GUINIGI, Antonio
Figlio di Francesco di Lazzaro e presumibilmente di Filippa di Arbore Serpenti, forse terzogenito, nacque a Lucca sul finire degli anni Sessanta del Trecento. Ben poco sappiamo della sua vita prima dell'episodio di cui si rese protagonista nel 1400, quando uccise il fratello Lazzaro. Come i suoi congiunti detenne importanti incarichi per conto del governo cittadino tra il 1392 e il 1400, a riprova del fatto che la sua carriera politica si era aperta in armonia con la compagine riunita intorno al casato, che proprio in quegli anni costruiva le premesse dell'impresa signorile poi realizzata da Paolo, fratello minore del Guinigi. La vicenda biografica del G. appare tanto più significativa in quanto le sue azioni sarebbero conseguenti alla comparsa di alcune crepe che minarono la solidità della fazione guinigiana sul finire del secolo XIV, accelerando i tempi dell'azione politica di questa in direzione della signoria.
La sua prima formazione avvenne probabilmente nei fondaci della compagnia intitolata a Dino di Nicolao Guinigi, cugino del padre. Il 22 genn. 1392 è ricordato a Bruges, tra i lucchesi appartenenti alla Comunità insediata in quella città che giuravano di osservare gli ordini del console della Comunità stessa, appena eletto, Nicolao da Volterra. Dopo un periodo non meglio precisato trascorso all'estero, il G. fece ritorno a Lucca, dove ebbe inizio la sua carriera politica: fu anziano nei bimestri settembre-ottobre 1395 e novembre-dicembre 1397; fu tra i designati alla stessa carica nel bimestre marzo-aprile 1400; spicca in questo torno di anni la disponibilità a ricoprire funzioni di natura militare: quando, per esempio, nell'estate del 1397 il governo fiorentino assoldò alcune milizie mercenarie per fronteggiare l'avanzata dei Viscontei nell'Italia centrale, il G. fu compreso con un corpo di 25 lance tra i condottieri al seguito di Paolo Orsini, appena strappato da Firenze all'obbedienza viscontea.
La situazione politica nell'Italia centrosettentrionale appare in questi anni fortemente condizionata dagli sviluppi del rapporto tra Firenze e Milano; nel 1398 Lucca aderì alla lega contro i Visconti conclusa il 21 marzo, che aveva un suo precedente in un accordo stretto tra Lucca e Firenze già nel luglio del 1395. Ma in questo periodo la posizione antiviscontea di Lucca aveva come presupposto la preoccupazione con cui si guardava all'eventualità che Iacopo Appiani, signore di Pisa, estendesse con il favore di Milano la sua signoria su Lucca; quando Gian Galeazzo Visconti ottenne da Gherardo Leonardo Appiani la cessione di Pisa (19 febbr. 1399) la situazione cambiò e tale presupposto venne meno; di lì a poco il Visconti sottopose al proprio controllo anche Siena e Perugia, e la stessa Lucca, guidata di fatto dalla fazione guinigiana capeggiata da Lazzaro, fratello di G., scelse di avvicinarsi a Milano. Non è da escludere che tale scelta si scontrasse con una certa opposizione interna, tenendo conto del peso politico che esercitava nella città quel settore della componente mercantile che desiderava non vedere interrotti i buoni rapporti con Firenze; tuttavia non è possibile ricollegare esplicitamente il gesto del G. ai danni del fratello all'ambiente degli avversari politici di quest'ultimo.
Racconta il cronista lucchese Giovanni Sercambi che il 15 febbr. 1400, di domenica, il G. insieme con il cognato Nicolao Sbarra si recò a casa di Lazzaro per ucciderlo. Giunti a Ss. Simone e Giuda, al palazzo dove la vittima risiedeva, Nicolao avrebbe chiesto a Lazzaro di parlare con lui e questi, che si trovava intento a scrivere nella sua camera, senza nutrire il minimo sospetto gli diede udienza; a quel punto i due lo aggredirono e lo uccisero barbaramente a colpi di pugnale; quindi si allontanarono cercando di sollevare la città al grido di "viva parte ghibellina". Il G. armato di corazza con la sopravveste recante l'insegna dei Guinigi e Nicolao armato di pancera con una giacca rossa giunsero sulla piazza di S. Michele, dove il G. si rivolse all'ufficiale della guardia cercando di persuaderlo a seguirli per difendere la città da un presunto attacco di non meglio precisati nemici; ma la reazione fu immediata: sparsasi la voce della morte di Lazzaro, una brigata di fedeli, capeggiata dai suoi due fratelli Paolo e Bartolomeo, raggiunse S. Michele e qui Paolo, dopo una colluttazione in cui rimase ferito, ebbe la meglio sui due che furono catturati e giustiziati il giorno seguente di fronte a tutta la cittadinanza.
La narrazione sercambiana non fa riferimento a un movente preciso per l'assassinio del capo della fazione guinigiana; secondo il cronista sarebbe stato Nicolao Sbarra che, pur ampiamente favorito e beneficato dallo stesso Lazzaro, che gli aveva dato in sposa la propria sorella, avrebbe nutrito contro di lui segretamente rancore e propositi di vendetta, riuscendo a guadagnare alla propria causa lo stesso G.; Nicolao avrebbe per lungo tempo tramato nell'ombra ai danni di Lazzaro, studiandone le abitudini e adoperandosi con successo per entrare nelle sue grazie, attendendo il momento adatto per compiere la sua vendetta. Tuttavia il tentativo di riversare su Nicolao la responsabilità principale del piano non convince, e sembra dettato a Sercambi dal desiderio di attenuare in qualche modo l'enormità del gesto del G.; va detto peraltro che il resoconto della vicenda contenuto negli atti giudiziari del Comune lucchese risulta sostanzialmente analogo alla ricostruzione sercambiana, sebbene attribuisca al G. e non a Nicolao la parte dell'istigatore. È comunque riduttivo interpretare la vicenda nei termini di una semplice faida familiare; un anonimo cronista fiorentino, la cui scrittura è stata in passato attribuita a Piero Minerbetti, si sofferma a lungo sulla narrazione della vicenda, che doveva aver suscitato vasta eco anche a Firenze: egli riferisce che il G. sarebbe stato sollecitato a uccidere il fratello dal vicario in Pisa del duca di Milano, che lo avrebbe chiamato a colloquio d'accordo con il proprio signore; nel racconto del cronista fiorentino il G. è definito come un uomo "non savio il quale allora andava al soldo in qua e in là e allora era a Pisa", il vicario milanese gli avrebbe fornito un piano studiato nei minimi dettagli per uccidere Lazzaro e nessuna menzione viene fatta della presenza di Nicolao Sbarra; alcune informazioni relative alla vicenda, inoltre, come la carica di gonfaloniere di Giustizia attribuita a Michele Guinigi, risultano prive di fondamento e insieme con il colore romanzesco del brano fanno dubitare dell'attendibilità della fonte. Risulta inoltre poco plausibile il coinvolgimento del duca di Milano nel complotto (da notare che anche gli atti giudiziari lucchesi non fanno alcun riferimento a complici): se infatti è vero che Lucca aveva perseguito sino a buona parte degli anni Novanta una politica fondata sul mantenimento di buoni rapporti con Firenze, fin dal 1399, e proprio a opera di Lazzaro, si era avviata una politica filoviscontea, nell'intento di controbilanciare l'egemonia fiorentina in Toscana.
Merita invece migliore attenzione uno spunto offerto dalle ricerche di Christine Meek, la quale afferma che il G., oltre a covare un sordo risentimento nei confronti del fratello, che gli avrebbe preferito Paolo nella conclusione di un prestigioso accordo matrimoniale, si trovava probabilmente in difficoltà finanziarie: nel 1398 era stato infatti citato in giudizio da Tegrimo Fulcieri per un cospicuo debito che aveva contratto; dunque un movente complesso, a cui possono forse aggiungersi alcuni dati contenuti tra le registrazioni contabili di un memoriale redatto da Lazzaro, perduto ma ricordato da Michele di Giovanni Guinigi a metà del Quattrocento, stando alle quali Lazzaro sarebbe risultato creditore del G. e dell'altro fratello Bartolomeo per la cifra di 998 fiorini; i due avrebbero riconosciuto il debito e, con atto datato 1394, epoca in cui si era realizzata la divisione dei beni tra i figli di Francesco (10-18 marzo 1394), avrebbero ipotecato a Lazzaro tutti i propri beni.
Il G. morì senza figli e senza aver contratto matrimonio. Dopo la sua morte il suo nome fu cancellato dall'onomastica familiare.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Lucca, Archivio Guinigi, 74 (Libro di processi per la casa grande), cc. 16, 81v, 85, 105v, 119r; 151, cc. 46, 49, 52v-53v, 61r; 155, c. 67v; Consiglio generale, 11, p. 522; 13, pp. 12, 65, 103, 135, 268, 304, 344; Cronica volgare di anonimo fiorentino già attribuita a Piero di Giovanni Minerbetti, a cura di E. Bellondi, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XXVII, 2, p. 246; G. Sercambi, Croniche, a cura di S. Bongi, in Fonti per la storia d'Italia [Medio Evo], XIX-XXI, Roma 1892-93, I, p. 412; II, pp. 407-415; Regesti del R. Archivio di Stato in Lucca, II, Carteggio degli Anziani dal 1333 al 1400, a cura di L. Fumi, Lucca 1903, parte b, pp. XXXI, XXXII, XXXIV, 384, 404; Libro della Comunità dei mercanti lucchesi in Bruges, a cura di E. Lazzareschi, Milano 1947, p. 183; G. Tommasi, Sommario della storia di Lucca, Firenze 1847, p. 285; A. Mancini, Storia di Lucca, Firenze 1950, pp. 182 s.; C. Meek, Lucca 1369-1400. Politics and society in an early Renaissance City-State, Oxford 1978, pp. 208, 231, 234, 333-335, 365; G. Sinicropi, Paolo Guinigi: l'eredità di un uomo solo, in Campus maior, XII (2000), p. 13.