LEONELLI, Antonio (Antonio da Crevalcore)
Nacque a Crevalcore, nel Bolognese, presumibilmente all'inizio degli anni Quaranta del Quattrocento. Il luogo d'origine era chiaramente denunciato dallo stesso L. nell'unica opera firmata, la Sacra Famiglia, già a Berlino, Kaiser-Friedrich Museum, in cui compariva la scritta "Opra de Antonio da Crevalcore 1493". Sulla data di nascita, può fornire invece utili indicazioni il primo documento da riferirsi al L., datato 8 marzo 1461 e relativo a un battesimo celebrato a Bologna, in cui egli compare come padrino (Schizzerotto, p. 52 n. 6): a quell'ep0ca doveva essere almeno maggiorenne, nato cioè non oltre il 1443.
Sul cognome Leonelli, attestato da parte della critica (Sgarbi) e da alcuni repertori biografici (Thieme - Becker), occorre precisare che esso origina indiscutibilmente dal patronimico del pittore, in quanto nei documenti relativi al L. compare di frequente al genitivo il nome del padre, tal Leonello, del quale peraltro non si hanno informazioni ulteriori. Non è escluso tuttavia che la forma "Leonelli" possa essere stata assunta come cognome dai discendenti del L., a cominciare dal figlio Gentile, documentato nel 1495 come "filium Antonii Leonelli pictoris" (Schizzerotto, p. 47).
A partire dal 1461, quando è attestato già come "pictor" (ibid., p. 52 n. 6), e fino al primo decennio del Cinquecento, il L. è sempre documentato a Bologna, dove ricoprì anche incarichi pubblici: fu massaro delle quattro arti del Comune nel 1478, 1489, 1505, 1507 e 1508 (Filippini - Zucchini, p. 19); e almeno nel 1496 "ministralis" di S. Leonardo, eletto cioè dagli abitanti della circoscrizione amministrativa facente capo a S. Leonardo per formare gli elenchi degli atti a portare le armi (ibid., p. 20).
La sua presenza nella città felsinea è attestata ancora nel 1491 come "habitator […] capella S. Proculi" (Schizzerotto, p. 52 n. 6), nel 1492, quando dipingeva per S. Petronio la "curtinam crucifixi magni", e nel 1499 in qualità di testimone in un processo (Filippini - Zucchini, p. 20).
La sua prima opera documentata risale al 1480, anno in cui, il 7 agosto e il 27 ottobre, venivano registrati due pagamenti a suo favore per la "dipintura del frontespicio" del portico di S. Giacomo Maggiore, allora in fase di realizzazione (Marchi). Il dipinto murale, ancora in situ in pessimo stato di conservazione, è concepito come un trittico entro una cornice in cotto sormontata da un'iscrizione con la data di compimento (1478): raffigura al centro la Madonna con il Bambino e negli scomparti laterali S. Giacomo e S. Agostino.
L'opera, avvicinata al forse più tardo Ritratto di Ludovico Bolognini della Pinacoteca nazionale di Bologna (n. 1082: ibid.), è prossima compositivamente al trittico eseguito a tempera già conservato nel castello di Etrepy (Marne), ora in collezione privata a Londra (vendita Sotheby Parke Bernet, Monaco, 5 marzo 1984, lotto 1021, pp. 36-39; Sgarbi, pp. 72-81, 100). Le tre tele raffigurano: quella centrale la Vergine in trono con il Bambino e, le laterali, S. Pietro e S. Paolo.
I dipinti sono stati ricondotti dubitativamente alla committenza dei notai, di coloro cioè che "brevibus scribunt plurima verba notis", come si legge nel distico centrale del foglio dipinto ai piedi della Vergine, sul gradino. Se ne è ipotizzata di conseguenza una destinazione, rimasta forse solo nelle intenzioni, in S. Petronio, dove gli "scribae" avevano una cappella dedicata alla S. Croce, dove però l'opera non risulta. Si è infine tentato di collegarli a un preciso contesto politico, avverso al governo dei Bentivoglio e favorevole ai Malvezzi, banditi da Bologna a seguito della congiura del 1488. A ciò si riferirebbe la finta iscrizione, posta alle spalle della tela con s. Pietro, della quale si scorgono solo alcune lettere. Letta - e integrata - come "C(o)r(ne)lio (Sy)lle (imp)era(t)ori (f)or(tu)na(t)o", è stata ritenuta allusiva in modo celebrativo a Lucio Cornelio Malvezzi, al servizio ("famulum") del quale nel 1495 era, tra l'altro, il figlio del L., Gentile, come documentano le testimonianze di alcuni cittadini bolognesi sentiti per aver incontrato all'estero gli esuli con lo scopo di rovesciare il governo (Schizzerotto).
Oltre alla Sacra Famiglia di Berlino e alle tre tele già a Etrepy, si ascrivono al L. con una certa sicurezza solo altri tre dipinti: il Ritratto di giovane del Civico Museo Correr di Venezia (Nicosia), il Ritratto della famiglia Sacrati, della Alte Pinakothek di Monaco, la Sacra Famiglia con s. Giovannino, conservata a Stoccarda presso la Staatsgalerie.
Non v'è dubbio sulla profonda matrice culturale e figurativa ferrarese del L., pervasa di ermetismo e stilemi nordici, quasi fiamminghi, come dimostrano i dipinti già di Etrepy; non fanno meraviglia i riferimenti alla pittura di Francesco Del Cossa, Ercole de' Roberti o Cosmè Tura se si pensa che al momento in cui egli era all'apice della carriera, verosimilmente attorno al nono decennio del XV secolo, Bologna era la roccaforte dei pittori ferraresi: basti pensare all'attività di Ercole de' Roberti a S. Pietro, nella cappella Garganelli.
Dalle fonti antiche il L. è ricordato come eccellente pittore di ritratti, di animali, di fiori e di frutti tanto che il cardellino con la spiga di miglio in bocca, che spesso compare nelle opere a lui attribuite, è stato interpretat0 come una sorta di criptofirma del pittore. In questo modo erano siglati per esempio una tavola raffigurante la Sacra Famiglia conservata alla fine del Settecento presso gli Hercolani di strada Maggiore a Bologna (Marcello Oretti…) e ancora, sempre a Bologna, un "preseppio" in palazzo Monti, poi Salina (ibid.) e sei dipinti con frutta, collocati nelle spalliere degli armadi della sagrestia di S. Michele in Bosco (Sgarbi, p. 30).
A testimoniare una fortunata attività tesa alla produzione di nature morte stanno anche alcune attestazioni documentarie: il 15 apr. 1506 Girolamo Casio (più propriamente, Pandolfi) inviava a Isabella d'Este un quadro "de le fructe" del L. (ibid., p. 29), per il quale il 14 giugno e il 29 ottobre successivi sollecitava il pagamento, saldato il 17 novembre a seguito della stima del dipinto, del quale però nelle collezioni gonzaghesche non è più alcuna traccia (Schizzerotto, p. 50).
La critica, soprattutto nel terzo quarto del XX secolo ha cercato di raggruppare attorno al L. tutta una serie di opere che per motivi essenzialmente stilistici Sgarbi ha ritenuto opportuno espungere dal catalogo del pittore, dando vita ad artisti in cerca di nome come lo Pseudo Crevalcore e lo Zeri's Master.
Il L. morì plausibilmente a Bologna tra il 1513, quando è citato da Achillini come ancora attivo ("nel trar dal vero si vale il Crevalcore / che qual Zeusi gli occei gabba co'i frutti"), e il 1525, anno di pubblicazione del Libro intitulatoCronica ove si tratta di epitaphii di Casio, che si riferisce al L. al passato: "Da Crevalcor' mastr' Antonio dotato / Fu di varie virtuti, e in pittura / sempre di pari andò con la natura, / Salvo che all'opre sue non dava il fiato" (in Sgarbi, p. 29).
Fonti e Bibl.: G.P. Achillini, Il viridario…, Bologna 1513, p. 188; M. Oretti, Raccolta di alcune marche e sottoscrizioni praticate da pittori e scultori nelle sue opere (fine del XVIII sec.), a cura di G. Perini, Firenze 1983, pp. 35 s., 41, 99, 182; Marcello Oretti e il patrimonio artistico privato bolognese (Bologna, Biblioteca comunale dell'Archiginnasio, Mss., B.104, fine del XVIII sec.), indice a cura di E. Calbi - D. Scaglietti Kelescian, Bologna 1984, p. 125; G. Bargellesi, Un ritratto di A. da Crevalcore, in Notizie di opere d'arte ferraresi, Rovigo 1955, pp. 37-39; F. Zeri, An addition to A. da Crevalcore, in The Burlington Magazine, CVIII (1966), pp. 422-425; F. Filippini - G. Zucchini, Miniatori e pittori a Bologna. Documenti del XV secolo, Roma 1968, pp. 14 s. (s.v. A. da Crevalcore), 19 s. (s.v. A. di Leonello); S. Bergamini, A. L. da Crevalcore, tesi di laurea, Università degli studi di Bologna, a.a. 1971-72; E. Mattaliano, in Da Borso a Cesare d'Este. La scuola di Ferrara. 1450-1628 (ed. ampliata del catal. di Londra 1984, con gli atti del simposio tenuto sempre a Londra il 2 giugno 1984), Ferrara 1985, pp. 86-88; V. Sgarbi, A. da Crevalcore e la pittura ferrarese del Quattrocento a Bologna, Milano 1985; M. Lucco, La cultura figurativa padana al tempo del Codice Hammer, in Leonardo: il Codice Hammer e la Mappa di Imola presentati da Carlo Pedretti. Arte e scienza a Bologna in Emilia e Romagna nel primo Cinquecento (catal., Bologna), Firenze 1985, pp. 143-145; F. Todini, ibid., pp. 154 s.; G. Schizzerotto, A. da Crevalcore "davanti ai rostri": un enigma ritrovato, in Paragone, XXXVII (1986), 441, pp. 31-58; M. Lucco, in La pittura in Italia. Il Quattrocento, II, Milano 1987, pp. 561 s.; A. Marchi, Notizia di A. da Crevalcore in un documento sulla chiesa di S. Giacomo Maggiore di Bologna, in Paragone, XLII (1991), 493-495, pp. 79-95; C. Nicosia, Gli Este a Ferrara. Una corte del Rinascimento (catal., Ferrara), Cinisello Balsamo 2004, p. 304; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, p. 82; The Dictionary of Art, II, pp. 184 s. (s.v. A. [Leonelli] da Crevalcore).