LABACCO (Abacco, dell'Abacco), Antonio
Nacque a Vercelli (Bertolotti, p. 48), probabilmente intorno al 1495.
In un privilegio del 1549, rilasciato da papa Paolo III al L., si dice che quest'ultimo era "habitator in Urbe, iam per quadraginta tres annos". Verso il 1506 il L. dovette dunque arrivare a Roma con la sua famiglia (Baldini, p. 339).
In merito a questa e specie sulla paternità del L. esistono opinioni discordanti. Alcuni sostengono che fosse figlio di un tal Giovanni (o Giuliano) Maria "del Adbacho […] in geometria et arithmetria peritus", venuto a Roma da Firenze nel 1507 e attivo in S. Pietro tra la fine del 1513 e il 1514 (Amati, p. 218; Müntz; Giovannoni, p. 104). Baldini (p. 340) ritiene invece improponibile una simile ricostruzione per il semplice fatto che la provenienza fiorentina di Giovanni o Giuliano mal si accorda con l'origine vercellese del L.; vede inoltre nel suo modo di firmare ("Antonio alias abacho in Roma"), il riferimento alla professione da lui svolta, cioè quella di "abaco", ossia di colui che eseguiva misurazioni, computi e rilievi, tutte attività corrispondenti a quelle svolte inizialmente dal Labacco. L'uso inoltre del termine "alias" fa escludere a Baldini il fatto che potesse essere figlio dell'architetto fiorentino e gli permette di avanzare l'ipotesi di una relazione parentelare con un tal maestro Antonio da Morco che nel 1519, in collaborazione con B. Peruzzi, eseguì delle rilevazioni per conto della Compagnia di S. Rocco, nel romano rione di Campo Marzio. Con "da Morco" identifica il paese d'origine Morca di Varallo, località tuttora esistente nel Vercellese.
La formazione del L. iniziò, non ancora ventenne, presso D. Bramante; ne danno testimonianza alcuni disegni conservati agli Uffizi, databili al tempo di Giulio II, con segnatura UA1193 (Bruschi, p. XI).
Successivamente lavorò nello studio di Antonio da Sangallo il Giovane, che il L. ricorda come suo maestro e con il quale collaborò in qualità di disegnatore per alcuni progetti, fra cui quello di S. Maria di Monserrato (1518-20), di S. Giovanni dei Fiorentini (1518-19) e nel rilievo di diversi edifici antichi.
Suo è anche un disegno (UA1779) della chiesa di S. Sebastiano di L.B. Alberti (Bruschi, p. XI). Baldini (p. 343) gli attribuisce quattro incisioni ora conservate nella Kunstbibliothek di Berlino, di cui tre con monogramma "AL" e due con la data 1535.
Il L. acquisì quindi abilità nel rilievo e nel disegno e anche competenze come maestro di legname. Queste sue capacità fecero decidere al Sangallo di portarlo con sé, quando nella primavera del 1526 Clemente VII lo invitò, con Giuliano Leno, Pierfrancesco da Viterbo e Michele Sanmicheli, a verificare lo stato delle rocche di Romagna e a provvedere alle fortificazioni di Parma e Piacenza (Vasari, p. 458).
Nel 1528 il L. scrisse da Roma una lettera a Peruzzi che si trovava a Siena impegnato nei lavori della porta del duomo. Sul recto della lettera disegnò due porte: la "porta della rito[n]da" e "la porta di santo adriano" (Bartoli) che lo stesso Peruzzi, allora residente a Siena, gli aveva richiesto tramite un certo "mastro Pietro", da identificarsi, forse, con il pittore senese Pietro d'Andrea (Borghesi - Banchi).
Il L., in cambio, gli chiese di trovare a Siena un "garzonotto ch'avesse un poco di pratica a lavorare di quadro", in modo da poterlo mandare "qualche volta a racconciare porte e finestre […] perché adesso" (si riferiva probabilmente ai danni provocati dal sacco del 1527) "non si fa altro che rattoppare". Il L. sembra dunque industriarsi con modesti lavori di "racconcio". Peruzzi gli rispondeva di fare "motto a Lorenzo, che forse troverà qualcuno". Bottari e Ticozzi individuavano in quest'ultima figura lo scultore Lorenzetto e forse lo stesso "mastro Lorenzo scultore" che appariva nel 1529 nei registri dei pagamenti per la Fabbrica di S. Pietro, accanto ad "Antonio Labacco falegname" (Francia, p. 50).
Dalla stessa lettera del L. si può inoltre trarre l'informazione del suo avvenuto matrimonio con una donna "romanesca […] d'età di 16 anni" (Pini) da cui nacque Mario.
Nonostante sembri non essere un architetto progettista di opere autonome, il L. doveva possedere una notevole pratica professionale quando intraprese il lavoro del modello ligneo della basilica di S. Pietro in scala 1:29 del progetto elaborato da Antonio da Sangallo il Giovane per conto di Paolo III (Vasari, p. 467).
Il modello (Vaticano, Fabbrica di S. Pietro) misura, senza la base, 736 cm in lunghezza, 602 cm in larghezza e 468 cm in altezza. Per la sua costruzione il L. si avvalse dell'opera di numerosi falegnami che venivano compensati giornalmente. I primi pagamenti per il legname utilizzato nella realizzazione del modello risalgono al 13 dic. 1539 (Silvan, pp. 44 s.). Dopo tre anni e mezzo il lavoro era giunto alla base della cupola e solo dal marzo 1545 il L. affidò la realizzazione di parti decorative ad artigiani esterni alla Fabbrica di S. Pietro.
Al 1542 risale la fondazione della Congregazione dei Virtuosi al Pantheon. Accanto al nome di Antonio da Sangallo (primo presidente) e a quello di altri rappresentanti del mondo artistico dell'epoca, compare quello del L., che fu il primo a ricoprire il ruolo di segretario.
Tra il 6 e il 30 maggio 1544 egli fu ancora impegnato in diversi lavori eseguiti per la Fabbrica di S. Pietro (Frey, p. 74).
Il 7 giugno 1546 acquistò 14 tavoloni di noce "per far la porta del cangiello" che separava, dalla nuova fabbrica, la cappella del Corpus Domini, fatta erigere da Paolo III per consentire le celebrazioni delle messe, e il 19 luglio comprò "gesso da murare per fermare due gangane al portone che devide S. Pietro vegio e novo". Realizzò poi le grandi centine con le travi e il soprastante tavolato per sorreggere le forme dei lacunari delle volte appartenenti ai primi settori della grande navata e del transetto della basilica. Il 6 agosto ricevette un pagamento per l'intaglio "unius crucis in capella Sacratissimi Corpori Christi pro clavis, costa et tornitura ac anius balaustri", e tra il 13 e il 19 agosto dello stesso anno eseguì una "cassa", che doveva contenere le scritture della "fabrica" (Frey, pp. 67, 69, 81 s., 90, 92).
Il 30 nov. 1546, a quattro mesi dalla morte di Antonio da Sangallo, il L. venne licenziato da Michelangelo. Il grande modello, costato a lui e ai suoi aiutanti sette anni di fatiche e alle casse della congregazione della Fabbrica oltre 4500 scudi, era ormai completato (Silvan, pp. 46-48) ma divenne inutile, deprecato perché costoso e fatto oggetto di irrisione per i caratteri della sua architettura.
A ricordo del progetto del Sangallo, i principali disegni, che dovevano essere serviti per approntarlo - la pianta, la sezione longitudinale, il prospetto laterale, la facciata -, furono tradotti in grandi e accurate incisioni, stampate negli anni 1548-49. Inserite nello Speculum Romanae magnificentiae con dedica a Paolo III erano riprodotte, in scala, in proiezioni ortogonali. Il L. compariva come "effector", cioè presumibilmente autore dei disegni, e forse delle matrici su rame che Antonio Salamanca "excudebat", come editore, stampatore e probabile venditore (Pepe, p. 27; El Escorial; Bruschi, p. XIII).
Dopo l'allontanamento dalla Fabbrica di S. Pietro, i contatti con Salamanca lo arricchirono probabilmente di esperienza nel campo della stampa di disegni.
Verso la fine del pontificato di Paolo III (1549) decise di pubblicare le sue Antiquità e ottenne dal pontefice il privilegio per la pubblicazione. Nel 1552 fu edito il Libro appartenente a l'architettura nel qual si figurano alcune notabili antiquità di Roma, "Impresso in Roma in casa nostra".
Nell'introduzione "alli Lettori" il L. comunicava di essere "stato più volte persuaso da Mario", suo figlio, che "fusse bene" mettere parte delle stampe "in luce" offrendosi egli stesso "infin all'intagliar parte d'esse" (c. 4v). Mario avrebbe quindi inciso parte dei disegni del L. e ciò è plausibile visto che esercitava il mestiere di intagliatore in rame.
Vasari (p. 431), parlandone nella vita di Marcantonio Bolognese, dice che "Antonio Abbaco ha mandato fuori con bella maniera tutte le cose di Roma antiche e notabili, con le lor misure, fatte con intaglio sottile, e molto ben condotte". Non si conoscono esemplari antecedenti, ma di certo numerose copie furono in circolazione molto prima, soprattutto a seguito del privilegio già concessogli quasi sicuramente nel 1547 da Paolo III. Il Libro, contenente la riproduzione in incisione di alcuni monumenti di Roma antica impiegando i diversi sistemi di rappresentazione (piante, prospetti e sezioni), ebbe molta fortuna e fu più volte ristampato (nel 1557 la seconda edizione; nel 1559 la terza; poi ancora negli anni 1568-70), non sempre con cura e precisione, anche dopo l'ultimo privilegio concesso da Paolo IV. Il frontespizio del Libro ispirò Flaminio Ponzio quando realizzò, nel romano palazzo Sciarra, il grande portale in marmo, ritenuto, erroneamente, opera del L. (Arrigoni - Bertarelli).
Nel 1551 il L. partecipò, in qualità di socio di Bartolomeo Baronino, ai lavori per il conclave avvenuto a seguito della morte di Paolo III e per i quali incassò 1250 scudi (Bertolotti, p. 47).
Il 3 dic. 1553 "Magistrum Antonium Labaccum architectum in urbe" sottoscrisse una promessa di matrimonio a Giovanni De Tesio romano, fratello di Francesca che sposò in seconde nozze. La dote consisteva in quattro case, poste una nel rione Trevi, due in Trastevere e l'ultima vicino "Prospero de Mocchi" in via dei Coronari. Di Francesca si parla anche in un rogito del 15 genn. 1562 (Bertolotti, pp. 48 s.).
Il L. possedeva anche immobili propri, come risulta in un rogito di fitto del 13 luglio 1555. Abitava nel rione Campo Marzio e possedeva anche una vigna che successivamente vendette. La sua ultima residenza fu nel rione Ponte dove abitava già dal 26 luglio 1539, presso la parrocchia di S. Salvatore "in Banchi". Fra l'altro risulta che proprio qui egli avesse impiantato la stamperia per le "impressure" delle tavole del Libro.
Viene inoltre ricordato, con precedenza sul Vignola e altri, in merito a un compenso ricevuto per alcuni lavori fatti in occasione del conclave terminato il 26 dic. 1559 con l'elezione di Pio IV. Il 7 dic. 1564 il L. lavorò per un altro conclave. Il 14 ag. 1567 cedette un credito di 200 scudi dovutogli dalla Camera apostolica per lavori condotti in S. Giovanni in Fonte e in S. Giovanni in Laterano (Bertolotti, pp. 48 s.).
La data di morte del L. non è nota; sappiamo però che era ancora vivente nel 1568 quando, come rettore della chiesa di S. Adriano in Campo Vaccino, vendette un orto con una casetta dietro la chiesa (Bruschi, p. XXVI).
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite… [1568], a cura di G. Milanesi, V, Firenze 1880, pp. 431, 458, 467; M.G. Bottari - S. Ticozzi, Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura scritte da' più celebri personaggi dei secoli XV, XVI e XVII, II, Milano 1822, p. 478; C. Faccio, Di A. L. architetto vercellese e del suo libro delle antichità di Roma, Vercelli 1849; G. Amati, Notizia di alcuni manoscritti dell'Archivio segreto Vaticano, in Arch. stor. italiano, I (1866), p. 218; C. Pini, La scrittura di artisti italiani, II, Firenze 1876, p. 151; E. Müntz, Les architectes de St-Pierre de Rome, in Gazette des beaux-arts, XX (1879), p. 508; A. Bertolotti, Artisti subalpini in Roma nei secoli XV, XVI e XVII, Mantova 1884, ad indicem; G. Fumagalli, La prima edizione del Libro d'A. L. appartenente a l'architettura nel qual si figurano alcune notabili antiquità di Roma, in Arch. stor. dell'arte, I (1888), p. 143; S. Borghesi - L. Banchi, Nuovi documenti per la storia dell'arte senese, Siena 1898, p. 445; K. Frey, Cappella del Corpus Domini, in Jahrbuch der Königlich - Preussischen Kunstsammlungen, XXXIV (1913), pp. 67, 69, 74, 81 s., 90, 92; T. Ashby, Il libro d'A. L. appartenente all'architettura, Firenze 1914; A. Bartoli, I monumenti antichi di Roma nei disegni degli Uffizi di Firenze, IV, Roma 1919, c. 615, tav. CCCLII; P. Arrigoni - A. Bertarelli, Piante e vedute di Roma e del Lazio, Milano 1939, n. 2302; A. Petrucci, Le cautele del L., in Il Messaggero, 14 febbr. 1956; Id., Il Caravaggio acquafortista e il mondo calcografico romano, Roma 1957, p. 72; G. Giovannoni, Antonio da Sangallo il Giovane, Roma 1959, p. 104; M. Pepe, I Labacco architetti e incisori, in Capitolium, XXXVIII (1963), 1, pp. 25-27; E. Francia, 1506-1606. Storia della costruzione del nuovo S. Pietro, Roma 1977, pp. 50, 53, 76; G. Morolli, "Le belle forme degli edifici antichi". Raffaello e il progetto del primo trattato rinascimentale sulle antichità di Roma, Firenze 1984, pp. 111, 174; El Escorial y la cultura arquitectónica de su tiempo, a cura di A. Bustamante - F. Marías, Madrid 1985, pp. 106 s.; A. Bruschi, Introduzione, in A. Labacco, Libro appartenente a l'architettura (1559), Milano 1992, pp. I-XXVII; G. Baldini, Di A. L. vercellese, architetto romano del secolo XVI, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XXXVII (1993), pp. 337-380; P. Silvan, Il grande modello ligneo. Storia della sua realizzazione e sue vicende, in S. Pietro. Antonio da Sangallo, A. L.: un progetto e un modello. Storia e restauro, a cura di P. Silvan, Milano 1994, pp. 43-53; C. Thoenes, Il modello ligneo per S. Pietro ed il metodo progettuale di Antonio da Sangallo il Giovane, in Annali di architettura, IX (1997), pp. 186-199; F. Colonna, A. L. 1495 circa - post 1567, in Il giovane Borromini. Dagli esordi a S. Carlino alle Quattro Fontane, a cura di M. Kahn-Rossi - M. Franciolli, Milano 1999, pp. 296 s.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, I, p. 4 (s.v. Abacco).