GRESTA, Antonio
Nacque il 19 febbr. 1671 ad Ala, nel Trentino, da Francesco e Bernardina Burri. Il padre apparteneva a un ramo collaterale della nobile famiglia Gresta (Dalla Laita). Il G. ebbe per padrino Gabriele Taddei, dei baroni Taddei di Ala. Il fratello minore Sebastiano sposò, in prime nozze, una Taddea Taddei, consolidando così il rapporto fra le due famiglie.
Le fonti ricordano che i genitori lo avviarono agli studi classici in Ala, per poi inviarlo nel 1689, diciottenne, a perfezionare la sua istruzione a Verona. Qui egli avrebbe scelto di dedicarsi alla professione pittorica. Ma non è improbabile che il G. apprendesse i rudimenti del mestiere ad Ala per approdare in seguito a Verona, come avvenne al più giovane pittore trentino Gasparo Antonio Baroni Cavalcabò. Le fonti individuano in Martino Cignaroli il maestro del G.; ma un ruolo di rilievo dovettero avere, nella formazione del giovane alense, i modi di alcuni protagonisti della pittura veronese tardobarocca: la grandiosità dinamica e plastica di Santo Prunato; l'esuberante decoratività di Louis Dorigny, a Verona dal 1687 e attivo anche a Trento; la spazialità dilatata e lo splendido cromatismo di Simone Brentana; ma soprattutto, le fluide linee barocche e le larghe stesure di Antonio Balestra, capace di coniugare l'accademismo e il classicismo marattiani con il gigantismo compositivo della tradizione locale. Particolarmente congeniale alla sua maniera fu, sin dall'inizio, la grande tradizione quadraturistica emiliano-veneta, che egli poté studiare da vicino nella versione del prospettico Antonio Sorisene, autore, nel 1672, della complessa decorazione barocca nella chiesa di Brancolino presso Rovereto.
Tornato ad Ala, il G. eseguì nell'ultimo decennio del secolo le sue prime prove pittoriche di cui si ha menzione: due quadri di soggetto biblico, oggi perduti, per la nobile famiglia alense dei Malfatti (Dalla Laita, p. 8) e un Saul e la maga di Endor, anch'esso perduto, riconducibile probabilmente alla medesima committenza (Passamani, 1999).
Nel 1701 il G. si trasferì a Venezia e studiò soprattutto la pittura, sensibile al recupero della grande tradizione cinquecentesca, di Sebastiano Ricci. Rientrato ad Ala nel 1705 (Dalla Laita), avviò un'intensa attività di frescante per chiese, cappelle nobiliari e palazzi della Valle Lagarina, durata circa un ventennio. Fra le opere plausibilmente riferibili al primo decennio del Settecento è la pala (firmata) con la Madonna, il Bambino, s. Antonio e angeli per la parrocchiale di S. Maria Assunta a Villa Lagarina, assai vicina ai modi di Antonio Balestra e realizzata su richiesta del pievano Carlo Ferdinando Lodron.
Passamani (1999) suppone che al 6 maggio 1708, giorno dell'inaugurazione della cappella della Madonna di Caravaggio eretta dal conte Pietro Modesto Fedrigotti nella chiesa di S. Trinità a Sacco, il G. avesse già portato a termine la decorazione parietale del presbiterio con i Miracoli della Madonna di Caravaggio.
Di poco successiva al ritorno in patria dovette essere la decorazione della chiesa del Carmine a Trento, dove il G. affrescò la Pentecoste nella volta del presbiterio e, nella cupola, una Gloria celeste con angeli, santi, Virtù e dottori della Chiesa. L'opera, lodata dalle fonti e assai importante per la ricostruzione del linguaggio giovanile del G., è andata perduta con la demolizione della chiesa nel quarto decennio dell'Ottocento. La prova data al Carmine consolidò la reputazione dell'artista e lo fornì di buone credenziali. Nel 1710 il G. venne convocato a Bressanone dal vescovo G.I. von Künigl, che gli commissionò la decorazione del soffitto della sala dei ricevimenti nel palazzo dei principi vescovi. Nel 1711, in occasione del passaggio per Bressanone dell'imperatore Carlo VI il G. decorò la porta cittadina sul fiume Leno, abbattuta all'inizio dell'Ottocento, trasformandola in un arco di trionfo.
Nel secondo decennio del secolo gran parte della sua attività fu concentrata a Trento, dove nel 1710, operando con lo scultore Cristoforo Benedetti, aveva condotto alcuni lavori (andati perduti) nella chiesa di S. Chiara e nel 1718 aveva eseguito i tabernacoli con le stazioni della Via Crucis (demoliti nel 1892) lungo la salita che conduce al convento francescano di S. Bernardino.
A testimonianza dell'attività trentina resta soltanto il ciclo di affreschi nel santuario dei carmelitani alle Laste, dove sono del G. il soffitto del presbiterio e quello della navata, con motivi architettonici che inquadrano un'Assunta attorniata da angeli.
Fuori Trento fu perlopiù al servizio della locale committenza nobiliare. Nel 1717 lavorò, accanto a Benedetti, nella cappella di S. Felice della parrocchiale di Valle San Felice, dove affrescò i pennacchi, il tamburo ottagono della cupola e la volta, con l'Apoteosi di s. Felice, che appare oggi pesantemente ridipinta.
La decorazione pittorica e quella scultorea furono progettate unitariamente; l'altare marmoreo di Benedetti, che racchiude ed esalta la statua di S. Felice, è strettamente correlato all'Apoteosi sovrastante. Stando a una notizia raccolta da Dalla Laita (p. 18), il G. avrebbe dipinto alcune stanze nella casa natale di Benedetti a Castione presso Mori.
Nel 1725 il G. fu a servizio della nobile famiglia alense dei Pizzini: nella sala del loro palazzo ad Ala realizzò una scena allegorica con il Trionfo dell'agricoltura; per la chiesa di villa Pizzini a Pozzo Alto lavorò agli affreschi e alla pala dell'altar maggiore, oggi perduti.
Mich (1989) riteneva stilisticamente vicina al Trionfo Pizzini l'Apoteosi del Sole con le quattro stagioni della volta di villa Bortolazzi ad Acquaviva, attribuendola pertanto al Gresta. Grosso modo coevo al Trionfo di palazzo Pizzini era un soffitto con un'Assunta, perduta, per palazzo Taddei ad Ala (Dalla Laita).
Sembra plausibile (Passamani, 1999) che a metà del terzo decennio il G. tornasse sulle impalcature della cappella della Madonna di Caravaggio di S. Trinità a Sacco, questa volta affiancato dal più giovane Gasparo Antonio Baroni.
Varie sono state le ipotesi di distinzione delle mani e ripartizione delle competenze; è ormai assodato che al G. spetti il tamburo illusionistico con angeli, statue e bassorilievi dipinti e le due vedute di Isera e Sacco incendiate dai Francesi. Secondo Passamani (1999), la commissione pervenne quasi sicuramente al G.; e dunque egli va ritenuto l'ideatore e il responsabile del progetto decorativo. Baroni gli si affiancò, per poi sostituirlo in seguito alla sua partenza dalla Valle Lagarina (1726).
Oltre agli affreschi, cui deve la fama che determinò nel 1726 la svolta internazionale nella sua carriera, il G. eseguì pure dipinti sacri e pale d'altare, da scalare nei due decenni di attività anteriori alla partenza.
Sono perduti due quadri per S. Maria di Rovereto (Il sacrificio di Abramo; Il profeta Elia) e due pale per S. Giuseppe di Rovereto (S. Lucia; Il Padre Eterno, il Redentore, s. Valentino e s. Francesco di Paola). Sopravvivono nella collocazione originaria la pala Malfatti (Madonna e santi, firmata) e la pala con la Sacra Famiglia e s. Gaetano nella parrocchiale di S. Maria Assunta di Ala, nonché la pala di S. Giobbe, proveniente da S. Trinità a Sacco e ora nella locale parrocchiale di S. Giovanni Battista (cappella Adami di Cavalcabò). Sono stati attribuiti alla mano del G. anche il S. Domenico libera un'ossessa e il Miracolo di s. Francesco della stessa chiesa, in genere riferite a Baroni (Mich, 1989). Il G. si dedicò pure a dipinti da cavalletto a soggetto sacro, collezionati dai notabili del luogo (Dalla Laita).
Con la mediazione del musicista Francesco Antonio Bonporti il G. entrò in contatto con il cardinale Damian Hugo von Schönborn vescovo di Spira, che lo convocò nella residenza di Bruchsal, nel Baden, per affrescare la cappella di corte. Un salvacondotto del conte Giuseppe Scipione di Castelbarco per il G. e il fratello Sebastiano era già pronto il 17 luglio 1725; ma la partenza fu rimandata all'anno successivo.
Dalla corrispondenza tra Bonporti e Schönborn si apprende che nel marzo 1726 il G. chiese un compenso di 100 ducati d'oro e vitto e alloggio gratuiti per sé e l'aiutante che contava di condurre a Bruchsal.
L'11 ag. 1726, in vista del viaggio, il G. faceva testamento; nell'autunno era a Bruchsal, accompagnato non da Sebastiano, ma dal cugino Giuseppe Maria Brachetti. Benché avesse sottoposto a Schönborn un progetto assai soddisfacente e avesse ottenuto il beneplacito del committente, il G. non riuscì neppure a completare il coro della cappella - poi decorata dal suo successore Cosmas Damian Asam - a causa di una malattia che lo colpì ai primi di settembre del 1727.
Il G. morì a Bruchsal nella notte fra il 12 e il 13 sett. 1727, dopo dieci giorni di completa astenia. Secondo le fonti più antiche sarebbe rimasto vittima di intrighi di corte e sarebbe morto avvelenato.
Fonti e Bibl: Le fonti più antiche (G. de Sperges, 1742-50; F. Bartoli, 1780; A. Chiusole, 1782; S. Consolati, 1835) sono edite da G.B. Emert, Fonti manoscritte inedite per la storia dell'arte nel Trentino, Firenze 1939, pp. 56 s., 60, 88, 91 s., 94, 98-100, 111, 114 s., 123, 128, 131, 157; F. Ambrosi, Scrittori ed artisti trentini, Trento 1894, pp. 64 s.; H. Hammer, Die Entwicklung der barocken Deckenmalerei in Tirol, Strassburg 1912, pp. 223-225; H. Rott, Die Kunstdenkmäler des Amtbezirks Bruchsal, Tübingen 1913, pp. 104, 129; Id., Bruchsal. Quellen zur Kunstgeschichte des Schlosses und der bischöflichen Residenzstadt, Heidelberg 1914, pp. 25, 29, 32-34; G. Gerola, Artisti trentini all'estero, Trento 1930, pp. 13 s.; L. Dalla Laita, Brevi cenni dei pittori alensi dalla fine del 1600 ai primi anni del 1800, Ala 1932, pp. 6-26; S. Weber, Artisti trentini e artisti che operarono nel Trentino (1933), a cura di N. Rasmo, Trento 1977, pp. 182 s., 403; O.B. Roegele, Bruchsal wie es war, Karlsruhe 1955, p. 207; B. Passamani, Gasparantonio Baroni Cavalcabò, pittore (1682-1759), in Atti della Accademia roveretana degli Agiati, s. 5, VII (1958), pp. 61 s.; N. Rasmo, Storia dell'arte nel Trentino, Trento 1982, p. 313; E. Mich, in La pittura in Italia. Il Seicento, II, Milano 1989, pp. 770 s.; B. Passamani, in Rovereto città barocca, città dei lumi, a cura di E. Castelnuovo, Trento 1999, pp. 242, 246, 252; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XV, pp. 1 s.