LOMBARDO (Lombardi), Antonio
Non si conoscono il luogo e la data di nascita del L., figlio di Pietro di Martino detto Pietro Lombardo, oriundo di Carona, nel Ticino, e a capo della più richiesta e fortunata bottega di scultori architetti a Venezia e in territorio veneto dagli anni Ottanta del Quattrocento.
Secondogenito rispetto a Tullio, definito in un documento "magister Tullius frater maior" (Sartori, 1976, p. 137), il L. insieme con il fratello fu presto elogiato come giovane promessa al seguito del padre nella Lausperspectivae di Matteo Colacio, testo di retorica con un significativo scorcio sulla scena artistica veneta, composto a Padova nel 1475; si è ipotizzato che a tale data il L. fosse poco più che adolescente (Markham Schulz, 1977; Id., 2004, p. 15) e che fosse nato intorno al 1458. Considerando che Pietro Lombardo tra il 1462 e il 1463 era attivo in S. Petronio a Bologna e che di lì a poco nel Monumento funebre del giurista Roselli, eseguito nella basilica di S. Antonio a Padova tra il 1464 e il 1467, avrebbe dato prova di un collaudato tirocinio compiuto sulla scultura toscana e in particolare sugli esempi di Desiderio da Settignano e Bernardo Rossellino, è possibile ipotizzare per il L. un'infanzia e un'adolescenza itinerante al seguito del padre, stabilmente collocato a Venezia solo a partire dall'inizio degli anni Settanta.
L'attribuzione al L. del tondo a mezzo rilievo con il profeta S. Luca nella cappella Moro in S. Giobbe (Markham Schulz, 1977), la cui ristrutturazione architettonica e decorazione costituì il più rilevante incarico della bottega dei Lombardo a Venezia, è suggerita proprio dall'elogio di Matteo Colacio, che visitò l'edificio prima del 1475.
La prova rivela gli impacci esecutivi, ravvisabili nelle mani e nello scorcio del viso, di un artista giovane e non ancora del tutto maturo tecnicamente, ma già impegnato in un serrato confronto con la cultura prospettica e mantegnesca, attenta alla ricerca di monumentalità e di una calcolata collocazione delle figure nello spazio.
L'opera successiva al cantiere di S. Giobbe in cui Francesco Sansovino (1581, p. 63) accreditava l'intervento del L. è il Monumento funebre di Pietro Mocenigo ai Ss. Giovanni e Paolo iniziato nel 1476 e compiuto entro il 1481.
Il monumento fu da subito guardato con ammirazione e stupore per l'audacia con cui lo schema dell'arco trionfale all'antica e la struttura delle nicchie occupate da statue, impiegata da Antonio Rizzo nella Tomba del doge Niccolò Tron ai Frari, venivano risolti in un nuovo ordine gerarchico che subordinava alla griglia portante dell'arco trionfale l'apparato scultoreo. Audace risulta anche la rappresentazione di cavalieri panneggiati all'antica, impostati come santi donatelliani e rivestiti delle panoplie antiquarie alla maniera di Andrea Mantegna; altrettanto audace in ambito funerario la raffigurazione della mitologia di Ercole, vincitore dell'idra e del leone nemeo. Proprio nei rilievi alla base del monumento raffiguranti due delle fatiche di Ercole, inteso come figura Christi, si è voluto discernere l'intervento del L. (Ceriana, 1992-93, p. 27) per il comparire di un tipo fisionomico dalla mascella larga e squadrata, dalla capigliatura trapanata di riccioli e dal naso tagliato a rettifilo, come già nel tondo con S. Luca in S. Giobbe, e più tardi nelle figure virili del Miracolo del neonatoparlante al Santo. Gli Ercoli Mocenigo si rifanno a prototipi visti in miniature, a disegni memori tanto di uno dei Dioscuri di Montecavallo, quanto dei panneggi che si arrotondano e gonfiano alle spalle di eroi e divinità nei sarcofagi e nei bassorilievi romani. Peraltro non è da escludere che anche i tre portatori del feretro del doge, in cui si vede all'opera una ricerca fisionomica più modulata e raffinata rispetto alla generica aulicità dei soldati nelle nicchie, siano anch'essi stati lavorati dal L. e da Tullio.
Che l'emulazione stilistica dell'antico fosse il terreno in cui i due giovani fratelli disputavano la loro bravura segnando un salto di livello rispetto al padre, si capisce osservando come i panneggi lamellari ricavati su piani paralleli di Pietro si sciolgano in morbidezze e andamenti euritmici da statuaria classica, sia nella decorazione di S. Maria dei Miracoli, sia nel Monumento funebre al doge Andrea Vendramin, dove i due fratelli subentrarono al magistero paterno. Un primato che riempiva di ammirazione i contemporanei, tra cui lo scultore Antonio Rizzo, è riconosciuto a Tullio nel De sculptura di Pomponio Gaurico, dove si dice che per il Monumento funebre al vescovo Zanetto nel duomo di Treviso (1485-89) egli meritava di essere accostato in grandezza agli antichi insieme con il L., con cui era in virtuosa competizione.
I numerosi esercizi attributivi sulle diverse parti della tomba (riepilogati da Ceriana, 1991, p. 138), giudicata da Pope-Hennessy (p. 320) "in some respects the finest Venetian sepulchral monument", tendono ad assegnare al L. la figura orante del vescovo Zanetto, ritratto al naturale, e il tritone di sinistra sul sarcofago insieme con l'aquila. In realtà qui, come nei plinti dell'arcone del coro di S. Maria dei Miracoli, nei rilievi della facciata della Scuola di S. Marco, e in quasi tutti i cantieri in cui è nota la collaborazione tra il L. e Tullio, una precisa distinzione di mano risulta problematica, poiché quei caratteri di maggiore morbidezza e naturalismo riconosciuti al L. nel rilievo del Miracolo del neonato parlante al Santo, di contro all'iperclassicismo astratto del fratello (Blake Mc Ham, pp. 39 s.; Markham Schulz, 2004, pp. 22-24; Sarchi, 2004, p. 36 e n. 11), non sono sempre chiaramente discernibili all'interno di una pratica di bottega che privilegiava il lavoro d'équipe e si basava sull'esecuzione tramite disegni e modelli che potevano essere ripresi in circostanze e con destinazioni diverse.
Contemporaneamente ai lavori trevigiani, i Lombardo furono impegnati fin dal 1481 e per più di un decennio (Ceriana, 2003) nell'elaborazione architettonica e nella decorazione scultorea della chiesa di S. Maria dei Miracoli a Venezia.
All'interno di questo sfavillante scrigno di pietre preziose, la peculiare abilità della bottega dei Lombardo nel gonfiare di volume e spessore l'intaglio del racemo fitomorfo, della vegetazione e degli animali che popolano paraste e capitelli di ordine composito, segna un ulteriore momento di evoluzione rispetto ai precedenti della decorazione della cappella Moro in S. Giobbe, e ai modelli a candelabra di ascendenza urbinate a cui erano ispirati. Tale ricchezza e plasticità si ritrovano solo nei rilievi eseguiti dal L. per lo studio di marmo di Alfonso I d'Este. Come velatamente ipotizza Ceriana (ibid., p. 95), è possibile che una parte considerevole nei lavori ai Miracoli sia toccata al L., che avrebbe impresso una forte impronta naturalistica, nel momento in cui Tullio si trovò maggiormente impegnato nel Mausoleo Vendramin. La critica tende ad assegnare al L. i mezzi busti raffiguranti la Vergine Annunciata, il S. Francesco, e il plinto con thiasos marino di destra, probabilmente eseguiti negli anni Novanta quando si montava la balaustrata (ibid., pp. 94-99). Nella Vergine, accostata alle effigi femminili del Miracolo del neonato parlante (Ruhmer, pp. 51 s.; Luchs, 1995, pp. 34-59), si presagisce la dolcezza accostante della Madonna Zen e la ricerca di un canone di bellezza assoluta che sarebbe stato poi la sigla del L. allo scadere del secolo, soprattutto nel rilievo eseguito per i massari dell'arca del Santo a Padova. Sheard (1971, pp. 143 s.) affianca la statuetta del S. Francesco sulla balaustrata del presbiterio dei Miracoli all'omonimo santo del Tabernacolo Trevisan ai Frari che Paoletti (p. 216) datava intorno al 1487. Non molto discosto cronologicamente dovrebbe essere il S. Luca della cappella Grimani in S. Giobbe che Markham Schulz (1991, pp. 200-202) attribuisce al L. con la probabile collaborazione della bottega Bregno.
Al 1489 si datano i due rilievi posti sulla facciata della Scuola grande di S. Marco, di cui Stedman Sheard (1984, p. 162) attribuiva la Guarigione di Aniano al L. e il Battesimo di Aniano a Tullio. Questa distinzione, basata sulla maggiore articolazione dei piani e dei volumi in accordo con le anatomie nel rilievo attribuito al L., è generalmente accolta, anche se l'ideatore principale del decoro della facciata fu Tullio (Markham Schulz, 2004, p. 25). Un problema analogo si pone per i due rilievi di S. Matteo e S. Luca nella cappella Giustiniani-Badoer in S. Francesco della Vigna. L'accanita disamina stilistica di Markham Schulz (2003, pp. 36 s.), che assegna il S. Luca al L. e il S. Matteo a Tullio con una data intorno al 1500, pone in luce obbiettive disparità esecutive che si sovrappongono però a un modello comune molto forte e altrove ripreso, come nei profili maschili del coevo Miracolo del neonato parlante. Alla medesima fase di grande collaborazione tra i due fratelli si riporta anche il Monumento funebre del doge Andrea Vendramin, costruito come un arco trionfale popolato di statue libere e non più ricavate in nicchie, originariamente nella chiesa di S. Maria dei Servi a Venezia, ma trasferito nel 1810 ai Ss. Giovanni e Paolo.
Sebbene l'orgogliosa firma di Tullio apposta alla base dell'Adamo (ora New York, Metropolitan Museum) attesti il ruolo principe di questo, i convincenti raffronti tra il decoro della base della Tomba Vendramin e taluni rilievi dello studio per Alfonso I d'Este hanno indotto gli studiosi a individuare l'intervento del L. nei tondi laterali raffiguranti il Ratto di Deianira a destra e Perseo che uccide Medusa a sinistra, nei rilievi del basamento con Putto suippocampo a destra e Putto che tiene per le corna un capricorno a sinistra, nella Minerva e nella Giudittacon testa di Oloferne (Sheard, 1971, pp. 220-228) nei piedistalli (Ishii, pp. 12-16; Luchs, 1995, pp. 40-50), nonché in una delle Virtù (Markham Schulz, 2004, p. 25) in una nicchia del sarcofago. L'autografia del L. su questi rilievi indica nel suo percorso non solo i riferimenti antiquari legati al collezionismo veneziano di statue e gemme antiche, ma anche una consonanza di intenti con la cultura e il corredo grafico del Polifilo nell'ambientazione sognante del mito.
Il 27 luglio 1500 i massari dell'Arca del Santo stipularono un contratto con Tullio e il L., con un anticipo di 25 ducati, per l'esecuzione di due rilievi che raffigurassero rispettivamente il Miracolo del piede riattaccato e il Miracolo del neonatoparlante.
A distanza di circa un anno il rilievo del L. fu portato al Santo per la festa del patrono e fu poi ricondotto a Venezia. Forse in quell'occasione fu esposto un modello a grandezza naturale (un esemplare in stucco era nella collezione Gualdi a Vicenza fin dal 1605); di fatto il rilievo in marmo fu terminato solo nel 1503 (Markham Schulz, 2004, p. 16). Il 17 giugno 1501 il L. e Tullio furono incaricati di scolpire altre due scene della vita del santo: al L. spettò l'esecuzione del Miracolo del cuore dell'avaro. Il 13 dic. 1504, quando il primo rilievo era già stato terminato, il L. convocò Giancristoforo Romano come perito di parte, mentre i massari chiamarono Giovanni Battista Bregno. Dissapori relativi al prezzo dei rilievi insorsero tra i massari e i fratelli Lombardo; l'ultimo pagamento riscosso dal L. fu emesso il 26 giugno 1506 (Sartori, 1976, pp. 137-139; Blake Mc Ham, pp. 202-204). Il Miracolo del neonato parlante, episodio in cui il santo permette a un neonato di salvare l'onore della madre ingiustamente accusata di tradimento, reca la firma in capitali romane "Antonii. Lombardi. o.p.f.", e costituisce la prima rivendicazione dello scultore della propria autonomia artistica. Concepito come un altorilievo imperiale romano, di un classicismo impeccabile e con una resa dei diversi piani articolatissima, fu additato dai massari a modello per il resto del ciclo. Il L. non eseguì mai il Miracolo del cuore dell'avaro; del soggetto rimane un disegno in collezione privata inglese che potrebbe essere considerato un suo studio preparatorio (Ceriana, 2004, p. 220).
Il successo ottenuto al Santo fruttò al L. l'incarico del più importante mausoleo cinquecentesco a Venezia: la Tomba del cardinale Giambattista Zen in S. Marco, che secondo le volontà testamentarie doveva essere il più all'antica possibile. Il 19 genn. 1504 fu stipulato un contratto tra i procuratori di S. Marco de citra e il L., a cui veniva affiancato il bronzista Alessandro Leopardi. Dissapori insorsero tra il L. e Leopardi, sollevato dall'incarico nel maggio 1505 e sostituito dai fonditori Zanin Alberghetti e Piero delle Campane.
Il L. progettò lo straordinario mausoleo bronzeo, a metà tra l'altare donatelliano al Santo e la pala d'altare veneziana come si era definita per opera di Giovanni Bellini; la parte dei bronzi fu condotta a termine dalla bottega Bregno e da Paolo Savin, l'inserimento architettonico fu di Tullio. Sicuramente fusi sotto la direzione diretta del L. furono il cielo del ciborio con Dio Padre in gloria, la Madonna introno col Bambino; più problematica è l'autografia del S. Pietro e di una delle virtù - la Temperanza - del sarcofago (Jestaz, pp. 194 s.; Markham Schulz, 1991, pp. 40-42). In correlazione stilistica e cronologica col monumento Zen, Markham Schulz ascrive al L. il Cristo risorto posto sopra il ciborio di S. Marco (La statua…, 1998, pp. 235 s.). Nel dicembre 1505 i fratelli Lombardo chiesero il compenso per due camini eseguiti per il palazzo ducale (Lorenzi, 1868, pp. 137 s.).
Il 14 maggio 1506, prima di partire per Ferrara, il L. nominò il padre e Marco Schinello suoi procuratori affinché sovrintendessero alla prosecuzione dei lavori e si occupassero della riscossione dei pagamenti. Ai primi del Cinquecento risalgono probabilmente il disegno e il modello dei tre pili degli stendardi di piazza S. Marco fusi in bronzo da Leopardi (Wolters, 1996). In quegli anni deve collocarsi anche la statua di S. Pietro Martire, proveniente dall'altare Dolce della soppressa chiesa di S. Giustina, ora inserita nel monumento Trevisan ai Ss. Giovanni e Paolo, già indicata da Paoletti come una delle opere iniziate prima del trasferimento a Ferrara (Markham Schulz, 1991, p. 200). Il primo pagamento al L. da parte della Camera ducale estense, risalente al 20 febbr. 1505, poco dopo che Alfonso I era succeduto a Ercole I, lascia pensare che fosse proprio quest'ultimo a fornire la prima commissione al L. (Sarchi, 2002, p. 170), ma certo non quella per il Sarcofago di Borso I attribuitogli da Paoletti (p. 240), opera molto lontana dalla qualità artistica del Lombardo.
Più probabile l'ipotesi di Luchs (1995, pp. 99-102), che riferisce a questo momento l'ideazione di testine bronzee muliebri e del S. Giovanni bambino (la cui fusione si dà a Severo da Ravenna), intesi come prove artistiche di presentazione (Sarchi, 2004, pp. 238-242, schede 55-58). Alla produzione bronzea del L. è riferito, senza unanime consenso, anche un rilievo con la rappresentazione allegorica della Pace (Lewis, 1978).
Stabilmente a Ferrara dal giugno 1506, il L. fu impegnato da subito nella decorazione dello studio di marmo per Alfonso I d'Este (Franceschini, doc. 788), uno dei primi ambienti progettati dal duca nella residenza della via Coperta tra il castello e la corte nuova (Hope, 1971).
La maggior parte dei rilievi dello studio, di cui quattro di maggior formato a soggetto narrativo e gli altri più piccoli decorativi (per un totale di trentasette marmi), è attualmente conservata al Museo dell'Ermitage di San Pietroburgo, uno si trova nella collezione dei principi del Liechtenstein, uno al Louvre (Androsov, 2004, pp. 132-184). Un foglio del Fogg Art Museum di Cambridge, raffigurante una Scilla con tralcio vegetale, parrebbe uno studio preparatorio autografo per la serie ferrarese (Ceriana, 2004, cat. 49, p. 218). I rilievi esibiscono una serie di motti latini incisi che definiscono lo studio come luogo di ritiro dedito all'introspezione (Stedman Sheard, 1993; Ballarin, pp. 357-383; Sarchi, 2003, pp. 290 s.). Piuttosto univoca appare la decifrazione in chiave politica di buon governo e pace del rilievo raffigurante la Contesa tra Minerva e Nettuno per il possessodell'Attica e del Trionfo di Ercole evidente allusione dinastico-araldica; mentre ancora problematica è la lettura della Fucina di Vulcano, che peraltro potrebbe essere stata eseguita posteriormente e destinata a una camera attigua anziché allo studiolo di marmo vero e proprio (Markham Schulz, 2004, pp. 27-29). Intorno al 1515 Markham Schulz (2004, p. 210, scheda 45) data anche la Testa del figlio maggiore di Laocoonte conservata al Kunsthistorisches Museum di Vienna, e attribuita al Lombardo. La preziosità dello studio di Alfonso I, giocata su inserti di pietre policrome e sul contrasto tra il nitore dei rilievi e il nero della pietra di paragone del pavimento, fu assai apprezzata dagli artisti e collezionisti contemporanei, così come il prototipo dei rilievi di piccolo formato a soggetto mitologico, inaugurato con la Venere Anadiomene (Londra, Victoria and Albert Museum).
Poco rimane, in documenti e opere, dell'ultima fase della vita del Lombardo.
Da un rogito del 1513 risulta che solo allora si emancipò giuridicamente dal padre (Markham Schulz, 2004, p. 15). I rapporti con Venezia non furono mai interrotti, come testimoniano le note di pagamento per la rifornitura di marmi, l'iscrizione alla Scuola grande di S. Marco da cui venne depennato solo nel 1512 (ibid., p. 19), la committenza condivisa col fratello. Nell'aprile del 1516, il L. oltre a presiedere ai lavori alla Delizia del Boschetto a Ferrara, prestava servizio, con Tullio, anche per Isabella d'Este, come si evince da una lettera di Bernardino de' Prosperi. Non è identificata la statua di Satiro con puttino scartata da Alfonso I, presa in considerazione da Isabella e poi a sua volta declinata (Sarchi, 2004, p. 45). Resta dubbiosa l'attribuzione di un rilievo marmoreo con MarteVenere e Amore, conservato a Monaco nel Residenzmuseum (Schlegel); mentre al rilievo con la Madonna in trono e un orante, conservato nella palazzina della Marfisa probabilmente iniziato o progettato dal L., ma da lui non compiuto (Ceriana, 2004, cat. 77, p. 294), non è da escludere che possano aver lavorato i tre figli: gli scultori Aurelio, Girolamo e Ludovico Lombardo.
Dal testamento della moglie, Adriana Vairà, redatto il 27 giugno 1516 (Cittadella, pp. 194 s.) il L. risulta a quella data già morto, e sepolto nella chiesa ferrarese di S. Maria della Rosa dove lei stessa chiedeva di poter essere tumulata.
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