TESTA, Antonio Giuseppe
– Nacque a Ferrara il 7 aprile 1756 da Giuseppe, medico e professore dello Studio, e da Elisabetta Fegatelli.
Giovane decisamente precoce, a soli quattordici anni Testa aveva già pubblicato alcune elegie latine composte in occasione di nozze o funerali di importanti personaggi ferraresi ed era solito seguire il padre nella sua attività ospedaliera. Nel 1771 si iscrisse all’Università di Ferrara, che in quegli anni era soggetta a un profondo processo di riforma degli studi, e ottenne di beneficiare dell’eredità Curioni, un lascito testamentario del notaio ferrarese Girolamo Curioni a favore di studenti meritevoli e bisognosi. Divenne allievo del professore di medicina pratica, il bolognese Petronio Zecchini, e su suo suggerimento frequentò alcuni corsi presso l’Università di Bologna, per poi tornare a Ferrara e laurearsi in medicina nel 1776. In questi anni riuscì a inserirsi nell’ambiente culturale più prestigioso della città, quello che ruotava attorno all’abate Alessandro Zorzi e al suo progetto di una Nuova enciclopedia italiana, e a stabilire contatti con alcuni degli uomini di scienza più importanti dell’epoca, tra cui Gianfrancesco Malfatti e Lazzaro Spallanzani, con il quale intrattenne una breve ma fitta corrispondenza relativa alle ricerche sulla generazione e sulla vitalità negli animali.
Nella dissertazione presentata per l’addottoramento, e in seguito anche in un’opera Della morte apparente degli annegati pubblicata a Firenze nel 1780, Testa elaborò una posizione critica verso il meccanicismo cartesiano e, influenzato dalle posizioni di medici vitalisti quali Johannes de Gorter e François Boissier de la Croix de Sauvages, sostenne l’esistenza di un principio «ipermeccanico» responsabile delle funzioni superiori dell’animale, tra le quali i moti vitali. Secondo Testa, era questo principio a venir meno in caso di annegamento, un fenomeno a cui la medicina dell’epoca si stava dedicando con sempre maggiore interesse e che Testa affrontò soprattutto in relazione ai mezzi più adatti alla rianimazione.
Subito dopo la laurea, Testa si trasferì a Firenze, che all’epoca costituiva forse il più importante polo scientifico della penisola. Qui frequentò l’ospedale di Santa Maria Nuova sotto la guida del chirurgo Angelo Nannoni, entrò a far parte della prestigiosa Accademia dei Georgofili e perfezionò la sua formazione medica, sviluppando un approccio alla malattia di tipo osservativo ed empirico, nonché un interesse per le questioni relative all’organizzazione sanitaria. Entrambi questi aspetti, assieme alla concezione vitalistica, furono ripresi da Testa in un’opera pubblicata nel 1781 al suo ritorno a Ferrara, De re medica et chirurgica epistolae VII. L’opera, dedicata al cardinale Giovanni Maria Riminaldi, protettore dell’Università e principale artefice della riforma del 1771, gli valse la nomina a secondo chirurgo dell’ospedale di Sant’Anna e secondo medico della fortezza, nella quale era di stanza il presidio militare dell’esercito pontificio. Questi incarichi non dovettero tuttavia soddisfare il giovane Testa che, forte anche dell’esperienza toscana, decise di lasciare nuovamente Ferrara per intraprendere un lungo viaggio di istruzione nei principali centri scientifici italiani ed europei.
Procuratosi l’appoggio finanziario di ricchi patroni ferraresi e lettere di referenze di personaggi come Malfatti e Spallanzani, il 30 gennaio 1784 Testa ottenne dal papa il permesso di lasciare temporaneamente il suo impiego per recarsi a Parigi, dove giunse all’inizio di maggio dopo essere passato per Ginevra, Losanna e Lione. Nella capitale francese, che colpì enormemente Testa per la sua grandezza e magnificenza, il giovane ferrarese conobbe alcune figure di spicco della vita politica e culturale come Benjamin Franklin ed entrò in contatto con le principali istituzioni scientifiche, quali l’Académie des sciences e la Société royale de médecine, di cui divenne socio. Frequentò inoltre i grandi ospedali parigini, nei quali ebbe modo di familiarizzare con l’approccio clinico al letto del malato, e si creò una propria clientela privata. Fu proprio al seguito di un suo assistito, il senatore Rezzonico, che nel 1786 Testa lasciò Parigi per recarsi a Londra, dove pubblicò un’altra opera di medicina – il De vitalibus periodis aegrotantium et sanorum – e rimase fino all’autunno del 1787. Rientrato a Ferrara, nel 1789 ottenne un incarico di insegnamento universitario come professore del «testo e aforismi di Ippocrate», una cattedra istituita appositamente per lui e che ne rifletteva l’approccio osservativo ed empirico alla medicina adottato fin dai tempi di Firenze e sviluppato nelle sue prime opere. A questo incarico Testa aggiunse il ruolo di medico e chirurgo primario del Sant’Anna, mentre nel 1793 raggiunse il suo vero obiettivo accademico, vale a dire sostituire il maestro Zecchini, morto quell’anno, sulla cattedra più prestigiosa dell’ateneo ferrarese, quella di medicina pratica. Negli anni successivi si dedicò a un progetto di riforma dell’insegnamento e dell’assistenza medica ospedaliera che presentò alle nuove autorità municipali instaurate dai francesi dopo la loro entrata a Ferrara nel 1796.
In una Memoria libera su lo spedale di S. Anna, oggi conservata presso la Biblioteca comunale Ariostea di Ferrara, Testa affrontò i gravi problemi dell’assistenza ospedaliera dell’epoca, che andavano dalle strutture architettoniche inadeguate alle regole di ammissione dei malati, dalle condizioni igieniche pessime all’organizzazione del personale. A questi problemi, che non affliggevano solamente l’ospedale ferrarese ma erano comuni a molte realtà visitate da Testa negli anni precedenti, il medico proponeva soluzioni ricavate dall’esperienza francese e ispirate all’ideale settecentesco della pubblica felicità, che portava a considerare queste strutture non più come il frutto di iniziative caritatevoli, ma come un bene collettivo della società. Inoltre, traendo spunto dall’esperienza parigina, Testa propose di rendere l’ospedale il centro della formazione dei medici e dei chirurghi, istituendo dei reparti di clinica dove gli studenti potessero apprendere l’arte della diagnosi al letto del paziente e garantendo libertà di dissezione dei cadaveri per l’apprendimento dell’anatomia patologica. Con queste proposte Testa si poneva all’avanguardia del pensiero medico dell’epoca, che proprio in questo periodo stava elaborando una nuova concezione di malattia clinica che faceva dell’ospedale il suo centro di gravità.
Nel 1798 Testa fu privato dei suoi incarichi per essersi inizialmente rifiutato di prestare il giuramento civico cisalpino voluto dai francesi, come risulta da due suoi scritti pubblicati quell’anno. Reintegrato nei ruoli pubblici con l’arrivo degli austriaci, nel 1802 accettò la proposta di ricoprire la cattedra di clinica medica all’Università di Bologna, di cui fu reggente nell’anno accademico 1802-03. Negli anni successivi fu anche nominato ispettore generale dei licei e ginnasi di pubblica istruzione e membro dell’Istituto nazionale italiano.
In questo periodo sposò la marchesa Maria Felci di Rimini, dalla quale ebbe due figli, e scrisse la sua opera più importante, un trattato Delle malattie del cuore, pubblicato a Bologna in tre volumi tra il 1810 e il 1811 e ristampato in varie edizioni nel corso dell’Ottocento. In questo testo, lasciato incompiuto dall’autore, gli elementi caratteristici del pensiero di Testa – la sua concezione vitalistica dei fenomeni organici e il suo approccio empirico e osservativo alle malattie – trovarono la loro massima espressione.
Ammalatosi ai polmoni nel 1813, Testa morì a Ferrara il 28 gennaio 1814.
Fonti e Bibl.: Manoscritti di Testa si trovano in molti archivi e biblioteche sia italiane sia straniere. Tra le collezioni più cospicue si segnalano le seguenti: Bologna, Biblioteca dell’Archiginnasio, Fondo Testa, A1749-1820; Coll. Autogr. LVII, 18610-18 643; Forlì, Biblioteca comunale Aurelio Saffi, Fondo Piancastelli – Sezione Carte Romagna, b. 690; Ferrara, Biblioteca comunale Ariostea, Collezione Antonelli, 139, 376, 442, 966; Classe I, 253, 583, 119, 171, 609.
G. Tommasini, Elogio del celebre professore di medicina G. A. T., Pesaro 1825; G. Petrucci, Vite e ritratti di XXX illustri ferraresi, Bologna 1833, pp. 195-203; V. Busacchi, A. G. T. ferrarese, 1756-1814: profilo bio-bibliografico, Roma 1935; Gianfrancesco Malfatti nella cultura del suo tempo. Atti del Convegno... 1981, a cura di L. Biasini et al., Ferrara 1982; F. Raspadori, A. G. T.: dal commento degli Aforismi di Ippocrate alla cardiologia, in Atti dell’Accademia delle Scienze di Ferrara, LXII-LXIII (1984-1986), pp. 61-69; M. Bresadola, G. A. T. Lettere da Parigi (1784-1785), in I castelli di Yale, V (2001-2002), pp. 141-164; Id., L’Università di Ferrara e la cultura dei lumi, Ferrara 2009.