorentina il 26 sett. 1565 e, al contempo, continuò ad acquistare codici di poeti provenzali e di autori italiani tre-quattrocenteschi (Debenedetti, pp. 82 s.).
Negli anni di permanenza al servizio del prelato bolognese, e per sua intercessione, il G. poté usufruire di due pensioni piuttosto modeste: una, a partire dal 1555, dell'ammontare di 17 scudi e mezzo d'oro l'anno su un canonicato di Nicosia; l'altra, nel 1560, di 50 ducati d'oro di Camera sulla badia di Val di Lavino presso Bologna.
Nel suo testamento, redatto nel 1566, il Beccadelli disponeva che al G. venisse riconosciuto l'usufrutto di alcuni beni immobili, e, inoltre, lo faceva erede di ciò che alla sua morte si fosse trovato nella sua stanza "et studio", collocata nel palazzo bolognese dei Beccadelli, in piazza S. Stefano. Dal canto suo, il G., dopo la scomparsa del prelato, avrebbe posto un sigillo a tanti anni di zelante servizio scrivendone la biografia, che fu pubblicata, due secoli dopo, a cura di G.B. Morandi nei Monumenti di varia letteratura tratti dai manoscritti originali di mons. L. Beccadelli (I, Bologna 1797, pp. 1-68).
In seguito a un breve periodo trascorso in patria, e dopo un probabile soggiorno presso il duca di Urbino (Vernarecci, 1872, p. 16), il G. nel 1580 entrava al servizio del cardinale Gabriele Paleotti, rimanendovi fino al luglio del 1597. A Bologna poté senza dubbio incentivare la propria raccolta di mirabilia e di exotica.
Nella seconda metà del Cinquecento, mentre si andava rarefacendo il mercato delle antichità, cresceva l'offerta di oggetti naturalistici provenienti da paesi lontani. L'impulso verso questo tipo di raccolta poteva essere sollecitato da reali esigenze scientifiche, ma più spesso dal desiderio di possedere cose bizzarre e insolite. Il G. aveva iniziato la propria collezione raccogliendo alcuni quadri, tra cui numerosi ritratti e pezzi antichi (Olmi, p. 247), ma ben presto si dedicò esclusivamente alla ricerca di naturalia. La conoscenza di Ulisse Aldrovandi, amico del cardinale Paleotti, fu senza dubbio decisiva per i suoi interessi, ma non si possono trascurare ragioni di altra natura. Il G. non era ricco: a prezzi piuttosto bassi poteva acquistare ogni genere di curiosità naturalistica per suscitare ammirazione nei visitatori del museo e, al contempo, dare lustro alla raccolta e a se stesso. Alla collezione si interessò l'Aldrovandi, sempre avido di novità, che ebbe in dono alcuni oggetti (Laurencich-Minelli, 1992, p. 10). Da tali ambizioni derivò la stesura dell'inventario, redatto dal G. nel 1586, di quelle che era solito definire "cosarelle". L'indice, inviato all'erudito Giovan Vincenzo Pinelli, manifesta però l'esistenza di una raccolta ordinata in maniera casuale e dilettantesca, priva di un progetto preciso. In definitiva, se è vero che l'Aldrovandi aveva in considerazione la raccolta del G., tanto da redigerne lui stesso un indice nel 1588 (peraltro relativo ai soli oggetti che egli non possedeva), il parallelo che costantemente si istituisce tra l'illustre studioso bolognese, professore universitario, conclamata autorità nel campo delle scienze naturali, e il G., familiare di potenti cardinali sì, ma pur sempre servitore, rischia di non tenere nel dovuto conto il sistema di equilibrio gerarchico fissato dai diversi uffici ricoperti e, prima ancora, dai natali, dallo stato sociale e finanziario.
Dopo aver soggiornato a Fossombrone nel 1594 e costituito un legato per la tomba di famiglia, alla morte del Paleotti, nel 1597, il G. vi fece definitivamente ritorno, e qui si spense nel 1598.
Il G. fu autore di alcune traduzioni dal greco al latino, e riunì i propri versi in un volume pubblicato nel 1595 a Bologna (tip. G. Rossi) sotto il titolo di Carmina… exametra, elegiaca, lyrica et hendecasyllaba. Postuma uscì l'Appendix poematum (ibid., Eredi G. Rossi, 1598), che contiene le ultime composizioni e alcuni versi scritti in sua memoria. Altri suoi componimenti furono dati alle stampe qualche tempo dopo nel Templum Cinthio cardinali Aldobrandinoerectum (a cura di G. Segni, Bologna 1600) e tra i Carmina illustrium poetarum (I, Firenze 1719). Uomo "di mite e gentile ingegno, di grande bontà d'animo e di costumi", per ciò che concerne la vena poetica fu al massimo "un elegante verseggiatore: privo d'impeto e di vera ispirazione" (Vernarecci, 1914, p. 498).
Fonti e Bibl.: A. Vernarecci, Diz. biogr. degli uomini illustri di Fossombrone, Fossombrone 1872, pp. 16 s.; C. Violi, A. G. da Fossombrone, Modena 1911; A. Vernarecci, Fossombrone dai tempi antichissimi ai nostri, Fossombrone 1914, pp. 491-501; G. Alberigo, Beccadelli, Ludovico, in Diz. biogr. degli Italiani, VII, Roma 1965, pp. 410-413; G. Olmi, Ordine e fama: il museo naturalistico in Italia nei secoli XVI e XVII, in Annali dell'Istituto storico italo-germanico in Trento, VIII (1982), pp. 225-274; L. Laurencich-Minelli, L'indice del Museo Giganti. Interessi etnografici e ordinamento di un museo cinquecentesco, in Museologia scientifica, I (1984), pp. 191-242; G. Fragnito, Compositio memoriae: il museo di A. G., in Id., In museo e in villa. Saggi sul Rinascimento perduto, Venezia 1988, pp. 159-214; Bologna e il Mondo Nuovo, in Bologna e il Mondo Nuovo. Catalogo della mostra, a cura di L. Laurencich-Minelli, Bologna 1992, pp. 9-23; Macrocosmos in Microcosmos. Die Welt in der Stube. Zur Geschichte des Sammelns, 1450 bis 1800, a cura di A. Grote, Opladen 1994, pp. 97, 271; P. Findlen, Possessing nature: museums, collecting, and scientific culture in early modern Italy, Berkeley-Los Angeles-London 1994, ad indicem; S. Debenedetti, Gli studi provenzali in Italia nel Cinquecento, a cura di C. Segre, Padova 1995, ad indicem.