GRIMANI, Antonio
Primogenito di Giovanni, del ramo dei Servi, e di Paolina Da Mula di Alvise, nacque a Venezia il 6 sett. 1622.
Il padre, esponente di primo piano della politica veneziana, percorse una brillante carriera tra importanti incarichi diplomatici, reggimenti in Terraferma e nelle più alte magistrature cittadine. Lo zio Giovambattista, procuratore di S. Marco, si distinse nelle operazioni navali contro i Turchi, perdendo la vita in mare. Un altro zio, Alvise, fu vescovo di Bergamo e Brescia.
Il G., giovandosi del prestigio familiare e di un ingente patrimonio, poté avviarsi con pienezza di impegno e fortuna al servizio dello Stato, percorrendo un lusinghiero cursus honorum che lo portò per due volte a entrare nella rosa dei candidati al dogado. Esordì il 18 sett. 1647 come savio agli Ordini, carica che reiterò l'anno successivo, per passare, il 2 ott. 1648, a quella di provveditore sopra Uffici. Seguirono le cariche di sopraprovveditore alla Giustizia nuova (dal novembre 1648 al maggio 1649) e di ufficiale sopra Dieci uffici (dicembre 1650), dopo l'annullamento della elezione a capitano a Vicenza nel novembre 1650. Eletto il 20 maggio 1652 tra i Dieci savi alle decime di Rialto, dopo un breve intervallo, il 16 apr. 1656 fu nominato luogotenente alla Patria del Friuli. Nel corso della sua permanenza a Udine poté verificare lo stato di miseria in cui versava la popolazione contadina, la vendita indiscriminata di beni comunali e la persistente divisione sociale.
Ritornato a Venezia, l'11 apr. 1658 il G. fu eletto podestà a Bergamo, ma rifiutò l'incarico. Il successivo 4 agosto fu nominato ambasciatore in Francia, in sostituzione del fratello Alvise, che aveva rifiutato l'incarico, ma, essendo stata respinta l'istanza di rinuncia, l'elezione del G. fu a sua volta annullata. Negli anni seguenti la sua carriera si snodò attraverso numerosi uffici domestici: consigliere ducale per il sestiere di Cannaregio nel 1661, soprintendente alle Decime del clero nel 1662, supplente ai revisori e regolatori sopra Dazi nel marzo 1663. Dopo l'annullamento dell'elezione a podestà a Padova (luglio 1663) e il rifiuto di quella a Brescia (settembre 1663), accettò la nomina di capitano a Padova giuntagli il 23 ott. 1663. Il 12 luglio 1665, mentre era ancora rettore in quella città, fu eletto ambasciatore ordinario presso il papa. Respinto il rifiuto che aveva opposto alla nomina, accolta invece la richiesta di portare a termine l'incarico di reclutare truppe da inviare a Candia, il G. rientrò a Venezia nel mese di settembre. Ricevute finalmente le commissioni dopo quasi due anni dalla designazione il 16 apr. 1667, il G. dovette differire ulteriormente la partenza, in attesa dell'annuncio della morte di papa Alessandro VII (22 maggio), perché non si ritenne opportuno avvicendare gli ambasciatori prima di tale evento.
Partito da Venezia il 16 ott. 1667, il G. giunse a Roma il 24 novembre. Si era all'epilogo della lunga guerra per Candia e, come i colleghi accreditati presso gli altri sovrani, anche il G. reiterò al nuovo pontefice le richieste di aiuto, mostrando le ingentissime somme spese fino a quel momento dalla Serenissima, tanto che al governo veneziano fu concesso di procedere alla soppressione di tre ordini regolari presenti a Venezia e all'incameramento dei loro beni, che fruttarono un milione di ducati. Nell'aprile 1670, mentre si svolgeva il conclave per eleggere il successore di Clemente IX, l'abilità mediatrice del G. riuscì a ottenere che gli inviati spagnoli e francesi si accordassero sulla scelta di un candidato tra i cardinali nominati da Clemente IX. Il G. si trattenne a Roma fino al 6 maggio 1671; rientrato in patria, lesse la relazione finale il successivo 15 novembre.
Ricordata la famiglia Chigi (cui era appartenuto papa Alessandro VII e vera artefice della elezione di Clemente X), che poteva trattare alla pari re e potenti e aveva sempre avuto buoni rapporti con Venezia, reso omaggio a papa Clemente IX (che aveva capito l'importanza di Candia e aveva svolto un'intensa azione diplomatica a sostegno della Repubblica), il G. rivolge la sua attenzione al pontefice in carica, Clemente X, divenuto cardinale "per la sua bontà contro il genio di molti" e pontefice per "vera opera dello Spirito Santo" e per unanime condivisione delle potenze europee. Parsimonioso e diligente amministratore dei beni della Chiesa, ha fama di essere poco incline a favoritismi verso i propri congiunti. Tuttavia è alla guida di uno Stato gravemente indebitato, diretto "con forme contrarie più valevoli a consumare li popoli ch'a moltiplicarli". Eppure il governo della Chiesa funziona, nonostante sia diretto "da gente di così diverse provenienze", a onta dell'età dei pontefici, dell'invadenza di "nipoti giovani non pratici" e di "adulatori", di un popolo che "gode delle mutationi", e a onta del fatto che "il denaro, il favore non sono sempre posposti alla virtù, alla bontà, all'esperienza, al merito". Il papa "pare procuri tenersi bene con tutti li principi ma con diversità d'interessi". La Germania, ormai sottratta alla obbedienza del papa, non "rende bene a Roma", anche se molti principi "abiurano gli errori", ricevendo il "comodo" delle rendite ecclesiastiche e vi sono ancora gli elettori ecclesiastici che procurano altri vantaggi. "I Francesi usano particolar attenzione nel coltivar la corte di Roma", molta influenza hanno i prelati francesi in Curia. Gli "Spagnoli non mostrano d'esser così attenti agli affari di Roma" come un tempo, "lasciano che il Regno di Napoli venghi senza carità smunto da Roma, alcuni dicono per renderla del continuo più odiosa a quegli abitanti"; non è così, invece, a Milano i cui abitanti si mostrano ben più vigili. Il granduca di Toscana gode di "infiniti privilegi" e i Genovesi, che controllano le finanze pontificie, non temono nulla. Quanto allo Stato veneto, "non m'è parso vederlo rispettato quanto si doverebbe".
La relazione sembra assumere valenze e offrire moniti attinenti più al dibattito interno al ceto dirigente veneziano che al resoconto diplomatico. Il G. lamenta lo scarso interesse della Repubblica per le prebende ecclesiastiche, nonostante il lodevole impegno dei prelati veneti in Curia, e ciò non giova ai rapporti tra i due Stati, già avviliti da diversi contenziosi, dal banditismo alla giurisdizione sull'Adriatico, dal contrabbando ai pesanti dazi, che mortificano lo stesso commercio veneziano e avvantaggiano gli scali pontifici. All'auspicio del pontefice di legami più saldi tra i due Stati, il G. unisce il personale ammonimento ai senatori a considerare gli obiettivi comuni che uniscono Venezia e la Sede apostolica.
Per due volte il G., mentre si trovava a Roma, il 26 nov. 1670 e il 20 marzo 1672, era stato eletto consigliere ducale, poco prima di essere nominato membro di una delegazione straordinaria inviata al papa (settembre 1672), e in entrambi i casi gli fu riservata la carica. Nominato provveditore alle Artiglierie (31 maggio 1673), fu elevato alla prestigiosa dignità di procuratore di S. Marco de ultra il 16 giugno 1673 e il 14 luglio 1673 entrò per la prima volta a far parte dei Savi all'eresia, venendovi rieletto frequentemente anche negli anni successivi (nel 1676, 1678, 1679, 1685, 1690, 1693 e 1695). Che avesse mantenuto uno status di prestigio lo confermano le numerose cariche che costantemente andò a ricoprire, in ogni settore e ai livelli più alti, e che spesso non terminava, passando da una all'altra prima della scadenza. Savio alle acque (15 ag. 1673), inquisitore di Stato (gennaio 1674), provveditore sopra Monasteri (agosto 1675), tra i candidati al dogado dopo la morte di Nicolò Sagredo nell'agosto 1676, savio alla Mercanzia (16 febbr. 1678), provveditore alle Artiglierie (7 dic. 1679), provveditore sopra Monasteri (19 ott. 1680), aggiunto ai Cinque savi all'eresia (1682), esecutore alle Deliberazioni del Senato (19 dic. 1682), dei due esecutori deputati alla Espedition del Levante (4 maggio 1684), dei quattro aggiunti ai Riformatori dello Studio di Padova (20 luglio 1687), dei tre Provveditori sopra monasteri (28 febbr. 1688), membro della commissione dei cinque correttori alla promissione ducale alla morte del doge Marcantonio Giustinian (28 maggio 1688). L'11 ott. 1689 fu chiamato a far parte della fastosa ambasceria straordinaria destinata a portare l'omaggio della Signoria al nuovo papa, il veneziano Pietro Ottoboni (Alessandro VIII). Dopo la parentesi della nomina a sopraprovveditore alla Sanità (5 ott. 1690), il 16 luglio 1691 fu eletto a una nuova ambasceria straordinaria per onorare l'ascesa al pontificato di Innocenzo XII. Al ritorno riprese la consueta sequela di nomine, frequentemente iterate o non concluse. Sopraprovveditore alla Sanità (10 apr. 1692), provveditore sopra Monasteri (22 maggio 1692), correttore alle Leggi (19 febbr. 1694), dei tre Deputati sopra la provvisione del denaro pubblico (3 maggio 1694), dei tre Deputati alla liberazione dei banditi (settembre 1694), per l'ennesima volta savio all'Eresia (6 ag. 1695), riformatore dello Studio di Padova (giugno 1698).
Il G. morì il 27 febbr. 1699 nella sua dimora a S. Marziale, dopo nove giorni di "febre e mal di petto".
Aveva sposato l'11 marzo 1643 Pisana Corner di Andrea e dall'unione nacquero: Giovanni Pietro (1647), morto forse in tenera età; Giovanni (1652-1702) che, sposando Marina Giustinian Lolin di Polo, fu il continuatore della famiglia; Francesco (1659); e due femmine, Paolina (sposata a Marino Grimani) e Caterina, maritata ad Andrea Loredan.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta, 23: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patritii veneti; Avogaria di Comun, b. 159 (necrologi); Libro d'oro, Nascite, reg. VIII, c. 123v; Libro d'oro, Matrimoni, reg. V, p. 124; Segretario alle Voci, Elezioni in Maggior Consiglio, regg. 18, c. 89; 19, cc. 24, 29, 83, 154; 20, cc. 28, 113, 182; 21, cc. 1, 2v, 28, 153; 22, cc. 1, 2v, 95, 181v; 23, cc. 108, 114, 117; Elezioni in Pregadi, regg. 15, cc. 24, 38, 46; 16, c. 29; 17, cc. 44, 48, 62; 18, cc. 44, 46, 48, 62, 82; 19, cc. 34, 46, 56, 70, 71, 74-76, 79, 104, 109-110; 20, cc. 35, 63, 109, 149, 179; 21, cc. 35, 63, 109, 149, 179; Senato, Dispacci ambasciatori, Roma, filze 170-175; Archivio proprio ambasciatori, Roma, bb. 34-40; Collegio, Relazioni ambasciatori, Roma, b. 22; Notarile, Testamenti, b. 1174, n. 283; Venezia, Biblioteca naz. Marciana, Mss. it., cl. VII, 23 (=7647); Ibid., Biblioteca del Civico Museo Correr, Mss. Cicogna, 2519/VI, 2522, 2533/LXXXVI, 2994 (relazione sulla luogotenenza a Udine); Relazioni degli Stati europei… dagli ambasciatori veneti, s. 3, II, a cura di N. Barozzi - G. Berchet, Venezia 1878, pp. 345-369; M. Mariani, Il più curioso e memorabile della Francia, Venezia 1673 (opera dedicata al G.); F. Pochini, Il trionfo nell'ingresso alla dignità di procuratore di S. Marco di A. G. cavaliere, Padova 1673; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, V, Venezia 1842, pp. 164, 175; A. Gloria, Il territorio padovano, I, Padova 1862, p. 294; L. von Pastor, Storia dei papi, XIV, Roma 1932, I, pp. 547, 632, 635; II, p. 112.