Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Prima dell’arresto, tra il 1914 e il 1926, Gramsci si divide tra militanza politica e giornalismo. Pubblica centinaia di articoli, fonda “L’Ordine Nuovo” e “l’Unità” e contribuisce a dar vita al Partito comunista d’Italia, del quale diviene segretario nel 1924. In carcere scrive le Lettere e i Quaderni, oggi tradotti e studiati in tutto il mondo, e annoverati tra i massimi capolavori del Novecento.
Università e politica
Nato ad Ales (Cagliari) il 22 gennaio 1891 in una famiglia della piccola borghesia, Antonio Gramsci frequenta il liceo classico nel capoluogo, quindi si iscrive, nel novembre 1911, alla Facoltà di Lettere dell’Università di Torino. Già manifesta una forte passione politica. L’orientamento socialista traspare sin dal primo scritto pervenutoci, un componimento scolastico intitolato Oppressi ed oppressori. Se “la rivoluzione francese ha abbattuto molti privilegi”, scrive, essa tuttavia “non ha fatto che sostituire una classe ad un’altra nel dominio”, e “l’umanità ha bisogno d’un altro lavacro di sangue per cancellare molte di queste ingiustizie”.
Le radici sarde eserciteranno un’influenza costante sul suo pensiero e sulla sua personalità (la si avvertirà in particolare nelle pagine dedicate alla “questione meridionale”), ma l’incontro con la grande città del Nord industrializzato è decisivo. Nonostante la malferma salute lo costringa a interrompere più volte gli studi, frequenta con passione i corsi di letteratura italiana, filosofia teoretica e glottologia (materia per la quale avverte una spiccata vocazione). Si iscrive al Partito socialista (1913) e ben presto intraprende un’intensa attività giornalistica (dal 1914 collabora con il “Grido del Popolo”, del quale diviene nel 1917 direttore, quindi con “l’Avanti! ”; nel ’19 fonda “L’Ordine Nuovo” e cinque anni dopo “l’Unità”), che caratterizza – insieme alla militanza e all’attività di dirigente politico – la prima fase della sua produzione, sino all’arresto e alla detenzione.
Tra giornalismo e lotta operaia
Antonio Gramsci
Indifferenti
Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo.
A. Gramsci, “Indifferenti”, in La Città futura, Federazione giovanile socialista piemontese, 11 febbraio 1917
Antonio Gramsci
Motto de “L’Ordine Nuovo”
Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza.
Antonio Gramsci
Il programma dell’“Ordine Nuovo”
L’“Ordine Nuovo” divenne, per noi e per quanti ci seguivano, “il giornale dei Consigli di fabbrica”; gli operai amarono l’“Ordine Nuovo” (questo possiamo affermarlo con intima soddisfazione), e perché gli operai amarono l’“Ordine Nuovo”? Perché negli articoli del giornale ritrovavano una parte di se stessi, la parte migliore di se stessi.
Gli articoli (perlopiù anonimi e “scritti alla giornata”) sono spesso rilevanti testi politici, come nel caso di Neutralità attiva ed operante (31 ottobre 1914), nel quale alla parola d’ordine della direzione del Psi (“neutralità assoluta”) è contrapposta l’idea che, ribadita l’opzione neutralista, il partito debba farsi carico anche della “questione nazionale” (cioè sociale), “ridando alla vita nazionale il suo genuino e schietto carattere di lotta di classe”. Altrettanto può dirsi di due articoli scritti a ridosso dello scoppio della rivoluzione d’Ottobre, “atto proletario” destinato a “sfociare nel regime socialista” (Note sulla rivoluzione russa, 29 aprile 1917) e determinato dal fattore soggettivo, dalla decisione assunta dai “bolsceviki” contro le propensioni deterministiche dei “marxisti” russi (La rivoluzione contro il “Capitale”, 24 dicembre).
All’indomani della Grande Guerra, Torino è la capitale della lotta operaia di cui il gruppo dell’Ordine Nuovo, diretto da Gramsci, è protagonista. L’omonimo settimanale (che diverrà quotidiano nel ’21) guida l’esperienza dei Consigli di fabbrica, ispirati al modello dei soviet e concepiti come embrioni di un nuovo Stato operaio. Tra la primavera e l’estate del ’20 il conflitto precipita, ma tanto il primo sciopero generale (dichiarato contro il tentativo padronale di sciogliere i Consigli), quanto l’occupazione delle fabbriche (conseguente al rifiuto opposto dagli industriali alle richieste di aumenti salariali) si concludono con la vittoria del padronato, avvisaglia dell’imminente offensiva reazionaria.
Convinto che la sconfitta operaia consegua alla carenza di direzione politica e sindacale, il gruppo ordinovista apre la battaglia per il “rinnovamento” del Partito socialista, ottenendo il sostegno dello stesso Lenin. Il Psi appare a Gramsci “un conglomerato di partiti”, incapace di assumersi la responsabilità “delle azioni rivoluzionarie che gli avvenimenti incalzanti incessantemente gli pongono”, “un povero notaio che registra le operazioni compiute spontaneamente dalle masse”. È l’avvio della scissione della componente comunista, che si consuma a Livorno, sotto la guida di Amadeo Bordiga, nel gennaio del ’21, durante il XVII congresso del Psi.
La battaglia per l’unità
Per due anni (tra il maggio 1922 e l’aprile 1924) Gramsci è all’estero. Sino al novembre del 1923 a Mosca, quale rappresentante del nuovo Partito comunista d’Italia nel Comitato esecutivo dell’Internazionale comunista. Qui le sue condizioni di salute si aggravano. Ricoverato in un sanatorio alla periferia della capitale, conosce Giulia Schucht, che diventerà la sua compagna e dalla quale avrà due figli, Delio e Giuliano. Dal 3 dicembre 1923 è a Vienna, con l’incarico di seguire da vicino le vicende del Pcd’I e le relazioni con gli altri partiti comunisti europei.
La sua leadership si afferma incontrastata anche per l’incalzare dell’offensiva reazionaria del regime fascista contro i dirigenti socialisti e comunisti. Ormai è in carcere l’intero Comitato esecutivo del Pcd’I. Ma decisiva è soprattutto la sua consapevolezza del rischio che, a seguito dell’orientamento settario della direzione bordighiana, il partito si trasformi in un “morboso movimento minoritario”, proprio in un momento in cui è vitale evitarne l’isolamento sul piano interno e internazionale.
Il 12 febbraio 1924 esce il primo numero de “l’Unità”, organo del Pcd’I, fondato da Gramsci, che, due mesi più tardi, eletto deputato alla Camera, fa rientro in Italia. Il titolo del giornale riassume il cuore della sua linea politica: unità tra la classe operaia del Nord e le masse rurali del Sud, e costruzione di un partito di massa (contro il modello bordighiano del partito di quadri). È la linea che di lì a poco ispira le Tesi di Lione, redatte, in collaborazione con Togliatti, in vista del III congresso del partito (gennaio 1926), e che trova ulteriore sviluppo nel testo teorico più importante del periodo precarcerario: Alcuni temi della quistione meridionale, composto nell’ottobre 1926 (vedrà la luce a Parigi nel 1930).
Si avverte, in queste pagine, un salto di qualità per respiro e profondità della riflessione. Centrale è l’analisi del ruolo dei “grandi intellettuali” nella “centralizzazione” ideologica di un “mostruoso blocco agrario”, alleato “del capitalismo settentrionale e delle grandi banche”. La grave responsabilità di Giustino Fortunato e, soprattutto, di Benedetto Croce – la cui “funzione “nazionale” consiste nel “distaccare gli intellettuali radicali del Mezzogiorno dalle masse contadine, facendoli [...] assorbire dalla borghesia nazionale e quindi dal blocco agrario” – risalta a fronte della figura di Piero Gobetti, esempio di intellettuale borghese non comunista, capace di rompere con la propria classe e di interpretare un ruolo progressivo grazie al riconoscimento della “posizione sociale e storica del proletariato” e della conseguente impossibilità di “pensare astraendo da questo elemento”.
Un calvario durato dieci anni
Antonio Gramsci
Lettera a Tatiana Schucht
Lettere dal carcere
Sarà perché tutta la mia formazione intellettuale è stata di ordine polemico; anche il pensare “disinteressatamente” mi è difficile, cioè lo studio per lo studio. Solo qualche volta, ma di rado, mi capita di dimenticarmi in un determinato ordine di riflessioni, e di trovare per dir così, nelle cose in sé l’interesse per dedicarmi alla loro analisi. Ordinariamente mi è necessario pormi da un punto di vista dialogico o dialettico, altrimenti non sento nessuno stimolo intellettuale. Come ti ho detto una volta, non mi piace tirar sassi nel buio; voglio sentire un interlocutore o un avversario in concreto; anche nei rapporti familiari voglio fare dei dialoghi. Altrimenti mi sembrerebbe di scrivere un romanzo in forma epistolare, che so io, di fare della cattiva letteratura.
Con l’arresto, avvenuto l’8 novembre 1926, ha inizio il calvario decennale di Gramsci, destinato a concludersi con la morte. Imprigionato a Regina Coeli, è dapprima inviato al confino a Ustica, quindi (gennaio 1927) tradotto nel carcere milanese di San Vittore. Nel “processone” contro il gruppo dirigente del Pcd’I (giugno 1928), il pubblico ministero dichiara: “Per vent’anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare”. Puntualmente Gramsci è condannato a vent’anni, quattro mesi e cinque giorni con l’accusa di “insurrezione, cospirazione, incitamento all’odio di classe e alla guerra civile”, e rinchiuso nella casa penale speciale di Turi (Bari), dove rimarrà sino al novembre del 1933.
L’impatto col nuovo carcere è subito durissimo. Dopo poche settimane dall’arrivo, Gramsci scrive alla cognata Tatiana (Tania), colei che più gli sarà vicina per tutti gli anni della prigionia, sino alla fine: “Sento di affondare sempre di più, e lucidamente vedo il momento in cui giungerò, per linee impercettibili, al livello dell’immobilità assoluta, dove non si faranno sentire neanche le burrasche più formidabili”. È un testo sconvolgente, che descrive la condizione nella quale Gramsci si porrà nello stendere i trentatré Quaderni del carcere, composti tra il febbraio 1929 e l’agosto 1935.
Della sua estrema sofferenza fisica e morale fanno fede le Lettere dal carcere scritte ai famigliari (soprattutto a Tania e, per suo tramite, all’amico Piero Sraffa). Sul piano letterario e biografico, e anche sul terreno teorico e storico (le lettere sono anche un mezzo di comunicazione col partito, più o meno in codice), l’epistolario è un documento fondamentale. Ma se in esso è l’uomo “in carne ed ossa” a esprimersi, con i suoi sentimenti, le sue ansie e debolezze, nei Quaderni Gramsci costringe al silenzio il proprio stato d’animo. Ne discende una pagina tersa, disincarnata, espressione distillata di un pensiero “assoluto”, concepito a dispetto di un’immane sofferenza del corpo e dell’animo.
Nel labirinto dei Quaderni
Antonio Gramsci
Quaderni del carcere, Quaderno 8, tomo I
1° Carattere provvisorio – di pro-memoria – di tali note e appunti; 2° Da essi potranno risultare dei saggi indipendenti, non un lavoro organico d’insieme; 3° Non può esserci ancora una distinzione tra la parte principale e quelle secondarie dell’esposizione, tra ciò che sarebbe il “testo” e ciò che dovrebbero essere le “note”; 4° Si tratta spesso di affermazioni non controllate, che potrebbero dirsi di “prima approssimazione”: qualcuna di esse nelle ulteriori ricerche potrebbe essere abbandonata e magari l’affermazione opposta potrebbe dimostrarsi quella esatta; 5° Non deve fare una cattiva impressione la vastità e l’incertezza di limiti del tema, per le cose sopra dette: non ho affatto l’intenzione di compilare uno zibaldone farraginoso sugli intellettuali, una compilazione enciclopedica che voglia colmar tutte le “lacune” possibili e immaginabili.
Saggi principali: Introduzione generale. Sviluppo degli intellettuali italiani fino al 1870: diversi periodi. – La letteratura popolare dei romanzi d’appendice. – Folclore e senso comune. – La quistione della lingua letteraria e dei dialetti. – I nipotini di padre Bresciani. – Riforma e Rinascimento. – Machiavelli. – La scuola e l’educazione nazionale. – La posizione di B. Croce nella cultura italiana fino alla guerra mondiale. – Il Risorgimento e il partito d’azione. – Ugo Foscolo nella formazione della retorica nazionale. – Il teatro italiano. – Storia dell’Azione Cattolica: Cattolici integrali, gesuiti, modernisti. – Il Comune medioevale, fase economico-corporativa dello Stato. – Funzione cosmopolitica degli intellettuali italiani fino al secolo XVIII. – Reazioni all’assenza di un carattere popolare-nazionale della cultura in Italia: i futuristi. – La scuola unica e cosa essa significa per tutta l’organizzazione della cultura nazionale. – Il “lorianismo” come uno dei caratteri degli intellettuali italiani. – L’assenza di “giacobinismo” nel Risorgimento italiano. – Machiavelli come tecnico della politica e come politico integrale o in atto.
Appendici: Americanismo e fordismo.
Raggruppamenti di materia:
1° Intellettuali. Quistioni scolastiche.
2° Machiavelli.
3° Nozioni enciclopediche e argomenti di cultura.
4° Introduzione allo studio della filosofia e note critiche ad un Saggio popolare di sociologia.
5° Storia dell’Azione Cattolica. Cattolici integrali – gesuiti – modernisti.
6° Miscellanea di note varie di erudizione (Passato e presente).
7° Risorgimento italiano (nel senso dell’Età del Risorgimento italiano dell’Omodeo, ma insistendo sui motivi più strettamente italiani).
8° I nipotini di padre Bresciani. La letteratura popolare (Note di letteratura).
9° Lorianesimo.
10° Appunti sul giornalismo.
A. Gramsci, Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975
I Quaderni sono indiscutibilmente l’opera che ha fatto di Gramsci una tra le massime figure della cultura del Novecento, uno degli autori più tradotti, citati e studiati in tutto il mondo. Ma leggerli non è cosa agevole. Non si tratta soltanto di un’opera postuma, che in quanto tale esige (per usare parole dello stesso Gramsci) “molta discrezione e cautela”, e la consapevolezza che il suo contenuto è “ancora provvisorio”. Composti in condizioni estreme, essi offrono un testo frammentato e labirintico, nonostante lo sforzo che Gramsci compie di conferire loro unità (i dodici quaderni composti a Formia sono tutti monografici, “speciali”; negli altri è continuo il lavoro di riscrittura).
Fu per ovviare a questo inconveniente che, nel varare la prima edizione dell’opera (1948-1951), Togliatti optò per la sua organizzazione in sei saggi organici (Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce; Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura; Il Risorgimento; Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo Stato moderno; Letteratura e vita nazionale; Passato e presente). Non immune da gravi pecche sul piano filologico, questa soluzione ebbe il merito di favorire la diffusione dell’opera presso un vasto pubblico. Il testo si presenta invece nella sua configurazione originaria (rispettosa della cronologia interna e forzatamente dissolta nell’alternarsi di annotazioni di diverso argomento) nell’edizione curata da Valentino Gerratana, apparsa nel 1975 in tre tomi (più un quarto di apparato).
La massa dei temi trattati in oltre duemila pagine a stampa è pressoché sconfinata. Per stilarne una mappa sommaria ci si può avvalere del piano di lavoro (intitolato Note sparse e appunti per una storia degli intellettuali italiani) che Gramsci espone nella nota d’avvio del Quaderno 8, alla quale rinviamo. L’interesse si concentra in primo luogo sul problema dell’intreccio tra politica e cultura, quindi sul ruolo politico dell’intellettualità. Ciò non perché Gramsci si disinteressi degli aspetti “materiali” della dinamica sociale, ma perché coglie l’importanza che il lavoro intellettuale (la produzione di concetti, ragioni, “ideologie”) riveste nella società contemporanea, in ragione della sua “complessità”. Da questo, che è il suo fulcro originario, la ricerca si dirama in diverse direzioni, tra loro connesse.
La discussione sul senso comune conduce all’analisi della funzione ideologica della cultura dominante e si organizza intorno alla critica della filosofia crociana. La riflessione intorno alle condizioni della possibile autonomia intellettuale e politica del proletariato conduce allo studio delle forme di organizzazione dei partiti politici di massa e, in specie, del partito operaio (il “moderno Principe”). La contesa teorica con Croce si salda, a sua volta, all’approfondimento della posizione filosofica dei classici (da Marx a Labriola) del materialismo storico (letto in chiave antideterministica come “filosofia della praxis”) e delle sue fonti, mentre l’analisi della società contemporanea spinge, da un lato, alla disamina delle caratteristiche della modernità (rilette alla luce del processo di formazione degli Stati nazionali europei, con particolare riferimento alla Rivoluzione francese e al Risorgimento), dall’altro alla discussione sulle due forme (fascismo e fordismo) di “rivoluzione passiva” e di “stabilizzazione” nella fase attuale della “crisi organica” del capitalismo. In questo contesto prende forma un’originale teoria politica, tuttora considerata fondamentale nella discussione contemporanea, incentrata sulla consapevolezza del ruolo decisivo della soggettività e incardinata su un insieme di concetti (“rapporti di forza”, “blocco storico”, “economico-corporativo”, “previsione”, “società regolata”) e polarità dialettiche (“struttura-sovrastrutture”, “società civile-Stato”, “guerra di posizione” e “di movimento”) che i Quaderni riformulano in termini nuovi.
La fine e il nuovo inizio
Questo poderoso sforzo intellettuale è compiuto mentre le condizioni psichiche e fisiche di Gramsci peggiorano costantemente. A una prima crisi, nell’estate del 1931, segue il crollo, nella primavera del 1933, quando a Gramsci viene diagnosticato, insieme a gravi patologie vascolari (ipertensione e arteriosclerosi), il morbo di Pott (una forma di tubercolosi ossea che distrugge la colonna vertebrale). Gramsci si dice “svuotato”, costretto a una sopravvivenza che “è un semplice pseudonimo della vita stessa”. L’autore del referto medico dichiara che egli “non potrà lungamente sopravvivere nelle condizioni attuali”.
Consapevole delle enormi ricadute che la morte di Gramsci in carcere avrebbe anche sul piano internazionale, il regime dispone il suo trasferimento, prima nella clinica Cusumano di Formia (7 dicembre 1933), poi (agosto 1935) nella casa di cura Quisisana di Roma. Ma è ormai tutto vano: o, piuttosto, un beffardo, feroce, esercizio di ironia. Riacquistata il 21 aprile del 1937 la piena libertà, Gramsci si spegne sei giorni dopo, il 27, a seguito di un’emorragia cerebrale. Le sue ceneri sono tumulate nel cimitero acattolico romano del Testaccio.
Grazie all’interessamento di Sraffa e alla stupefacente sottovalutazione della loro importanza da parte del regime fascista, i manoscritti dei Quaderni vengono inviati in Unione Sovietica in un baule di posta diplomatica, insieme alle lettere, ai libri e a pochi oggetti personali appartenuti a Gramsci negli anni del carcere. Giungono a Mosca nel luglio del 1938, e da lì torneranno, dopo la guerra, in Italia, per divenire uno strumento fondamentale della lotta democratica in ogni parte del mondo.