LACCABUE (Ligabue), Antonio
Nacque a Zurigo il 18 dic. 1899 da Maria Elisabetta Costa, originaria di Cencenighe Agordino, e venne registrato all'anagrafe con il cognome della madre. La donna il 18 genn. 1901 sposò Bonfiglio Laccabue, che il 10 marzo successivo riconobbe il bambino dandogli il proprio cognome, successivamente mutato dal pittore in quello di Ligabue. Da piccolo il L. non visse mai con la sua vera famiglia: infatti, sin dal settembre del 1900, era stato affidato a Johannes Valentin Göbel e a Elise Hanselmann, una coppia di svizzeri di lingua tedesca non più giovani e senza figli, che l'artista considerò sempre come i propri genitori, Elise soprattutto, alla quale il L. fu unito da un legame profondo, di dipendenza e rifiuto al tempo stesso.
La famiglia adottiva, così come quella naturale, viveva in condizioni economiche e culturali assai disagiate, costretta a continui spostamenti dalla precarietà del lavoro. L'infanzia del L. fu quindi caratterizzata da difficoltà e ristrettezze che, unite alle malattie da cui fu affetto - il rachitismo e il gozzo - ne compromisero lo sviluppo fisico, mentale e psichico. Le difficoltà di apprendimento e le anomalie comportamentali fecero sì che dalla scuola di San Gallo che frequentava venisse mandato, nel 1912, in un istituto per ragazzi non normali a Tablat. Il 17 maggio dell'anno successivo fu trasferito in un altro istituto a Marbach, dove si cercava di fornire a giovani come il L. gli strumenti per un inserimento nella società, facendoli studiare e insegnando loro un lavoro. Da questo istituto fu espulso dopo soli due anni, nel maggio del 1915, per cattiva condotta e fece ritorno dai Göbel, con i quali si trasferì a Staad. Tra il gennaio e l'aprile del 1917 fu ricoverato per la prima volta in un ospedale psichiatrico, a Pfäfers, dopo una violenta crisi nervosa.
Nelle cartelle cliniche è testimonianza della grande abilità del L. nel disegno e soprattutto nel raffigurare animali (Dell'Acqua, 1975). Dimesso, tornò nuovamente dalla famiglia adottiva, trasferitasi a Romanshorn, soggiornandovi però per brevi periodi, alternando i suoi rientri a casa con peregrinazioni che lo conducevano senza meta da un luogo all'altro, lavorando come contadino o accudendo animali nelle fattorie.
Il 15 giugno 1919, a seguito di una denuncia della madre adottiva, il L. fu espulso dalla Svizzera e rimandato in Italia, a Gualtieri, nel Reggiano, paese d'origine del padre Bonfiglio, dove giunse il 9 agosto dello stesso anno. Qui, dopo un fallito tentativo di fuga (fermato a Lodi venne ricondotto a Gualtieri il 9 ott. 1919), visse inizialmente degli aiuti offerti dal Comune e dai compaesani e di ciò che gli inviava la madre adottiva. Il L. si mantenne anche lavorando come manovale o come bracciante sulle rive del Po, o ancora dipingendo insegne e cartelloni per piccole compagnie circensi che giungevano in paese in occasione delle fiere. Continuò anche in Italia a condurre una vita nomade, spostandosi nei paesi della Bassa reggiana, ospitato da contadini o dimorando in capanne sulla riva del fiume.
Il disegno, la pittura e la scultura, praticati già nel corso degli anni Venti, in modo ancora del tutto istintivo e dilettantistico, avevano la capacità di dare sollievo alle sue ansie, di mitigare le sue ossessioni, di riempire la sua solitudine. La scelta di dedicarsi alla pittura e alla scultura in modo più sistematico si fa risalire solo all'inverno 1927-28, quando, probabilmente a seguito dell'incontro con gli scultori e pittori M. Mazzacurati, prima, e A. Mozzali, poi, il L. acquisì una maggiore consapevolezza delle proprie potenzialità artistiche, ma anche dei mezzi tecnici per esprimerle.
Nei suoi quadri, fin da allora, trovarono espressione le sensazioni e i sentimenti che non riusciva a esprimere con le parole, che uscivano stentate dalla sua bocca, in una lingua che era un misto di svizzero-tedesco e dialetto della Bassa padana. Non aveva bisogno di modelli e dipingeva attingendo le immagini dalla propria non comune memoria visiva: tutto ciò che cadeva sotto i suoi occhi veniva registrato, rielaborato e riutilizzato all'occorrenza per creare scene dal forte potere evocativo. Nella sua mente i ricordi dell'infanzia, i paesaggi e gli episodi di vita reale contemporanei, le immagini di film, cartoline, libri assumevano parimenti una forma definita e tangibile e divenivano parte del suo patrimonio iconografico. Ugualmente, e a ragione, si può supporre che l'elaborazione di un "linguaggio" pittorico in cui non mancano i riferimenti "colti" sia frutto della conoscenza (il cui tramite fu probabilmente Mazzacurati), acquisita da stampe o pubblicazioni d'arte, delle opere di V. van Gogh, di G. Klimt, dei fauves e degli espressionisti tedeschi, con cui alcuni suoi quadri presentano indubbie analogie estetiche e stilistiche.
La produzione del L. è caratterizzata da una reiterazione dei soggetti e dei temi: predilige ritrarre animali, sia domestici sia esotici, in situazioni di quiete o di tensione (agguati, aggressioni e lotte concitate); ma tornano sovente, nei suoi quadri, anche scene di vita quotidiana (il ritorno dai campi e l'aratura), i paesaggi svizzeri, le diligenze, il circo, la caccia. Il L. inoltre non datava le proprie opere (delle quali si serviva talvolta come merce di scambio per far fronte anche alle necessità primarie) che sono oggi perlopiù in collezioni private. Tutti questi elementi rendono difficoltosa la catalogazione dell'opera del L., che si può basare soprattutto su caratteristiche formali o su una conoscenza diretta dell'artista. Proprio su tali basi si fonda il lavoro compiuto da S. Negri, nel redigere il Catalogo generale dei dipinti del L., cui si fa riferimento per la riproduzione, la collocazione e per un'ipotesi di datazione delle singole opere.
I dipinti realizzati dal L. tra la fine degli anni Venti e gli anni Trenta hanno un impianto formale semplice. I colori, molto diluiti, sono ancora spenti, i contorni risultano sfumati, la definizione degli sfondi è sommaria, e i soggetti dominanti sono gli animali, rappresentati inizialmente statici e di profilo: Gorilla con tigre (ripr. in Negri, p. 88 n. 6), Cavallo con gallo e gallina (ripr. ibid., p. 94 n. 20), Cortile con animali (ripr. ibid., p. 107 n. 55). In questo primo periodo rarissimi sono ancora gli autoritratti nei quali si cimentò a partire dagli anni Quaranta, raffigurandosi preferibilmente in posizione pressoché frontale, con il volto girato a sinistra e lo sguardo rivolto a destra, quasi sempre a mezzo busto - Autoritratto con grata gialla (ripr. ibid., p. 136 n. 24), Autoritratto con torre (ripr. ibid., p. 157 n. 336) - dedicando cura alla descrizione dell'abbigliamento, all'espressività, soprattutto degli occhi, ma anche ai particolari fisionomici come nell'Autoritratto di profilo (ripr. ibid., p. 141 n. 32), in cui risulta impietosamente in evidenza il gozzo.
La produzione pittorica degli anni Quaranta è caratterizzata inoltre da un arricchirsi della tavolozza di gamme cromatiche sempre più accese: il colore assume connotazioni espressionistiche e la pennellata diviene più corposa e materica. La staticità iniziale lascia ora il posto alla rappresentazione del movimento, con finalità talvolta narrative. L'attenzione si concentra sempre più nella definizione dell'immagine in primo piano, mentre lo sfondo è reso con macchie di colore, come nell'Aquila con volpe (ripr. ibid., p. 148 n. 47).
Questo periodo, artisticamente assai proficuo, fu segnato dagli internamenti nell'ospedale psichiatrico di S. Lazzaro di Reggio Emilia: il primo dal 14 luglio al 3 dic. 1937; il secondo dal 23 marzo 1940 al 16 maggio 1941, quando uscì sotto la tutela di Mozzali che gli diede ospitalità presso la propria casa a Guastalla; e l'ultimo dal 13 febbr. 1945 al 6 dic. 1948. I ricoveri furono motivati da persistenti stati maniaco-depressivi, che sfociavano talvolta in attacchi violenti ai danni di se stesso (si colpiva soprattutto al naso e alle tempie) o di altri. Uscito dall'ospedale, soggiornò alternativamente presso il ricovero di mendicità Carri di Gualtieri o in casa di amici.
Sul finire degli anni Quaranta, andò crescendo l'interesse della critica nei confronti delle opere del L.; arrivarono i primi riconoscimenti (premio della Banca agricola commerciale alla Mostra nazionale del paesaggio reggiano a Reggio Emilia nel 1949). Con gli anni Cinquanta, oltre alla sua presenza a esposizioni collettive, presero avvio le prime personali (Gonzaga, 1955; Roma, 1961).
Negli anni Cinquanta ebbe inizio, inoltre, il periodo più prolifico per il L., ma al tempo stesso quello qualitativamente più discontinuo. Dal punto di vista stilistico l'uso dei colori ancora accesi, a volte violenti, espressionistici, divenne allora più libero; e la linea scura di contorno delle figure in primo piano acquisì una maggiore evidenza, quasi a volerle staccare dallo sfondo, come nella Troika (ripr. in Negri, p. 325 n. 369). Divennero più frequenti gli autoritratti a figura intera: l'Autoritratto con moto, cavalletto e paesaggio (ripr. ibid., p. 197 n. 35) o l'Autoritratto con cane (ripr. ibid., p. 305 n. 315). Negli ultimi autoritratti si possono inoltre leggere i segni lasciati dal trascorrere del tempo, come nell'Autoritratto con maglione blu (16 nov. 1962: ripr. ibid., p. 376 n. 485), in cui i capelli sono più radi e incanutiti.
Uno sviluppo stilisticamente parallelo alla produzione pittorica ebbero le opere scultoree del L., nelle quali l'artista riproduceva animali, dapprima concentrandosi sulla sola evidenza formale, ma acquisendo poi una sempre maggiore capacità nella resa del movimento e nella descrizione dei particolari. A causa della tecnica adottata, tuttavia, molte delle sue sculture sono andate perdute: il L. modellava infatti i suoi soggetti con la creta del Po, che rendeva più malleabile attraverso una lunga masticazione; mentre il ricorso alla cottura, che le avrebbe rese meno deperibili, fu un'acquisizione solo degli ultimi anni.
Il 18 nov. 1962 il L. fu colpito da una emiparesi e, dopo essere stato curato in diversi ospedali, trovò nuovamente ospitalità presso il ricovero Carri di Gualtieri, dove morì il 27 maggio 1965.
La singolarità del "personaggio" L., dai tratti spesso leggendari, ha fatto sì che di lui si siano occupati negli anni diversi registi, quali P.P. Ruggerini (Il paese del sole a picco, 1960), R. Andreassi (Lo specchio, la tigre e la pianura, 1960; Nebbia, 1961, in cui furono ripresi anche gli artisti Rovesti e Mozzali; A. Ligabue pittore, 1962; I lupi dentro, 1997) e S. Nocita che nel 1977, in collaborazione con A. Bagnasco, ha curato la regia dello sceneggiato della RAI, A. Ligabue, il cui soggetto era di C. Zavattini.
Attualmente l'attività di ricerca, catalogazione e promozione dell'opera del L. è svolta dal Centro studi e archivio Antonio Ligabue di Parma, presieduto da Augusto Agosta Tota.
Fonti e Bibl.:
U. Sassi, A. Ligabue, Reggio Emilia 1965;
Il bestiario di Ligabue (catal.), a cura di M. De Micheli, Parma 1972;
A. Ligabue (catal.), testi di M. Dall'Acqua - R. De Grada - S. Negri, Gualtieri 1975;
M. Dall'Acqua, Ligabue, Milano 1978;
A. Bagnasco, Vita di Ligabue, Milano 1979;
R. Margonari, Antologia dei naïfs italiani, Como 1979, pp. 134-136;
U. Sassi, Il nostro Ligabue. Le ragioni della sua arte, Reggio Emilia 1983;
A. Ligabue tra primitivismo e arte colta (catal., Gualtieri), a cura di R. Barilli, Milano 1986;
I selvaggi d'oggi: Ligabue - Nerone (catal., Viterbo), a cura di M. Dall'Acqua, Parma 1990, ad indicem;
Scultura italiana del primo Novecento (catal., Mesola), a cura di V. Sgarbi, Casalecchio di Reno 1992, pp. 134 s.;
G. Di Genova, Storia dell'arte italiana del '900. Generazione maestri storici, III, Bologna 1995, pp. 1777-1780;
Ligabue, a cura di M. Dall'Acqua, Torino 1995;
A. Ligabue. Mostra antologica. Riscontri nell'arte… (catal., Roma-Zurigo-Gualtieri), a cura di L. Cavallo - M. Dall'Acqua - V. Sgarbi, Parma 1999 (con bibl.);
S. Negri, A. Ligabue. Catalogo generale dei dipinti, Milano 2002 (con bibl.).