GRIFO, Antonio
Nacque probabilmente a Venezia nella prima metà del secolo XV, probabilmente intorno al 1430.
Le scarse notizie sulla vita del G. si ricavano in modo indiretto dalla silloge poetica (conservata nel codice della Biblioteca nazionale Marciana, Mss. it., Z.64 [= 4824]), a lui attribuibile sulla base di alcuni elementi: in un sonetto la Virtù chiama il poeta per nome, alla c. 1r figura un grifo miniato e alla c. 106r compaiono le iniziali "A. G.". Dai numerosi riferimenti è possibile stabilire che il G. visse a Padova, Venezia e Milano tra il tardo Quattrocento e il primo Cinquecento; i personaggi citati - Tifi Odasi, Nicolò Lelio Cosmico, Gasparo Visconti, Bernardo Bellincioni -, gli avvenimenti descritti e la circostanza che la Laura cantata è nata nel 1438 (come si legge nel sonetto 255 della raccolta) spingono a fissare i termini della vita del G. tra il 1430 e il 1510. Fu probabilmente originario di Venezia, in cui è largamente attestato un casato Grifo nel XIV secolo. Quasi certamente visse a Padova, per studio, fra il 1456 e il 1466. Nei repertori di famiglie padovane non esistono Grifo, ma sono a Padova nella seconda metà del Quattrocento almeno cinque omonimi del G., tutti veneziani. Nessuno di questi, per ragioni di cronologia, può essere identificato con il G., salvo un Antonius Griphus nominato quale partecipante alla giostra ("astiludio") tenuta in Prato della Valle nel 1466 nei poemetti composti nell'occasione da L. Lazzarelli e G.I. Cani, nei quali si ricordano l'origine veneziana di Griphus e la sua attitudine alla poesia. L'identificazione del G. con il partecipante all'"astiludio" risulta però problematica, perché un sonetto in morte di quest'ultimo personaggio, scritto da un Marco Businello padovano, è conservato dal ms. 908 della Biblioteca universitaria di Padova, datato 1470: potrebbe però trattarsi di una morte metaforica, cioè dell'inaridirsi della vena lirica del prolifico poeta. Altre testimonianze (Quadrio, Argelati) vogliono il G. milanese e alcuni studiosi (Rossi, 1889; Cian; Malaguzzi Valeri) lo ritengono padovano in ragione dell'origine della sua Laura e dell'amicizia con rimatori quali Odasi, Cosmico, Businello.
Nei primi giorni dell'aprile 1477 il G. si accingeva a tornare a Venezia da Roma, dove era stato in compagnia di Cosmico, recando una lettera di quest'ultimo per Alessandro Strozzi. Dopo il 1477, forse alla fine degli anni Ottanta, fu esiliato dalla Repubblica: tutto il suo canzoniere è pervaso da riferimenti nostalgici a Venezia, che assume le sembianze di un "biforme animal", lo stesso epiteto con il quale il poeta indica se stesso. Quanto al motivo del bando, esso va forse ricercato nella frequentazione della famiglia Sanseverino, di tendenze filomilanesi, iniziata probabilmente negli anni Ottanta, quando Roberto Sanseverino era capitano della Serenissima. Morto costui nel 1487 (l'evento è ricordato nel canzoniere con un capitolo in morte), verosimilmente il G. seguì uno dei suoi figli allorché, dopo essersi riconciliati con Ludovico il Moro, costoro abbandonarono Venezia nel 1489. Nel gennaio del 1491 ritroviamo il G. a Milano, a seguito di Galeazzo Sanseverino, se è lui il "Mess. Antonio Gri venetiano chonpagno d'Antonio Maria" per cui Leonardo da Vinci disegna un costume nell'occasione della parata organizzata da Galeazzo per il matrimonio tra Ludovico il Moro e Beatrice d'Este (Londra, British Library, Arundel, 263, c. 250r, riprodotta da Mariani Canova, 1990, tav. 42.4): l'Antonio Maria citato può essere identificato con uno dei figli di Roberto Sanseverino; e a un altro dei figli di quest'ultimo, Gaspare detto Fracasso, che fu capitano al servizio di Ludovico il Moro tra il 1493 e il 1500, sono dedicati dal G. alcuni componimenti. A Milano il G. trascorse l'ultimo decennio del secolo: V. Calmeta ricorda come alla corte di Ludovico il Moro fosse stata tenuta una lettura di Dante da parte di "uno Antonio Grifo, uomo in quella facultà prestantissimo" (Calmeta, p. 71), che Ludovico ascoltava con grande piacere. Calmeta si trattenne a Milano tra il 1494 e il 1496: in questo periodo va collocato il culmine dell'attività di poeta cortigiano del G., che testimonia della morte di Gian Galeazzo Sforza (1494) e dell'ascesa al trono di Ludovico (1495), di cui canta le lodi insieme con quelle di Beatrice d'Este. Da altre testimonianze nel suo canzoniere e in quello del poeta di corte milanese Gasparo Visconti risulta che il G. aveva raggiunto una posizione di riguardo presso i letterati della corte sforzesca: Visconti lo colmava di lodi come miglior poeta ed esempio di "canto dolce" e "virtù" di cui seguire le "sacre orme".
Le mansioni del G. alla corte degli Sforza dovevano prevedere, oltre all'attività di rimatore cortigiano e commentatore dei classici, quella di precettore di un giovane, cui nelle rime indirizza l'invito a riprendere gli studi. A questo periodo risalgono le testimonianze di umanisti: amico di Cosmico, rivale di Benedetto da Cingoli e di Bellincioni, suoi detrattori, il G. fu menzionato in rima da Marcello Filosseno e fu in corrispondenza poetica con Antonio Tebaldeo. Non è dato sapere per quanto tempo si trattenne a Milano dopo il 1496: i componimenti del suo canzoniere seguono le vicende del Moro e di Beatrice d'Este fino alla morte di lei, nel 1497, e all'invasione francese, in seguito alla quale il suo atteggiamento encomiastico verso Ludovico il Moro si muta in acredine. Probabilmente il G. seguì i Sanseverino dopo la rovina della corte sforzesca.
Gli indizi ricavabili dal suo canzoniere per ricostruirne la biografia si fanno da qui in avanti scarsi, ma i riferimenti a vicende del primo Cinquecento lasciano intuire che egli visse fino al 1510 circa, passando gli ultimi anni in condizioni precarie. Non esistono documenti sulla sua morte, ma dalle ultime miniature del canzoniere marciano, di area veneta e già attribuite a B. Bordon, si può avanzare tra le altre ipotesi quella che il G. abbia finito i suoi giorni nel Veneto, verosimilmente nel feudo di Cittadella, residenza dei Sanseverino.
Il ricco canzoniere del G., raccolto nel ms. della Biblioteca Marciana, Mss. it., Z.64 (= 4824), adespoto, fu attribuito da V. Rossi (1888) a Giovan Battista Refrigerio o a Iacopo Corsi, e poi ascritto al G. da A. Medin. Il codice, autografo, risulta scritto in tre stesure e composto in quattro fasi successive: una raccolta originaria, una fase che comprenderebbe componimenti scritti fra il 1490 e il 1497, una terza e una quarta di revisione ed emendamenti. Si compone di 868 sonetti, 61 capitoli, 24 canzoni, 5 strambotti, 3 sestine e una frottola. L'opera è dedicata a un "magnifico messer Pietro", la cui identificazione risulta problematica: è stata avanzata l'ipotesi che si tratti di Piero de' Medici.
Questa copiosa produzione ricalca in maniera monotona e ripetitiva gli schemi della poesia d'amore petrarchesca e della lirica cortigiana. Le rime d'amore sono dedicate a una Laura padovana, nata nel 1438 e morta fra il 1493 e il 1495. I componimenti di tipo amoroso reiterano stancamente l'intero campionario petrarchesco, non escluso il versante morale, mentre quelli di marca cortigiana e a propensione encomiastica comprendono le lodi alla donna su commissione del proprio signore, alcune rime denigratorie, corrispondenze con altri poeti su questioni amorose o di amicizia, allocuzioni convenzionali. Il tono è generico e uniforme; dal punto di vista linguistico, il G. segue l'indirizzo di conguaglio sovramunicipale promosso e attuato da Cosmico.
Il G. decorò l'incunabolo della Commedia con il commento di C. Landino, stampato da Pietro di Piasi Cremonese a Venezia nel 1491, ora alla Casa di Dante in Roma. Anche le scarne postille già attribuite al francescano Pietro da Figino, che fu solo il revisore in tipografia dell'incunabolo, sono da ascrivere al Grifo. Dedicato a Gaspare Sanseverino, il volume fu decorato dal G. prima del 1499. Le illustrazioni interpretano la Commedia in chiave cavalleresca, insistendo su immagini ed episodi favolosi e singolari, sulla mitologia fantastica, sugli amori delle eroine antiche e, nel Paradiso, sulla schiera dei paladini della fede. Il G. è pure postillatore e illustratore di Petrarca (Rime e Trionfi) nell'edizione veneziana di Vindelino da Spira (1470), conservata nell'incunabolo G.V.15 della Biblioteca civica Queriniana di Brescia, che potrebbe essere stato illustrato tra il 1490 e il 1494 e rielaborato nel 1495: è dedicato a una "Alta Minerva" identificata erroneamente con Caterina Corner e che più probabilmente potrebbe essere Isabella d'Aragona o Beatrice d'Este.
Le postille al testo del Canzoniere dell'incunabolo queriniano riprendono in larga misura i commenti di F. Filelfo e G. Squarciafico e del cosiddetto "Da Tempo", con un indirizzo di lettura prevalentemente storico-biografico delle vicende di Petrarca e Laura. Per i Trionfi non vi sono che notabilia. Le illustrazioni al Canzoniere sono il primo esempio in assoluto di illustrazione continua dell'opera del Petrarca, interpretata in chiave cortese, tramite simboli amorosi animati: libri trafitti da strali, amorini, emblemi del lauro ecc.; un apparato iconografico coerente con la lettura disimpegnata dell'opera, quella delle corti padane del tardo Quattrocento, appassionate soprattutto alla favola galante ivi descritta.
È stato riconosciuto come decorato dal G. anche il codice Canonici it. 73 della Bodleian Library di Oxford, contenente un Canzoniere di Petrarca; è invece incerta l'attribuzione alla sua mano delle decorazioni sul ms. Additional 11896 della British Library di Londra.
L'incunabolo queriniano è stato riprodotto in edizione anastatica a cura di E. Sandal, Brescia 1995.
Fonti e Bibl.: Padova, Biblioteca universitaria, Mss., 908; G.I. Cani, De hastilibus, sive equestribus ludis Patavii celebratis anno 1466: exametri, Patavii s.d., c. 13v; L. Lazzarelli, Descrizione della giostra seguita in Padova nel giugno 1466, Padova 1852, pp. 9 s.; V. Calmeta, Vita di Serafino Aquilano, in Id., Prose e lettere edite e inedite, a cura di C. Grayson, Bologna 1959, p. 71; G. Visconti, I canzonieri per Beatrice d'Este e per Bianca Maria Sforza, a cura di P. Bongrani, Milano 1979, p. 44; F.S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, II, 1, Bologna 1739, p. 211; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, II, 2, Mediolani 1745, p. 1882; V. Rossi, recensione a G. Zannoni, I precursori di Merlin Cocai. Studi e ricerche, Città di Castello 1888, in Giorn. stor. della letteratura italiana, VIII (1888), pp. 430-433; Id., Niccolò Lelio Cosmico, poeta padovano del secolo XV, ibid., XIII (1889), p. 122; A. Medin, Il canzoniere di A. G., in Id., Dai tempi antichi ai moderni, da Dante al Leopardi… Per le nozze di Michele Scherillo con Teresa Negri, Milano 1904, pp. 301-307; P. Moretti, Saggio di miniature del secolo XV illustranti il "Canzoniere" petrarchesco, Brescia 1904; Biblioteca naz. Marciana, Catalogo dei codici Marciani italiani…, a cura di C. Frati - A. Segarizzi, I, Modena 1909, pp. 81 n. 1, 63, 347; F. Malaguzzi Valeri, La corte di Ludovico il Moro, I, La vita privata e l'arte a Milano nella seconda metà del Quattrocento, Milano 1913, p. 587; B.C. Cestaro, Rimatori padovani del secolo XV, Venezia 1914, pp. 104-107; G.C. Olschki, L'esemplare della prima edizione del Petrarca conservato nella Queriniana di Brescia, in La Bibliofilia, XVI (1914-15), pp. 321-332; V. Cian, La satira, I, Milano 1923, p. 302; T. Gnoli, Il "Dante" di Pietro da Figino, in Accademie e biblioteche d'Italia, I (1927-28), pp. 20-35; S. De Ricci, Comunicazioni, in La Bibliofilia, XXXI (1929), p. 475; L. Donati, Appunti di biblioiconologia (del Petrarca queriniano, Venezia 1470), in Miscellanea di studi di bibliografia in memoria di L. Ferrari, a cura di A. Saitta Revignas, Firenze 1952, pp. 249-252; G. Mariani Canova, Profilo di Benedetto Bordon miniatore, in Atti dell'Istituto veneto di scienze, lettere e arti, CXXVII (1968-69), p. 105; Biblioteca civica Queriniana, Gli incunabuli della Biblioteca Queriniana di Brescia. Catalogo, a cura di U. Baroncelli, Brescia 1970, pp. 10 s., 301 s.; E. Ragni, Pietro da Figino, in Enc. dantesca, IV, Roma 1973, pp. 506-508; N. Mann, Petrarch's manuscripts in the British Isles, in Italia medioevale e umanistica, XVIII (1975), p. 403 n. 1; A. Balduino, Le esperienze della poesia volgare, in Storia della cultura veneta, 3, I, Vicenza 1980, pp. 356 n., 360; V. Alfieri, A. G. e le sue rime, tesi di laurea, Università degli studi di Padova, a.a. 1980-81; G. Frasso, A. G. postillatore dell'incunabulo Queriniano G.V.15, in G. Frasso - G. Mariani Canova - E. Sandal, Illustrazione libraria, filologia e esegesi petrarchesca tra Quattrocento e Cinquecento. A. G. e l'incunabulo Queriniano G.V.15, Padova 1990, pp. 19-144; G. Mariani Canova, A. G. illustratore dell'incunabulo Queriniano G.V.15, ibid., pp. 145-200; E. Sandal - P. Gibellini, L'incunabulo Queriniano G.V.15, in Il Canzoniere e i Trionfi. Edizione anastatica dell'incunabulo QuerinianoG.V.15, Brescia 1995, p. I; E. Sandal, Dal Petrarca di Vindelino al Petrarca di A. G., ibid., pp. III-X; P. Gibellini, Il maestro queriniano, ibid., pp. XI-XVIII; F. Cossutta, Il maestro queriniano interprete del Petrarca, in Critica letteraria, XXVI (1998), pp. 419-448.