Gramsci, Antonio
Politico e pensatore (Ales, Cagliari, 1891-Roma 1937). Vicino in gioventù all’autonomismo sardo, frequentò l’univ. di Torino dal 1911, avvicinandosi alla milizia socialista e rivoluzionaria. Iscritto al PSI dal 1913, fu redattore del Grido del popolo e dell’Avanti!; dopo la sommossa popolare dell’ag. 1917 divenne segretario della sezione socialista torinese. Profondamente colpito come tutti i dirigenti socialisti dalla Rivoluzione russa, G. commentò positivamente la rivoluzione di febbraio (nel numero unico de La città futura), e poi quella di ottobre, cui dedicò l’articolo La rivoluzione contro il "Capitale" (1° dic. 1917), in cui sottolineava l’innovazione compiuta dai bolscevichi nel procedere alla conquista del potere pur in un Paese che non aveva ancora conosciuto lo sviluppo capitalistico, dando con ciò una lettura non deterministica del pensiero di Marx. Nel maggio 1919, assieme a Togliatti, Tasca e Terracini, fondò L’Ordine nuovo, settimanale di cultura socialista diretto soprattutto alla classe operaia, che militava in favore dell’adesione del Partito socialista all’Internazionale comunista e a sostegno del movimento dei consigli di fabbrica; durante il biennio rosso (1919-20), in cui i consigli ebbero un ruolo essenziale, G. fu il principale teorico della loro centralità nel processo rivoluzionario e nella costruzione di una nuova società. Nel 1920 le posizioni dell’Ordine nuovo ebbero l’approvazione di Lenin e nello scontro interno al PSI G. si avvicinò all’ala astensionista guidata da A. Bordiga, che auspicava la costituzione del Partito comunista d’Italia (PCD’I), sezione italiana dell’Internazionale comunista. G. e gli ordinovisti furono dunque tra i fondatori di quella frazione comunista (ott. 1920) che determinò la nascita del nuovo partito al Congresso di Livorno (genn. 1921). Membro del Comitato centrale del PCD’I, G. fu a Mosca dal giugno 1922 al nov. 1923 ed entrò nell’esecutivo del Comintern. Nell’agosto 1922, durante un periodo di cura nel sanatorio di Serebrjanyj Bor, conobbe Julija Schucht, sua futura moglie, da cui ebbe i due figli Delio e Giuliano. Intanto G. maturava una crescente lontananza dalle posizioni di Bordiga (che si trovava in polemica con l’Internazionale), per cui, dal maggio 1923, avviò un carteggio con Togliatti, Terracini e Scoccimarro con l’intento di formare un nuovo gruppo dirigente del partito. Rientrato in Italia dopo un periodo a Vienna (maggio 1924) e divenuto segretario del partito (nel 1924 era stato anche eletto deputato), indirizzò, sfidando la dura linea di repressione perseguita dal governo fascista, la politica comunista verso l’unità con i socialisti massimalisti e verso un radicamento nella società italiana che aveva come fine l’alleanza tra gli operai e le masse contadine del Mezzogiorno (la «questione meridionale»), linea che ebbe la definitiva sanzione nel terzo congresso del PCD’I e con le relative Tesi di Lione (1926), la cui parole d’ordine – «Assemblea repubblicana sulla base di Comitati operai e contadini; controllo operaio sull'industria; terra ai contadini» – delineavano una politica di alleanze molto ampia. L’8 nov. 1926, in seguito ai «provvedimenti eccezionali» del governo fascista contro gli oppositori, G. fu arrestato nonostante l’immunità parlamentare e inviato prima al confino di Ustica e poi nel carcere di Milano per essere deferito, insieme ad altri dirigenti comunisti, al tribunale speciale per la difesa dello Stato. Al processo, tenuto a Roma nel maggio-giugno 1928, fu condannato a 20 anni di reclusione. Nel genn. 1930, Lo Stato operaio pubblicava intanto lo scritto Alcuni temi della quistione meridionale, che G. collegava alla questione cattolica e alla «quistione politica degli intellettuali». Destinato alla casa penale di Turi (Bari), vi rimase fino al dic. 1933, quando per gravi motivi di salute fu trasferito prima all’infermeria del carcere di Civitavecchia e poi, sempre in stato di detenzione, in una casa di cura privata di Formia. Negli anni della detenzione, G. lavorò ai Quaderni ed ebbe una fitta corrispondenza con la moglie Julia, con la cognata Tatiana, coi figli e con altri familiari, e infine con P. Sraffa, attraverso il quale manteneva i rapporti col partito. Diversi furono i tentativi di giungere a una sua liberazione (promossi dal PCD’I e dall’URSS, e a cui fu interessato anche il Vaticano), ma si scontrarono con la ferma contrarietà di Mussolini. Solo nell’ott. 1934 G. venne ammesso alla libertà condizionale, e tuttavia rimase nella stessa clinica di Formia, non essendo in grado per la salute compromessa di riprendere un’attività normale. Si spense infine nella clinica Quisisana di Roma, dove era stato trasferito, sotto sorveglianza, da Formia.
Sia la pubblicazione degli scritti politici sia le Lettere dal carcere (1947; ed. ampliate 1965, 1988, 1996) sia, e soprattutto, i Quaderni del carcere (1948-51; ed. critica 1975) – la cui pubblicazione fu frutto di un lavoro editoriale fortemente voluto da Togliatti – hanno avuto grande rilevanza nella cultura italiana del dopoguerra. Sul terreno politico, risale infatti a G. uno dei primi «campanelli d’allarme» critici sulle modalità dello scontro interno al gruppo dirigente bolscevico (con la vicenda della lettera del 1926), nonché l’abbozzo, nei Quaderni, di un’idea della transizione al socialismo basata sul concetto di «egemonia», da conquistarsi da parte del proletariato nella società civile prima di procedere alla conquista del potere politico al livello dello Stato, al tempo stesso tenendo conto della complessità e delle articolazioni della moderna società industriale (passaggio dalla «guerra di movimento» alla «guerra di posizione»). Punto di partenza della ricerca gramsciana era stato proprio il saggio sulla questione meridionale scritto prima dell’arresto, con l’analisi del rapporto città-campagna e delle alleanze di classe nella società italiana dei primi decenni del secolo. L’analisi si allarga e si approfondisce nel lavoro dei Quaderni con lo studio della funzione degli intellettuali nella storia d’Italia. È una ricerca complessa e originale, perché la nozione di «intellettuale», nella sua funzione di coagulo della formazione di ogni blocco storico, è allargata oltre i limiti tradizionali, in una visione che estende il concetto stesso di Stato inteso non più solo come «società politica», organo di coercizione giuridica, ma come intreccio di società politica e «società civile», dove l’egemonia di un gruppo sociale si esercita attraverso le organizzazioni cosiddette private come Chiesa, sindacati, scuole e altri strumenti di direzione culturale. Questo impianto teorico, che ha al centro il concetto di «egemonia», porta anche a una nuova interpretazione della caduta dei Comuni medievali e della loro incapacità di superare la fase economico-corporativa dello Stato, per il carattere cosmopolita degli intellettuali italiani e per l’assenza in essi di una funzione popolare-nazionale. Nello Stato moderno invece l’esercizio dell’egemonia consente alle classi dominanti di ottenere il consenso delle classi subalterne, sia con l’energia delle rivoluzioni di tipo giacobino sia attraverso diverse forme di «rivoluzione passiva»: con questo termine mutuato da V. Cuoco viene indicato un processo di rivoluzione-restaurazione o di «rivoluzione senza rivoluzione», come quello illustrato nella storia italiana del Risorgimento dove i moderati riescono a esercitare la loro egemonia sul Partito d’azione. Una particolare forma di rivoluzione passiva è considerato in questa analisi anche il fascismo, visto non solo nei suoi aspetti repressivi ma anche nei suoi sforzi economico-sociali di modernizzazione in rapporto al fenomeno dell’americanismo e del fordismo, altro filone indagato con costanza analitica nei Quaderni. In questo quadro storiografico trova posto la visione politica di una strategia rivoluzionaria fondata sul passaggio dalla «guerra manovrata» e dall’attacco frontale alla «guerra di posizione» idonea alle condizioni dell’Occidente, dove l’esercizio dell’egemonia è affidato alla conquista del consenso in tutte le principali articolazioni della società civile. Legata a simile strategia è la riflessione su due temi ricorrenti nei Quaderni: il problema del rapporto tra Machiavelli e Marx (e sorge da questa riflessione l’idea di un partito come «moderno Principe») e la prospettiva di uno sviluppo del marxismo come «filosofia della prassi». La stretta connessione di questi temi risulta ancora più evidente nella successione dei manoscritti originali come sono riprodotti nell’edizione critica, nella ricchezza delle sue implicazioni e dei problemi lasciati aperti dallo stesso autore. Questi ultimi in particolare hanno stimolato nuove ricerche e sono stati discussi a lungo, anche in altri Paesi. È in corso di realizzazione una nuova edizione nazionale dell’opera di G., istituita dal Ministero dei beni culturali (1996) e curata dalla Fondazione Istituto Gramsci e dall’Istituto della Enciclopedia Italiana.
Nasce ad Ales, in Sardegna
Si trasferisce a Torino
Si iscrive al Partito socialista italiano
Fonda il settimanale L’Ordine nuovo
Partecipa alla fondazione del Partito comunista d’Italia
Segretario del PCD’I; fonda l’Unità ed è eletto deputato
Arrestato e condannato a venti anni di carcere
Gravemente malato, viene trasferito dal carcere in una clinica
Muore a Roma