LELIO, Antonio
Nacque a Roma nel 1465, probabilmente da famiglia aristocratica, visto che Filippo Beroaldo il Giovane lo chiama "Romanum patritium" (Carmina, K, c. 4r); sembra da escludere, tuttavia, che facesse parte della famiglia Massimo: il nome "Maximus", usato solo da Cristoforo Longolio, suona come appellativo umanistico piuttosto che come cognome vero e proprio.
La famiglia proveniva forse da Teramo, se è da collegarsi a quel Lelio da Teramo che compose le iscrizioni funebri per Gaspare Lelio da Teramo in S. Maria del Popolo (1482) e per Francesco Rodio di Venzono in S. Barbara de' Librari (1497; Forcella, I, p. 323 n. 1213; VII, p. 391 n. 793).
Il L. ebbe una buona educazione umanistica, forse alla scuola di Pomponio Leto; sapeva scrivere correntemente sia in latino sia in greco e, oltre alla poesia, esercitò la medicina. Visse a Roma nel rione Parione, come attesta l'ode Sodalium convictus die Bacchanalium di Pierio Valeriano, dove egli compare tra i sodali dell'autore insieme con Angelo Colocci, Lorenzo Grana, Blosio Palladio, Tommaso Pighinucci da Pietrasanta, Mario Maffei, Fabio Vigili, Pietro Corsi.
Il fratello Domenico fu consigliere di Parione nel 1530 e caporione nel 1532 (Roma, Arch. stor. Capitolino, Inventario della Camera capitolina, III, p. 12; XVI, p. 2).
Il L. frequentò l'Accademia Coriciana, che si riuniva annualmente, a partire dal 1512, nella villa romana di Giovanni Goritz il giorno di S. Anna. Insieme con i letterati di questo cenacolo partecipò, con tre epigrammi latini, al Suburbanum Augustini Chisii (Roma, G. Mazzocchi, 1512), silloge poetica in onore del banchiere senese Agostino Chigi raccolta da Blosio Palladio, e con altri tre epigrammi, in onore di Andrea Sansovino, all'impresa dei Coryciana (ibid., Ludovico Vicentino - Lautizio Perugino, 1524) raccolta di carmi in onore di G. Goritz e di Andrea Sansovino.
La posizione del L. in Curia non fu certo irrilevante: fu segretario del cardinale Agostino Trivulzio, che aiutò nella compilazione della sua storia dei papi e dei cardinali rimasta manoscritta e utilizzata poi da Onofrio Panvinio e da Alfonso Chacón, ma ebbe un atteggiamento critico verso l'ambiente romano. La personalità del L. emerge con chiarezza da una lettera a Mario Maffei del 23 dic. 1515 (Pescetti, pp. 74-76) in cui esprime la sua indignazione nei confronti della dispendiosissima vita cittadina ("questa Roma è una mala bestia"), definisce la corte pontificia "multitudine delle bestie di cotesti prelati", chiede notizie della produzione poetica di Filippo Beroaldo il Giovane, dello stato d'animo di Iacopo Sadoleto, sprezzante verso il "cattivo vivere di questa nostra etate", e della rappresentazione della Calandria di Bernardo Dovizi da Bibbiena.
Il L. fu protagonista di rilievo della vita culturale romana durante i pontificati di Giulio II, Leone X, Clemente VII. Nel 1519 si schierò, insieme con Pietro Bembo, I. Sadoleto e altri, dalla parte dell'umanista fiammingo C. Longolio nella disputa sulla superiorità tra i Galli e i Romani suscitata da Celso Mellini. Longolio aveva sostenuto la superiorità dei Galli sui Romani in campo militare, religioso e culturale e fu costretto ad allontanarsi da Roma. Nelle tre lettere inviate tra il 1520 e il 1522 al L. da Padova (pubblicate nelle Orationes, 1524) lamentò l'abbandono da parte degli amici, che avevano quasi tutti (ma non il L.) partecipato alla raccolta funebre in onore di Mellini, morto improvvisamente il 20 nov. 1519. Dalle lettere di Longolio emerge un L. poco sensibile all'amore (con l'eccezione di un'avventura perugina del 1521) e risulta che nel maggio del 1522 fu a Bologna per curare l'amico F.M. Molza ferito da una pugnalata.
Nel Dialogo della volgar lingua di P. Valeriano (1524) il L. partecipa, insieme con Antonio Matteazzi detto il Marostica e Angelo Colocci, alla cornice del dialogo, sostenendo una posizione linguistica di stampo naturalistico. Nel Castellano di Giovan Giorgio Trissino (1529) è presente, insieme con Iacopo Sannazaro, al dialogo tra Filippo Strozzi e il Castellano di Sant'Angelo (Giovanni Rucellai): interviene alla fine, con un parere in favore del Trissino a sostegno della denominazione di italiana anziché toscana per la lingua comune.
La presenza del L. è soprattutto significativa nei Carmina di F. Beroaldo il Giovane (1530), che lo menziona in otto componimenti (cinque odi e tre epigrammi), quattro dei quali gli sono personalmente dedicati: ne viene fuori il ritratto di un poeta perfettamente integrato nella comunità letteraria romana, amico e compagno delle principali personalità del momento, con cui condivide corteggiamenti, cene e giochi poetici. Dalla dedicatoria di Domenico Lelio al cardinale Agostino Trivulzio premessa al volume, risulta che i Carmina, dopo la morte dell'autore (30 ag. 1518), erano rimasti in custodia del L., che ne aveva progettato la pubblicazione, ma ne fu impedito "nec multo post" dalla morte.
La musa del L. intreccia formazione umanistica e vocazione satirica, come dimostra il fatto che egli fu tra i principali autori di pasquinate, tanto da diventare un punto di riferimento anche per Pietro Aretino nei primi anni dell'esperienza romana: al L. si attribuisce la metamorfosi di Pasquino da occasione di rimeria latina a sfogo di umori politici in volgare. Confermano questa vocazione i ritratti che danno di lui altri poeti del circolo romano. Francesco Arsilli nel De poetis urbanis (vv. 97-104), contenuto nei Coryciana, lo descrive come "vafer et facilis, peracuto dente renidens", "austero toxica corde gerens", poeta "verbis petulantibus", ma anche "ingenio mitis et arte potens". Lo nomina anche Marco Antonio Altieri nei Nuptiali al fianco di Camillo Porzio ed Evangelista Maddaleno Capodiferro, mentre Marco Antonio Casanova negli Heroica ricorda la sua mordacità: "iste omnes lacerat".
Nella prima redazione (1525) della Cortigiana dell'Aretino (atto III, scena 8) il L. è nominato di sfuggita, con un omaggio tra ironia e ammirazione; nella seconda redazione (1534) sono ricordati i suoi componimenti "in laude de' cardinali", definiti "divini", degni di essere letti "ogni mattina dui tra la Pistola e il Vangelo" e gli vengono attribuite le seguenti pasquinate: Non ha papa Leon tanti parenti (databile al 25 apr. 1514 o 1515); Da poi che Costantin fece il presente (databile al 1513); Cuoco è san Pier, s'è papa un de i tre frati; Piacevi, mona Chiesa bella e buona; O cardinali, se voi fossi noi (gli ultimi tre del 1521). Come autore della pasquinata Da poi che Costantin fece il presente è menzionato anche nella Vita di Pietro Aretino del Berna attribuita a Giovanni Alberto Albicante.
Dalle pasquinate leliane emerge il ritratto di un poeta decisamente antimediceo, ostile alla presenza fiorentina a Roma e critico verso la corruzione della corte di Leone X, tanto da meritare le risposte polemiche di altri autori filomedicei: a Non ha papa Leon tanti parenti rispose il sonetto Non s'ammazza al macel tanti caproni (Pasquinate romane…, I, pp. 83 s.); Piacevi mona Chiesa bella e buona ricevette una replica dell'Aretino (ibid., p. 174); il sonetto Cuoco è san Pier, s'è papa un de i tre frati fu riproposto con un finale diverso (Romei, p. 83).
Il L. stesso è nominato come personaggio di spicco in diversi componimenti di altri pasquineschi: nel sonetto Cazo! I poeti han tratto terno e sino (Pasquinate romane…, I, pp. 156-158) è nominato a fianco dell'Aretino in un elenco di poeti satirici contemporanei; nel sonetto Spetate Ivrea, col mal che Dio vi dia (ibid., pp. 165 s.) contro il cardinale della Minerva, il domenicano Tommaso De Vio "Caetano", il nome del L. suggella l'ultimo verso; nel sonetto I[n] Collegio ha proposto l'Armellino (ibid., pp. 258 s.) di nuovo egli è associato all'Aretino e nel Soneto fato a Roma contra lo episcopo di Chieti si fece heremita (Pasquinate di Pietro Aretino…, p. 111) insieme con l'Aretino è ricordato come signore della pasquinata.
Unico incarico pubblico ricoperto dal L. di cui c'è notizia è il comando delle milizie del Comune per la quiete della città nel 1521, durante la vacanza della sede pontificia alla morte di Leone X. Secondo le concordi testimonianze di Casanova, Beroaldo e Valeriano, il L. soffriva di podagra. La data della sua morte è incerta. A. Gnoli, in una nota a D. Gnoli, 1938, p. 144, dichiara che "morì a 60 anni nel 1525 il 31 maggio, e fu sepolto in S. Agostino", rinviando a Roma, Arch. storico Capitolino, Fondo Valesio, XLVI, c. 502, dove però nel riordinamento attuale non sono contenute notizie relative al Lelio. I. Sadoleto, in una lettera del giugno 1527 chiede a Lazzaro Bonamico di salutare, fra gli altri, anche il L. (Colocci, p. 129). Nel 1527 risulta un Antonio Lelio residente nel rione Parione (Descriptio Urbis o censimento della popolazione di Roma avanti il sacco borbonico, a cura di D. Gnoli, Roma 1894, p. 93). La scomparsa del L. è dunque da collocarsi tra il 1527 e il 1530, anno di edizione dei Carmina di Beroaldo.
Gli epigrammi dei Coryciana si leggono nell'edizione critica a cura di I. Ijsewijn, Roma 1997, p. 59 (v. anche pp. 348, 398; nella tradizione manoscritta il terzo epigramma che nella raccolta risulta del L. è attribuito ad A. Colocci). Della produzione pasquinesca del L. sono ricostruibili con un buon margine di certezza solo i cinque sonetti testimoniati dalla Cortigiana dell'Aretino, ma i critici non sono concordi sull'attribuzione. Il primo fu pubblicato da Percopo, pp. 49-53; il secondo da Gnoli, 1893, p. 263; gli ultimi tre da Rossi (Pasquinate di Pietro Aretino…, pp. 23, 37, 51), che li attribuisce però all'Aretino. La restituzione al L. si deve a Gnoli, 1893 e Percopo, ma è stata rigettata dal Cesareo, 1898, che nell'incertezza li assegna genericamente a Pasquino. Percopo attribuisce al L. anche i sonetti Già molte cose rider m'hanno fatto e Roma è tutta in scomesse et in contese. Le cinque pasquinate del L. ex Aretino, a eccezione della seconda, si leggono ora in Pasquinate romane del Cinquecento, a cura di V. Marucci - A. Marzo - A. Romano, I, Roma 1984, pp. 82 s., 158 s., 172-174, 294.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Carte Strozziane, s. 1, filza 353, p. 16; C. Longolio, Orationes, Florentiae 1524, cc. 25r, 33r, 69v, 76v, 83v-84r, 92-94, 138; F. Beroaldo il Giovane, Carmina, Romae 1530, B, c. 12; E, c. 3; H, cc. 1v, 3v; K, c. 4; P, cc. 2r, 3v; P. Valeriano, Hexametri, odae et epigrammata, Venetiis 1550, c. 75; A. Colocci, Poesie italiane, e latine, a cura di G. Lancellotti, Jesi 1772, p. 129; M.A. Casanova, Heroica, a cura di F. Volpicella, Napoli 1867, p. 33; M.A. Altieri, Li Nuptiali, a cura di E. Narducci, Roma 1873, p. 9; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e d'altri edifici di Roma dal secolo XI fino ai giorni nostri, Roma 1869-84, I, p. 323 n. 1213; VII, ibid., p. 391 n. 793; Pasquinate di Pietro Aretino ed anonime per il conclave e l'elezione di Adriano VI, a cura di V. Rossi, Palermo-Torino 1891, pp. 21, 30, 100 s.; P. Aretino, Teatro, a cura di G. Petrocchi, Milano 1971, pp. 165, 715; P. Valeriano, Dialogo della volgar lingua, in Discussioni linguistiche del Cinquecento, a cura di M. Pozzi, Torino 1988, pp. 45, 54 s.; G.G. Trissino, Il Castellano, ibid., pp. 121, 172; G.A. Albicante, Occasioni aretiniane (Vita di Pietro Aretino del Berna, Abbattimento, Nuova contentione), a cura di P. Procaccioli, Manziana 1999, p. 88; P. Serassi, La vita di F.M. Molza, in Rime di F.M. Molza, Bergamo 1746, p. X; L. Cardella, Memorie storiche de' cardinali della Santa Romana Chiesa, IV, Roma 1793, p. 68; D. Gnoli, Un giudizio di lesa romanità sotto Leone X, Roma 1891, pp. 41 s., 45 s., 74, 89; Id., Ancora delle "Pasquinate di Pietro Aretino" pubblicate ed illustrate da Vittorio Rossi, in Giorn. stor. della letteratura italiana, XI (1893), pp. 262-267; E. Percopo, Di Anton Lelio romano e di alcune pasquinate contro Leone X, ibid., XIV (1896), pp. 45-91; G.A. Cesareo, recensione a E. Bovet, Le peuple de Rome vers 1840 d'après les sonnets en dialecte transtévérin de G. Gioachino Belli (1897), ibid., XXXI (1898), pp. 402-408; L. von Pastor, Storia dei papi, IV, 1, Roma 1908, pp. 420, 434; F. Flamini, Il Cinquecento, Milano s.d., pp. 134, 223; L. Pescetti, Mario Maffei, in Rassegna volterrana, VI (1932), pp. 74-76; G.A. Cesareo, Pasquino e pasquinate nella Roma di Leone X, Roma 1938, pp. 28, 253 s., 256, 258-260, 277, 299 s.; D. Gnoli, La Roma di Leon X, Milano 1938, pp. 126 s., 144; F. Ubaldini, Vita di mons. Angelo Colocci, a cura di V. Fanelli, Città del Vaticano 1969, pp. 38-40, 52, 55, 95, 114, 126; D. Romei, Aretino e Pasquino, in Atti e memorie della Acc. Petrarca di lettere, arti e scienze, n.s., LIV (1992), pp. 73 s., 81 s., 85; V. Marucci, L'Aretino e Pasquino, in Pietro Aretino nel cinquecentenario della nascita. Atti del Convegno di Roma-Viterbo-Arezzo…, Toronto…, Los Angeles…, I, Roma 1995, pp. 67-86 passim; P. Larivaille, Pietro Aretino, Roma 1997, ad ind.; B. Levergeois, L'Arétin ou l'insolence du plaisir, Paris 1999, pp. 62, 66; R. Sodano, Intorno ai "Coryciana": conflitti politici e letterari in Roma dagli anni di Leone X a quelli di Clemente VII, in Giorn. stor. della letteratura italiana, CXVIII (2001), pp. 433 s.; Iter Italicum,VI, ad nomen.