IVANI (Hyvanus), Antonio
Nacque nel 1430 a Brugnato, piccola località nei pressi di Sarzana, da Nicola, notaio attivo in questa città.
La regione era all'epoca sotto l'egemonia dei Parentucelli e in particolare di Tommaso, futuro papa Niccolò V; fu Filippo Calandrini, fratello uterino di questo, che indusse l'I. allo studio delle lettere.
Nel 1448 si recò a Narni, presso Giovan Pietro Parentucelli, governatore della città per conto del pontefice. Per intercessione del Calandrini, vescovo di Bologna elevato nel dicembre di quell'anno al cardinalato, vi ottenne l'ufficio di pubblico cancelliere, scaduto il quale ritornò a Sarzana nel 1450. Con l'occasione consegnò da parte di Niccolò V la Rosa d'oro a Ludovico Fregoso, entrando nelle grazie del potente signore feudale di Sarzana, da poco deposto dalla carica di doge di Genova. La madre del Fregoso, Caterina Ordelaffi, intenzionata a inviare a Ferrara, presso il duca Borso d'Este, il nipote Tommasino di Giano Fregoso, affidò all'I. l'incarico di accompagnarlo in qualità di precettore. Continuando il suo noviziato burocratico ed erudito, l'I. frequentò nel 1452 le lezioni dell'ormai anziano Guarino Veronese (G. Guarini), del cui vivace stile accademico ci ha lasciato un affettuoso ritratto.
Rientrato a Sarzana, l'I. vi esercitò l'arte notarile, senza trascurare di coltivare i suoi interessi letterari. Nel corso di quegli anni si dovettero rafforzare i legami che lo univano a Ludovico Fregoso, il quale conduceva da Sarzana un'intensa attività volta a riconquistare la carica di doge. Nel luglio 1461, quando il Fregoso ottenne il dogato per la seconda volta, l'I. passò al suo servizio e gli fu conferito il diritto di cittadinanza per l'amicizia delle personalità principali della Repubblica. In occasione del tumulto che rovesciò nel gennaio 1463 Ludovico, la cui carica era già stata revocata per breve tempo nel corso di questo secondo dogato, l'I., all'epoca presente a Genova, si ritrovò prigioniero del vescovo Paolo Fregoso, riuscendo in seguito a riparare a Sarzana. Detenuto per breve tempo da Caterina Ordelaffi, perché sospettato di tradimento nei confronti di Ludovico, l'I. fu rilasciato poco dopo, continuando a svolgere incarichi di natura diplomatica e amministrativa per conto del Fregoso, anch'egli ritiratosi nel frattempo nel suo feudo di Sarzana.
Risale a questo periodo l'attività svolta dall'I. per riottenere dai marchesi Malaspina il controllo del castello di Ponzano e dei territori limitrofi, sui quali Ludovico Fregoso, verso la fine degli anni Quaranta, aveva esteso il suo dominio. In particolare l'I. fu incaricato di soccorrere il castello di Ponzano, ma venne respinto con gravi perdite.
Per sostenere le richieste avanzate da Ludovico su Ponzano, lo stesso Paolo Fregoso intervenne presso il duca di Milano e la città di Firenze, e in queste occasioni l'I. fu impiegato in alcune importanti missioni diplomatiche presso Cosimo de' Medici e Francesco Sforza. Strinse perciò rapporti amichevoli con la Cancelleria milanese e in particolare con il primo segretario Cicco Simonetta. Nel 1463-64 indirizzò a quest'ultimo due interessanti lettere dalla Corsica, dove era stato inviato in qualità di vicario di Ludovico, che ne aveva a suo tempo ottenuto l'investitura dal pontefice. Queste due lettere documentano in dettaglio gli usi e costumi politici, sociali e giuridici dei clan corsi (cfr. Errera).
Su raccomandazione di Nicodemo Tranchedini, ambasciatore milanese presso Piero de' Medici (cfr. Fubini, 1994, p. 153), l'I. divenne cancelliere di Volterra, ufficio che ricoprì dal 1466 al 1471. Entrato in servizio il 24 gennaio, il 28 ottobre descrisse al segretario sforzesco Nicolò Gambarelli la "Volterrana res publica", la "urbs in excelso monte sita" e la struttura fisica e architettonica della città con tutti gli edifici, compresa la "domum cancellarii publici egregiam" e tutti gli impegni connessi alla sua carica. Aggiunse anche che "more Florentino rem publicam administrant. Satis quieti sunt et bonis profecto moribus instituti. De Florentinis bene sentiunt, nihil ostile metuunt" (cfr. ed. Ferrari, pp. 27 s.). Nel giro di poco tempo, "in un crescente attrito con il mondo locale" (Fubini, 1994, p. 143), l'I. sarebbe stato costretto a cambiare radicalmente idea.
In una lunga epistola del 18 giugno 1467 a Cicco Simonetta descrive "hanc urbem vetustissimam" e le meraviglie naturali che la circondano, i lagoni boraciferi e le cave di allume (Ferrari, pp. 29-31). Si interessò anche alle antichità volterrane e al casuale ritrovamento di urne etrusche.
Lontano da Sarzana e dalla Lunigiana, dove avanzavano negli anni 1467-68 gli Stati fiorentino e milanese, fu informato della cattura del suo primogenito Giovanni Filippo, imputato di aver preso partito con gli insorti in Lunigiana contro il duca di Milano. Tale notizia intristì molto l'I., che si lamentò con Francesco Tranchedini, figlio di Nicodemo, del mancato aiuto. Scrisse ancora al Simonetta il 30 nov. 1467 per chiarire il suo ruolo nelle trattative con Ludovico Fregoso, il cui dominio in Sarzana era ormai vacillante, e per far desistere i duchi di Milano dall'intervento militare (cfr. Historia…, ed. Mannucci, p. 35 n. 1).
Il ricco epistolario dell'I., oltre settecento lettere, che si snoda attraverso gli anni testimonia la continuità dei suoi interessi culturali ed eruditi. In una lettera del 13 febbr. 1469 a Piero de' Medici fornì la descrizione del cancelliere perfetto: "eruditum, facundum, pudicum, liberalem, solertem, fidum, iustum et possidentem memoriam sempiternam", qualità quasi sovrumane, elencate non senza un tocco di ironia verso le pretese dei Volterrani, alla ricerca di un'araba fenice. Il 21 giugno si rivolse all'amico Donato Acciaiuoli, il quale per la sua "facilitate morum et summa litterarum eruditione" gli sembrava il candidato ideale. Il 5 settembre gli consigliò di portarsi dietro la sua egregia e ingente biblioteca per gli inverni solitari e ventosissimi di Volterra (cfr. Ferrari, pp. 33 s.).
La collocazione relativamente marginale non gli impediva di elaborare riflessioni più ampie sul mondo politico contemporaneo. Nel luglio 1470 indirizzò a Cicco Simonetta un'epistola sulla guerra contro i Turchi, invitandolo a esortare il duca di Milano a intervenire. Era la vigilia della caduta di Negroponte, che avrebbe causato molta costernazione presso Galeazzo Maria Sforza e gli altri principi italiani. L'I. ce ne ha lasciato una documentata evocazione, con un accenno a un tentativo di tradimento anteriore alla conquista della città stessa (cfr. Historia…, ed. Mannucci, Appendice, pp. 39-42, con in nota altre testimonianze in merito).
Già in precedenza la minaccia dell'invasione turca era stata oggetto di un breve componimento dell'Ivani. Risale all'incirca al 1453-54, stando al più recente editore, una sua narrazione della presa di Costantinopoli dedicata a Federico da Montefeltro. In questo suo ragguaglio l'I. riportava la testimonianza di un non altrimenti noto Carlo di origine picena. Il testo era preceduto da una dedica a Federico, con la quale I. intendeva presentarsi al signore di Urbino, al fine di ottenere un impiego al suo servizio (cfr. ed. Pertusi, pp. 146-164).
Il 22 ott. 1470 l'I. descrisse minuziosamente le "Etruscas cerimonias" dell'insediamento del vescovo di Volterra, il fiorentino Antonio Agli, il cui arrivo inasprì le lotte intestine delle fazioni.
Risalgono infatti a questo periodo le tensioni interne alla città riguardanti l'appalto per lo sfruttamento di alcune cave d'allume, ottenuto all'inizio del 1470 dal senese Benuccio Capacci. Proprio tale concessione, che escludeva la maggior parte dei mercanti locali in favore del Capacci e dei suoi soci - oltre ai fratelli, tre fiorentini e solo due volterrani -, fu all'origine del malcontento cittadino. Lo stesso I. fu accusato dalla dirigenza di corruzione e di ignoranza delle consuetudini locali e il 13 dic. 1470 egli si difese dalle accuse: erano queste le prime avvisaglie dei contrasti che lo portarono a lasciare il suo ufficio nel febbraio 1471.
L'I. riparò in seguito a Siena, dove si rincontrò con Ludovico Fregoso, in esilio dopo la cessione di Sarzana ai Fiorentini. Dalla città toscana egli continuò a seguire le vicende volterrane nonché a difendere il suo operato nella vicenda riguardante la concessione dell'allume.
Nell'aprile di quell'anno scriveva a Biagio Lisci dichiarando di aver lasciato Volterra in condizioni migliori di come l'aveva trovata: dinanzi ai Priori cittadini sosteneva che non stimava nessuno Stato popolare migliore del loro. A interpretarlo correttamente, forse il tono è sarcastico. Il dubbio sembrerebbe confermato dalla lettera a Lorenzo de' Medici del 12 giugno 1471 in cui si dichiarava molto amico della famiglia che risplendeva come un sole sul popolo fiorentino. Non mancano, anche in questa occasione, gli accenni relativi al contratto sulla concessione dell'allume (cfr. Ferrari, pp. 38-40).
Come già ricordato l'I., dopo la partenza da Volterra, aveva raggiunto a Siena Ludovico Fregoso, che intendeva affidargli il figlio Agostino affinché lo accompagnasse presso la corte aragonese di Napoli. La destinazione nel frattempo cambiò e Agostino fu mandato a Forlì presso Girolamo Riario. Dopo averlo in un primo tempo seguito, l'I. decise di abbandonare il giovane Fregoso, ormai avviato alla carriera militare, perché riteneva di non poter dare alcun contributo in merito alla sua educazione. Il vendicativo Ludovico gli negò allora diversi favori, a suo tempo promessi, nonché il pagamento di sei mesi arretrati di stipendio. A nulla valse un successivo incontro a Roma, dove il Fregoso non fece altro che rimproverare l'ex collaboratore della sua presunta infedeltà. Il mancato saldo impedì all'I. di acquistare l'ambito posto vacante di segretario apostolico, nonostante l'intervento di alcuni nobili genovesi e del vescovo di Savona Giovan Battista Cibo, futuro papa Innocenzo VIII. Andata in fumo l'opportunità romana, l'I. dovette rientrare a Sarzana, in attesa di migliore impiego.
Dalla città ligure l'I. continuò a seguire le vicende volterrane; un enigmatico segno dei rapporti fra l'ex cancelliere e la cittadinanza è la frottola che porta la data del 6 nov. 1471: uno dei versi, "chi non può star in groppa non compri la sella", sembra annunciare i momenti terribili che si sarebbero abbattuti su Volterra (cfr. ed. Mannucci, pp. 101-103). Forse in risposta a quella provocazione indiretta, i Priori deliberarono il 25 novembre di quell'anno un'inchiesta nei suoi confronti per accertare le falsità e le frodi che erano state commesse negli atti della Cancelleria.
Il 25 febbr. 1472 l'I. scrisse una lunghissima epistola raccontando le contese cittadine. Un piccolo lapsus si rivela particolarmente indicativo: parlando di "Etrusco more" invece che di "Florentino", l'I. sottintende forse l'imminente assorbimento di Volterra sotto l'imperio "toscano" della più prepotente ed egemonica città (cfr. Ferrari, p. 53). I ripetuti (forse retorici?) richiami alla pace, alla pazienza e alla prudenza sparsi nelle lettere di quei mesi, sempre inviate da Sarzana, non ebbero alcun influsso sugli immediati avvenimenti. Gli interventi presso il cancelliere fiorentino Bartolomeo Scala e lo stesso Lorenzo per indurlo alla clemenza, con la richiesta di 2000 ducati in dono, furono semplici palliativi (cfr. Fubini, 1977).
Nel frattempo a Volterra il Capacci e i suoi soci, dopo aver visto reintegrati, per il diretto intervento di Lorenzo, i loro diritti nella concessione dello sfruttamento dell'allume, erano stati cacciati dalle cave dai Volterrani; tale iniziativa determinò da lì a poco il diretto intervento militare di Firenze. Le truppe di Federico da Montefeltro, al soldo di Lorenzo de' Medici, assaltarono la città che, isolata e divisa nel suo interno, fu costretta a capitolare il 18 giugno 1472 dopo un mese di assedio, subendo un violento saccheggio.
I retroscena economici della rivolta e della repressione sono stati studiati dal più celebre storico volterrano, Enrico Fiumi, e poi ripresi da Riccardo Fubini: più che di una lotta fra Volterra e Firenze, si trattò dello scontro tra due fazioni contrapposte nelle due città, entrambe interessate alla gestione monopolistica delle allumiere.
A pochi mesi dal sacco, il 25 giugno 1472, in una lettera a Cicco Simonetta l'I. svelava alcune delle violenze compiute durante il saccheggio: "Cum me huc contulerim recuperandi gratia nonnullas puellas Volaterranas quae a vestris militibus abduci nunciabantur". Scrivendo a Biagio Lisci il 13 ag. 1472, enumerava le cattiverie e i dissensi che avevano causato "direptionem et calamitates", peggiorate dai malauguranti presagi di una cometa. Allo stesso amico il 17 ottobre chiese la sua versione della storia volterrana, richiesta sollecitata di nuovo il 18 dicembre (cfr. Ferrari, pp. 64 s.). Il 4 luglio 1473 annunciava a Gabriele Ricobaldi da Volterra l'imminente conclusione della sua Historia: "inter ceteros Etrurie scriptores neminem esse arbitror qui melius me intellexerit" (cfr. ed. Mannucci, p. XI). Nella lettera al Ricobaldi, al quale fu infine spedita l'opera il 21 ottobre, l'I. si piccava di aver curato l'aspetto stilistico della sua composizione, usando parole più brevi e sentenze più gravi degli altri storiografi toscani. In seguito l'opera fu inviata anche a esponenti dell'entourage fiorentino fra i quali Donato Acciaiuoli.
La Historia de Volaterrana calamitate è il racconto dell'assedio e del saccheggio di Volterra. L.A. Muratori la pubblicò, all'interno del volume XXIII dei suoi Rerum Italicarum Scriptores (1735), col titolo Commentariolus de bello Volaterrano, sulla base di un codice ritenuto autografo. Fra le possibili fonti di I. vi sono la Geografia di Strabone, le Historiae Florentini populi di Leonardo Bruni e altre opere antiche e coeve, menzionate con esempi specifici dall'editore novecentesco dell'opera, F.L. Mannucci (in Rer. Ital. Script., 2a ed., XXIII, 4, pp. XIV s.). Il passaggio dall'azione politica alla storiografia fu non privo di polemiche e bisogna ricordare che il Muratori non usò mezzi termini nel condannare l'atteggiamento acritico dell'I. nel riportare le atrocità del sacco. La frase autobiografica di I.: "Historiam illam scripsi et honestatis et veritatis plenam, et eam scripsi compulsum" è stata interpretata variamente (Mannucci, p. XIV); l'accusa di servilismo dell'I. nei confronti dei Medici è stata enunciata a più riprese, forse non senza qualche fondamento. Tuttavia, l'opera ha indubbie qualità letterarie e rappresenta con una certa oggettività gli eventi che condussero Volterra alla rovina. Le accuse che si possono rivolgere all'I. sono più di omissioni implicite che di falsificazioni esplicite. Per esempio, la violenza subita dalle donne volterrane, a cui egli stesso faceva riferimento nella già ricordata lettera a Cicco Simonetta, nella Historia viene elegantemente allusa ed elusa.
Il 27 dic. 1474 l'I. si rivolse nuovamente a Lorenzo, accludendo una poesia in volgare su Volterra; non trascurando il tentativo di ingraziarsi altri potenziali protettori, il 1° maggio 1475 si rivolgeva di nuovo a Federico da Montefeltro, ormai duca di Urbino, con una contra Turcos adhortatio, simile a quella già indirizzata cinque anni prima a Cicco Simonetta (ed. Ferrari, pp. 93-95).
In questi anni di intensi otia, l'I. coltivò anche la sua passione archeologica. Si ricorda il medagliere da lui raccolto per Mico Capponi, capitano di Sarzana. A Donato Acciaiuoli, perché la comunicasse a Lorenzo de' Medici, diede notizia di uno scultore di marmi, di nome Matteo, che aveva comprato un Ercole bronzeo e una corniola rappresentante una testa virile, rinvenuti casualmente. Fu anche in rapporti amichevoli con Bernardo Rucellai e gli umanisti che frequentavano gli Orti Oricellari.
Ma l'I. era avidissimo di sapere cosa si facesse tra i vivi, secondo una sua espressione. Egli si teneva sempre ben informato sugli avvenimenti nazionali e internazionali; per esempio, è lui a fornirci le circostanze e la data della morte di Niccolò d'Este nel settembre 1476. L'I. non manca nemmeno di sapidi commenti politici e personali. Dopo l'assassinio di Galeazzo Maria Sforza (26 dic. 1476), scrisse a un amico milanese che non lo aveva meravigliato la morte del principe, ma l'ostinata audacia dell'uccisore, che egli paragonava a Muzio Scevola.
Nel 1477, dietro raccomandazione del Magnifico, fu eletto cancelliere di Pistoia, ufficio che ricoprì per un quinquennio, fino alla sua morte. A pochi giorni dall'assunzione dell'incarico, il 10 gennaio, scrisse una lettera confidenziale a Lorenzo de' Medici relativa agli avvenimenti milanesi: avendo egli frequentato per anni la corte e la Cancelleria di Milano - sosteneva - aveva "cognosciuto nel magnifico messer Cecho grande prudentia nel governo, e compresi essergli portato assai invidia per havere tanta auctorità non essendo di natione milanese de anticha stirpe". Con l'uccisione del duca, il "pondo di quel governo" restava nelle mani dell'esperto segretario, e siccome "il riposo di Lombardia" era fondamentale per la pace di Firenze, era necessario che "l'auctorità di messer Cecho faci a quel medesimo proposito"; gli raccomandava che inviasse "ambasadori o per altre vie private cum bel modo se conciliasseno li animi de' nobili verso di lui a utilità di quello stato, acciò che l'invidia non facesse danno, essendo forsi mancato el timore, che a quella illustrissima madona e figliuoli è da havere compassione" (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo avanti il principato, XXXV, 35). Questa lettera mostra come l'I. tentasse di rendersi utile e di sdebitarsi con il Medici, che pure non lo ammise mai nella sua cerchia ristretta di collaboratori e consiglieri.
Quello stesso anno l'I. si rivolse allo storico sforzesco Giovanni Simonetta richiedendo materiali per la composizione degli Annali italiani, un'idea che prendeva spunto dalla tradizione liviana oltre che da quella cesariana dei Commentarii. In questo contesto è utile ricordare anche un altro breve testo dell'I., le Gesta unius anni memorabilis [1478], che raccoglie gli eventi di quell'anno così particolare, dalla congiura dei Pazzi alla conseguente crisi dello Stato mediceo con Sisto IV e i suoi alleati (cfr. Historia, ed. Mannucci, Appendice, pp. 29-32).
Negli anni pistoiesi l'I. mantenne una continua corrispondenza con Niccolò Michelozzi, segretario di Lorenzo de' Medici. Significativi furono anche i rapporti con il potente vescovo locale Niccolò Pandolfini. In quello stesso periodo l'I. fu anche in rapporto con Marsilio Ficino, al quale inviò, nel luglio 1477, una adhortatio ad scribendum. In seguito l'I. si interessò particolarmente della produzione filosofica ficiniana (cfr. Landucci Ruffo, pp. 153 s.), e anche al filosofo fiorentino inviò il suo trattatello, De fortuna, nel quale proponeva un'ipotesi in merito all'etimologia del termine (cfr. Altamura, p. 32).
In qualità di cancelliere comunale il suo nome compare nello statuto del locale Monte di pietà, riformato nel luglio del 1478.
L'I. morì a Pistoia nel 1482.
Opere. La già ricordata Historia resta il suo capolavoro (cfr. Fubini, 1994). L'epistolario è di un'estrema vivacità e rispecchia l'eclettismo e le curiosità dell'Ivani. Fra i corrispondenti vi sono principi, signori, cancellieri e umanisti di primissimo rango; ne sarebbe decisamente auspicabile la pubblicazione integrale. Qui ci si riferisce alle edizioni parziali e tematiche (in particolare nei contributi di Ferrari e Landucci Ruffo).
In merito alla produzione in lingua volgare, lo studio del Mannucci resta il principale: oltre alla frottola, il lamento di Volterra e i tetrastici parenetici sullo scempio della stessa città, inviati a Lorenzo il Magnifico, sono tra le produzioni più interessanti. Anche le sue apostrofi a Roma e all'Italia, considerate a suo tempo prove del sentimento prenazionalistico dell'I., sono annoverate fra le sue produzioni degne di rilievo.
L'I. si interessò, oltre che di filosofia, di letteratura profetica e narrò con emozione la lettura dell'opuscolo Pronosticum… super Antechristi adventu di Giovanni da Lubecca (1474), un testo che ha molte analogie con il vaticinio ficiniano Deus ubi vult spirat. Il breve trattato morale De temperamento victoriae et moderatione animorum fu scritto nel gennaio 1479 come contrappunto alla violenza che imperversava nel corso della crisi politica seguita alla congiura dei Pazzi. Sul piano della filosofia politica, piuttosto originale è l'uso dei concetti di "utile" e di "onesto", nel contesto della teorizzazione giuridica della aequitas e del declino delle autonomie comunali, studiati in particolare da Fubini (1994).
Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut., 68, ms. 28; Arch. di Stato di Firenze, Mediceo avanti il principato, ad indices; Firenze, Biblioteca nazionale, Fondo Ginori Conti, 29, b. 68b; Ibid., Biblioteca Riccardiana, ms. 834; Genova, Arch. privato Durazzo Pallavicino, cod. Durazzo, B.II.6; Sarzana, Biblioteca comunale, ms. XXIV F.175: Epistolarium Antonii Hyvani Sarzanensis liber secundus; Vienna, Österreichische Nationalbibl., Codices Latini, 3477; Lorenzo de' Medici, Lettere, a cura di R. Fubini, Firenze 1977, I, pp. 376-379; Excursus II, pp. 547-553; II, pp. 209, 333; A. Bertoloni, A. I. Sarzanensis vita, Bologna 1866; C. Braggio, A. I. umanista del secolo XV, in Giornale ligustico, XII (1885), pp. 346-385, 401-463; XIII (1886), pp. 37-56; C. Errera, I Corsi e la Corsica alla fine del secolo XV (da due epistole di A. I.), in Arch. stor. italiano, XLIX (1891), pp. 390-400; F.L. Mannucci, Le poesie volgari di A. I., in Giorn. stor. della Lunigiana, II (1910), pp. 23-49, 100-121; Id., L'operosità umanistica di A. I., ibid., V (1913-14), pp. 165-197; VI (1914-15), pp. 19-51; E. Fiumi, L'impresa di Lorenzo de' Medici contro Volterra (1472), Firenze 1948, pp. 27-46; A. Altamura, Quattro epistole inedite di A. I., in Id., Studi e ricerche di letteratura umanistica, Napoli 1956, pp. 31-41; L.M. Ferrari, A. I. a Volterra, in Rassegna volterrana, XXXII (1965), pp. 26-106; P. Landucci Ruffo, L'epistolario di A. I., in Rinascimento, XVII (1965), pp. 141-207; G. Airaldi, Qual è la patria di A. I., in Arch. stor. italiano, CXXIX (1971), pp. 257-265; I. Capecchi - L. Gaj, Il Monte di pietà di Pistoia, Firenze 1976, p. 98; A. Pertusi, Testi inediti e poco noti sulla caduta di Costantinopoli, a cura di A. Carile, Bologna 1983, pp. 143-164; J. Hankins, The myth of the Platonic Academy of Florence, in Renaissance Quarterly, XLIV (1991), p. 440; M. Martelli, Il sacco di Volterra e la letteratura contemporanea: storia di un'operazione politica e culturale, in Rassegna volterrana, LXX (1994), pp. 187-214; R. Fubini, A. I. da Sarzana: un teorizzatore del declino delle autonomie comunali, in Italia quattrocentesca…, Milano 1994, pp. 136-182; Id., Quattrocento fiorentino: politica, diplomazia, cultura, Pisa 1996, pp. 199 s., 216, 325; W.J. Connell, La città dei crucci. Fazioni e clientele in uno Stato repubblicano del '400, Firenze 2000, pp. 118, 163; Diz. biogr. degli Italiani, XVIII, pp. 370 s.; L, pp. 380 s., 418-420; Repertorium fontium historiae Medii Aevi, VI, pp. 491 s.; P.O. Kristeller, Iter Italicum. A cumulative index to volumes I-VI, s.v.Hyvanus, Antonius.