GRANO, Antonio
Nacque a Palermo verso il 1660 e studiò pittura probabilmente nella città natale. Si ignora chi ne fu il maestro, ma si può supporre che si sia formato in ambiente tardonovellesco. Infatti, uno dei suoi primi lavori documentati è il restauro del luglio 1678, nella chiesa del Gesù a Casa Professa a Palermo, degli affreschi con figure di Virtù, realizzati da Pietro Novelli entro il 1644 nelle vele della cappella di S. Anna, che già pochi anni dopo l'esecuzione si erano deteriorati a causa dell'umidità e su cui il G. dovette ancora intervenire nel 1687.
Per circa due anni mancano notizie dell'artista in città, cioè fino al 1681, quando si registra un pagamento al G. per aver eseguito ad affresco "quattro figure e diversi pezzi di rocchi e diversi cartoni per la machina fatta alla novena delli defunti e […] l'albero dove ci si posò il Santissimo" per la chiesa di S. Matteo (Mineo, p. 242). Si può, quindi, ragionevolmente ipotizzare per quel periodo di assenza un suo viaggio di studio a Roma, meta obbligata per quanti volessero aggiornare la propria cultura in campo figurativo.
A Roma, come molti giovani artisti siciliani, avrebbe avuto contatti con il pittore palermitano Giacinto Calandrucci. Non è inoltre escluso che intrattenesse rapporti anche con il maestro dello stesso Calandrucci, Carlo Maratta: infatti, qualche tempo dopo, nel 1685, proprio su richiesta di quest'ultimo, al quale era stata commissionata una Madonna del Rosario per l'oratorio palermitano di S. Cita, il G. fece un disegno della Madonna e santi, dipinta da A. Van Dyck nel 1628 per l'oratorio di S. Domenico (Paolini, 1982, p. 322). L'esperienza romana dovette servire a orientare la pittura del G. verso soluzioni moderatamente classiciste, prive però dell'equilibrata eleganza dell'arte di Maratta. Il dinamismo barocco venne infatti tradotto dal G. piuttosto in un gesticolare enfatico e goffo che non in autentico movimento. Nonostante tutto, l'artista fu a Palermo l'interprete di maggior spicco del gusto figurativo dei decenni a cavallo tra Sei e Settecento, adottando soluzioni che stemperano l'irruenza barocca nelle forme più aggraziate del rocaille.
Ritornato in Sicilia, il 31 luglio 1682 stipulò con il procuratore della Congregazione di S. Giuseppe, Santo Pellegrino, il contratto di affitto per una casa in contrada Chizzitella a Palermo; in questa città il G. sarebbe stato attivo ininterrottamente fino alla sua morte (per le opere realizzate a Palermo, dove non altrimenti indicato, si veda Siracusano, 1986).
Sempre nel 1682 ottenne l'incarico di dipingere un telone (ora perduto), a sostituzione di quello tardocinquecentesco di Vincenzo da Pavia, da dispiegarsi durante la settimana santa a coprire il cappellone del duomo. L'anno successivo eseguì degli affreschi sulle finestre (anche questi perduti). Tra il 1684 e il 1685 fu impegnato nella decorazione della chiesa della Martorana con la Gloria dell'Ordine benedettino nella cupola e con i Quattro dottori della Chiesa nei pennacchi.
Del 1686 è il disegno per l'incisione del frontespizio del libro di Michele Del Giudice, Palermo magnifico nelle feste di s. Rosalia, un esemplare del quale è conservato a Napoli, presso la Biblioteca della Società napoletana di storia patria. L'anno seguente dipinse ad affresco la Visitazione e la Passione di Cristo in due cappelle della chiesa del noviziato dei gesuiti.
All'attività di pittore il G. accompagnò anche quella di progettista e, sia pur raramente, quella di architetto.
Nel 1690 progettò, infatti, il riassetto della cappella di S. Anna nella chiesa del Gesù a Casa Professa, intervenendo soprattutto nelle due nicchie, con l'inserimento di sculture in marmo di soggetto mariano da lui stesso ideate. Quella stessa soluzione architettonica venne utilizzata nel 1703 per le tre nicchie che ospitano sculture nel presbiterio della chiesa della Gancia. A S. Anna fu così realizzato, in un felice connubio, il principio di integrazione di architettura, scultura e pittura da lui sempre ricercato. A tal proposito, il G. ebbe a collaborare in più occasioni sia con l'architetto Giacomo Amato sia con gli scultori Giacomo e Procopio Serpotta, artisti tra i più richiesti nella Palermo a cavallo dei due secoli. Attestano, inoltre, la versatilità del G. i suoi disegni contenuti all'interno dei sette volumi che raccolgono quelli di Amato (Palermo, Galleria regionale di Palazzo Abatellis). Questi, infatti, affidava a specialisti la soluzione di problemi di ordine strutturale e figurativo delle sue ideazioni, riuscendo a fondere in armoniche composizioni gli interventi delle diverse personalità. Conosciamo, così, oltre a disegni relativi a decorazioni di architetture o di suppellettili varie (basti, per esempio, considerare, il disegno per le suore di S. Teresa, relativo a una cassa per la funzione del giovedì santo forgiata in argento da Francesco Iuvarra del 1703), anche quelli di progettazioni di macchine effimere costruite in occasione di festività o di ricorrenze particolari.
Nel 1689 realizzò un'incisione per i funerali della regina di Spagna e di Sicilia Maria Luisa d'Orléans e un'altra con l'interno della cattedrale di Palermo. E a partire dall'anno successivo mancano, per circa un paio d'anni, documenti che attestino la presenza del G. in città. Anche in questo caso è plausibile supporre un suo viaggio di studio e di aggiornamento non solo a Roma, ma anche a Napoli, come è dato constatare dagli esiti della sua pittura dell'ultimo decennio del secolo, nella quale si possono rintracciare echi di Luca Giordano e di Francesco Solimena, ma anche degli artisti della nuova generazione, come Giacomo Del Po e Paolo De Matteis.
Ricompaiono notizie dell'attività dell'artista a Palermo a partire dal 1692, quando nella cattedrale di Monreale affrescò nella cappella del Crocifisso la Battaglia degli angeli contro Lucifero (perduta) e, nella cappella superiore, un Cristo deposto, attribuitogli sulla base di un raffronto stilistico con la Deposizione, oggi molto deteriorata, realizzata nei primi anni del XVIII secolo sull'arco trionfale della chiesa di S. Francesco di Paola (Paolini, 1982, pp. 343 s.).
Tra il 1693 e il 1697 fu accanto al messinese Filippo Tancredi impegnato nella decorazione ad affresco della sagrestia della chiesa di S. Maria di Monte Oliveto della Badia Nuova, ma, come si suppone, solo in qualità di aiuto.
Fu proprio la presenza a Palermo di Tancredi che contribuì a determinare nel G. una svolta in senso moderatamente classicista, venata di influssi di un colorismo vibrante e acceso sulla scia dei cortoneschi. Il G., però, non riuscì né ad addolcire la rigida fissità dei suoi personaggi, né a superare del tutto il suo impaccio nella resa dei panneggi, che risultano artificiosamente e malamente rigonfi, né infine a cimentarsi nelle vertiginose arditezze prospettiche che caratterizzavano le opere dei suoi contemporanei.
Ascrivibili all'incirca al 1696 sono i lavori per la chiesa di S. Maria Valverde: le scene tratte dal Nuovo Testamento sono inserite, come anche in altri interventi del G., entro ricche cornici mistilinee a stucco. Affini a questi affreschi sembrano essere quelli della chiesa di S. Antonino con Scene della vita della Vergine, che parrebbero coevi ai precedenti. Dovrebbero essere, inoltre, degli stessi anni sia i Santi dell'Ordine francescano, nella navata centrale della chiesa di S. Maria degli Angeli alla Gancia, sia l'impresa decorativa della chiesa di S. Chiara (in gran parte scomparsa a seguito dei bombardamenti della seconda guerra mondiale) di cui sopravvive, nella cupola, l'Apoteosi della Trinità e della Vergine.
Nel 1701 dipinse i pennacchi della cupola nella chiesa di S. Cita e, successivamente, lavorò nella chiesa di S. Francesco di Paola con Scene della vita del santo e dei padri dell'Ordine. Tra il 1702 e il 1705 fu occupato nella decorazione pittorica della chiesa del Gesù a Casa Professa, di cui oggi rimangono solo gli episodi cristologici delle cupolette, dove venne anche incaricato dell'ideazione della parte scultorea, compiuta poi da Procopio Serpotta, delle cappelle dei Ss. Martiri e di Nostra Signora.
L'8 genn. 1703 il G. firmò con Procopio Serpotta il contratto di allogazione dei lavori della decorazione, oggi perduta, del monastero delle vergini, che si protrassero fino al 1718. Il 2 febbr. 1708 stipulò il contratto per l'esecuzione degli affreschi nella chiesa del monastero della Pietà, completati nel 1712 (l'ultimo pagamento è del marzo).
Il Trionfo dell'Ordine domenicano, che campeggia nella volta, nella roboante fantasmagoria di personaggi, è forse uno degli esiti più felici della pittura del G., in quanto sembra venir meno la consueta secchezza espressiva per un più naturale movimento impresso alle sue figure. Negli stessi anni, tra il 1708 e il 1710, lavorò anche agli affreschi per la chiesa dei Ss. Paolo e Bartolomeo ad Alcamo; ma il suo stile e le sue soluzioni, forse perché si trovava a operare in provincia, denunciano una certa involuzione: il Paradiso, nella cupola, è, infatti, un'attardata riproposizione di schemi decorativi tardosecenteschi.
Nel 1713 per la cattedrale di Palermo eseguì dipinti, ora perduti, nella cappella di S. Francesco di Paola e, due anni dopo, in quella di S. Michele.
Gli affreschi nell'oratorio delle dame, detto "del giardinello", nella cui volta è il Trionfo della Vergine circondato da sei storie dell'infanzia di Gesù, sarebbero da considerare, in mancanza di una datazione certa, come una tarda prova dell'artista. L'Adorazione dei magi, nella controfacciata, dipende iconograficamente da quella realizzata nel 1707 da Sebastiano Conca (oggi conservata a Tours), a riprova non solo del continuo aggiornamento del G. su quanto accadeva a Roma, ma anche della fortuna incontrata da Conca stesso nell'ambiente siciliano di inizio Settecento.
Il G. morì a Palermo il 15 apr. 1718, mentre era impegnato nell'oratorio di S. Caterina d'Alessandria all'Olivella.
Fu il figlio Paolo, anch'egli pittore, a ultimare i lavori, dei quali, però, non rimane alcuna traccia, in quanto la decorazione fu ben presto sostituita da altri affreschi, oggi attribuiti a Filippo Randazzo.
Tra le tele del G. rimaste ricordiamo il S. Nicola da Tolentino, nella chiesa di S. Agostino, di controversa datazione (Siracusano, 1986, p. 181, lo assegna al 1687 circa; mentre Barbera lo riporta al 1707-08); il S. Agostino vescovo, stilisticamente vicino al precedente, nel convento della stessa chiesa; l'Estasi di s. Francesco, degli ultimi anni del Seicento, nella chiesa di S. Maria degli Angeli; la Madonna del latte e i Ss. Gaetano e Andrea Avellino, del 1713-15, nella cattedrale; S. Antonio e la Vergine, del secondo decennio del Settecento, conservato nel Museo diocesano di Palermo. Alla Galleria regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis sono conservati, con dubbia attribuzione al G., tre affreschi riportati su tela, provenienti dal monastero della Concezione, raffiguranti la Veronica, S. Giovanni e l'Addolorata (inv. 168, 484 e 487). Il bozzetto su tavola con S. Chiara che abbraccia Gesù Bambino per la chiesa di S. Maria degli Angeli, databile verso la seconda metà degli anni Ottanta (inv. 682), e l'olio su tela S. Oliva (inv. 645), a mezza figura provengono dalla collezione di Agostino Gallo.
Fonti e Bibl.: M.G. Paolini, A. G., Palermo 1974; Id., in IX mostra di opere d'arte restaurate, Palermo 1974, pp. 159 s.; D. Malignaggi, L'effimero barocco negli studi, rilievi e progetti di Giacomo Amato conservati nella Galleria regionale di Sicilia, in Boll. dei beni culturali e ambientali di Sicilia, II (1981), 3-4, pp. 32, 34, 37 s.; M.G. Paolini, Aggiunte al G. e altre precisazioni sulla pittura palermitana tra Sei e Settecento, in Scritti in onore di Ottavio Morisani, Catania 1982, pp. 309-360; Id., in XII catalogo di opere d'arte restaurate (1978-81), Palermo 1984, pp. 187-189; D. Malignaggi, Le arti figurative del Settecento in Sicilia, in La Sicilia nel Settecento, II, Messina 1986, pp. 714, 716 s., 722, 724; C. Siracusano, La pittura del Settecento in Sicilia, Roma 1986, pp. 180-190 e ad indicem (con bibl.); Id., La pittura del Settecento in Sicilia, in La pittura in Italia. Il Settecento, II, Milano 1989, pp. 518-520; E. De Castro, I luoghi del Novelli, Palermo s.d. (ma 1990), p. 35; Pietro Novelli e il suo ambiente (catal.), Palermo 1990, p. 324; M. Guttilla, Esotismo, culto liturgico e leggenda. La tradizione figurativa dell'adorazione dei magi nel Settecento, in In epiphania Domini. L'adorazione dei magi nell'arte siciliana, (catal.), a cura di M.C. Di Natale - V. Abbate, Palermo 1992, p. 105; G. Barbera, in XV catalogo di opere d'arte restaurate (1986-1990), Palermo 1994, pp. 123-126; F. Mineo, in L. Sarullo, Diz. degli artisti siciliani, a cura di M.A. Spadaro, II, Palermo 1994, pp. 241 s.; D. Malignaggi, in Maestri del disegno nelle collezioni di Palazzo Abatellis (catal.), a cura di V. Abbate, Palermo 1995, pp. 244 s.; M. Giuffré, Architettura e decorazione negli oratori serpottiani, in Giacomo Serpotta. Architettura e apparati decorativi settecenteschi a Palermo (catal., Parigi), a cura di L. Foderà, Palermo 1996, pp. 30, 32, 37; P. Palazzotto, Gli oratori di Palermo, Palermo 1999, pp. 43, 51, 82, 124, 207, 223; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, p. 518.