LONGO, Antonio
Figlio di Giovanni Stefano e Maria Maddalena Vaia (in alcune fonti "del Vain") di Nicolò, nacque a Varena, in Val di Fiemme, il 14 apr. 1742.
Come già il fratello primogenito Giovanni Battista, minore francescano con il nome di Giovanni Francesco, nel 1762 il L. fu avviato alla carriera ecclesiastica: quattro anni dopo, il 24 maggio 1766, venne ordinato sacerdote (Rasmo, 1984, p. 162).
Non sono noti gli esordi artistici del L. che, a giudicare dall'iscrizione "1757 ALP" incisa nel tramezzo divisorio del coro nella chiesa dei Ss. Pietro e Paolo a Varena, vanno tuttavia riferiti a un'epoca alquanto precoce, intendendo certo alludere con la lettera "P" al suo essere "Pictor" e non evidentemente "Presbiter", titolo con il quale il L. era solito firmarsi nelle opere della maturità.
Svolse la sua prima formazione artistica in ambito locale, frequentando il pittore di Moena V. Rovisi che proprio a Varena, nel 1764, aveva dato prova di sé nelle edicole della Via Crucis (Felicetti, 2002, pp. 210 s.) e tramite il quale si accostò forse per la prima volta alla tecnica dell'affresco.
Di tale frequentazione rimane traccia nell'Autoritratto (1762) già in collezione Sieff a Varena (oggi in collezione privata a Milano), nel Ritratto del p. Giovanni Francesco Longo del Castello del Buonconsiglio a Trento, ma ancor più nell'Allegoria della Prudenza (parte di una serie di quattro figure allegoriche conservate al Castello del Buonconsiglio), che rimanda con evidenza alla figura di s. Barbara nella pala della Madonna di Loreto dipinta da Rovisi nel 1776 per la chiesa di Vallada Agordina (ibid., p. 260). Data del resto a questi anni il trasferimento del L. a Moena, dove tra il 1776 e il 1778 fu cappellano della locale chiesa, fatto questo che certo dovette contribuire a rinsaldare il loro legame.
Ben più determinante si rivelò l'influsso della famiglia di pittori Unterperger, le cui opere e la cui apprezzabile collezione era possibile ammirare nella vicina Cavalese. Lungo l'intero arco della produzione artistica del L. emerge con assoluta evidenza l'interesse che egli nutrì per il capostipite Michelangelo, come dichiarano il Crocifisso con s. Maria Maddalena nella parrocchiale di Molina di Fiemme (citazione del medesimo soggetto eseguito da Unterperger, oggi al Castello del Buonconsiglio) e più volte riproposto dal L. anche in opere di epoca successiva, quali il Crocifisso della canonica di Tesero e quello di casa Jellici, l'Ultima Cena della canonica di Varena (libera copia dal dipinto oggi al Museo civico di Bolzano) e la Predica di s. Giovanni Battista per la pieve di Canale d'Agordo (post 1808), mutuata dalla pala della chiesa degli scolopi di Kromeriz (ora Kremsier, nella Repubblica Ceca). Nondimeno il L. mostrò riguardi per l'opera del nipote di Michelangelo, Ignazio, che egli stesso, in una lettera indirizzata all'amico architetto Ambrogio Rosmini il 1° maggio 1807, indicò quale suo primo maestro, e soprattutto per Cristoforo, con cui intrattenne intense relazioni sia di amicizia sia professionali, divenendone discepolo, nonché primo biografo. L'avvenuto contatto con le opere di Cristoforo degli anni tra il 1756 e il 1757 - quando questi si accostò al classicismo veronese (Felicetti, 1998, p. 5) - è palesato nella produzione del L. dell'ottavo decennio. Ne sono esempio l'Autoritratto (1770) del Castello del Buonconsiglio, gli affreschi della sua casa a Varena (1770), la Madonna col Bambino e s. Giovannino (1772) e la Madonna col Bambino (1774), entrambi nella canonica di Varena, ma soprattutto la pala con S. Vigilio in adorazione della Trinità per la chiesa dei Ss. Pietro e Paolo a Varena (1771) e il Redentore in gloria e i ss. Modesto, Vigilio, Zeno e Giorgio per la parrocchiale di Aldeno (1778), che rievocano rispettivamente la Ss. Trinità già Riccabona e il S. Giorgio e il drago della parrocchiale di Predazzo, oltre ai ritratti di Bartolomeo Bertolini e (forse) di Luigi de Bertolini, oggi al Castello del Buonconsiglio, aderenti al linguaggio impiegato da Cristoforo nel Ritratto di Kaspar Anton Michael von Riccabona di collezione privata. A partire dal nono decennio l'attività artistica del L. denuncia invece l'accostamento alle opere romane del fiemmese.
Per il tramite di A. Rosmini di Rovereto - del quale divenne corrispondente e agente, acquistando per lui le maggiori novità incisorie del panorama romano (G. Volpato, G. Hamilton, R. Morghen e altri) -, munito di una commendatizia indirizzata all'agente imperiale per gli affari religiosi presso la S. Sede, Giovanni Francesco Brunati, nella primavera del 1780 il L. coronò il sogno di trasferirsi a Roma assumendo, a partire dall'autunno, l'incarico di cappellano della chiesa di S. Maria dell'Anima. Sin dal primo momento diede inizio al suo perfezionamento professionale seguendo, principalmente, i corsi dell'accademia del nudo, fatto questo che lo autorizzò in seguito a fregiarsi del titolo di accademico romano. Sebbene nei registri dell'Accademia di S. Luca il suo nome non sia annotato, è possibile ipotizzare che egli si sia formato alla scuola del nudo in Campidoglio (Mich, 1981, p. 98 n. 14) o all'Accademia di Francia in palazzo Mancini o, più probabilmente, in una delle numerose scuole private, molte delle quali tenute proprio da quei pittori che il L. stesso affermava di conoscere frequentandone gli ateliers.
Dalla corrispondenza epistolare che l'artista intrattenne con Rosmini si è infatti informati delle amicizie, degli ambienti e dei personaggi che ebbe fortuna e occasione di conoscere durante gli anni romani. Tra questi, oltre a C. Unterperger e P. Batoni, G. Cades, D. Corvi, A. van Maron, A. Trippel e A. Cavallucci che il L. diceva essere suo grande amico. Si apprende inoltre che egli si esercitava nella copia di dipinti di artisti famosi volgendosi in particolare al classicismo marattesco e cortonesco, alle opere di G. Reni, M. Benefial, F. Trevisani e S. Conca.
A giudicare dalle opere di cui si ha notizia, l'attività del L. per committenti dello Stato pontificio dovette essere decisamente limitata, essendo note solo la pala di S. Nicola e altri santi per l'oratorio di S. Nicolò ad Ariccia del 1793 e quella di S. Antonio Abate per la chiesa di S. Martino a Viterbo (il cui bozzetto si conserva nella canonica di Varena) del 1795; ben più nutrita fu invece quella per la madrepatria, a cui forniva soggetti e stili aggiornati sulle opere dei maestri allora più richiesti nell'Urbe.
Tra queste, la pala con il Battesimo di Cristo, che il L. eseguì tra il 1783 e il 1784 per la parrocchiale di Cavalese, copia del dipinto di M. Benefial nella chiesa di S. Maria della Quercia, in seguito riproposta nelle figure principali nella pala della chiesa di S. Giovanni di Fassa del 1786 (il cui bozzetto si conserva nella canonica di Varena); il S. Francesco riceve le stimmate nel convento dei francescani di Cavalese, citazione della pala di F. Trevisani nella chiesa delle Ss. Stimmate di S. Francesco; il Crocifisso dipinto nel 1790 per la chiesa di S. Eliseo a Tesero, mutuato dal celebre quadro di G. Reni in S. Lorenzo in Lucina; la Madonna col Bambino e s. Stanislao Kostka, eseguita nel 1799 (oggi nella canonica di Varena), copia del dipinto di C. Maratta in S. Andrea al Quirinale; la Madonna col Bambino e s. Carlo Borromeo, derivata dalla pala di S. Conca già nella chiesa di S. Filippo ad Ascoli Piceno (oggi nella locale Pinacoteca), così come la Madonna col Bambino e i ss. Antonio da Padova e Antonio Abate nella parrocchiale di Varena; due pendants con studi di volte nel Museo Pinacoteca della Magnifica Comunità di Fiemme a Cavalese, copie da Pietro Berrettini da Cortona. Molte furono anche le opere ispirate a dipinti dell'amico Unterperger: l'Ultima Cena per la chiesa di S. Giorgio a Castello di Fiemme del 1796 (il cui bozzetto si trova nella canonica di Varena) e quella per la parrocchiale di Carano del 1812; la Madonna Addolorata e i Ss. Filippo Neri e Ignazio di Loyola nella canonica di Varena, copia dal bozzetto eseguito da Cristoforo per il mosaico della basilica di Loreto, a cui il L. si volse anche per la pala di Montalbiano del 1795; la Madonna Addolorata della canonica di Tesero e la Decollazione del Battista per la chiesa di Madrano del 1805. Tra le opere eseguite durante il soggiorno romano è possibile ricordare ancora la Madonna col Bambino e i ss. Giuseppe e Giovannino e la Madonna col Bambino per la chiesa di S. Leonardo a Pranzo di Tenno (1780); il Ritratto di s. Giuseppe Benedetto Labre già in collezione Rizzoli a Cavalese (1780-83); la Mater Sapientiae in collezione privata ancora a Cavalese (1784); l'Incontro dei ss. Pietro e Paolo in collezione privata a Bolzano (1785); la pala di S. Nicolò per la parrocchiale di Carano (1786); numerosi dipinti aventi per soggetto il Crocifisso; la pala della Madonna del Rosario per la parrocchiale di Cavalese (1788), che il L. replicherà nella chiesa di Magrè (il cui bozzetto si trova oggi presso il Castello del Buonconsiglio); la Madonna col Bambino e i ss. Caterina, Giuseppe e Sebastiano oggi al Museo civico di Riva del Garda (1790); l'Ultima Cena già nella canonica di Varena (oggi nel Museo Pinacoteca a Cavalese); la Beata Vergine dell'Orazione, citazione, come indica l'iscrizione sul verso, dell'"Immagine della B.V. Madre dell'Orazione dell'Arciconfraternita della Morte di Roma", dall'artista donata alla Confraternita della Morte di Carano nel 1820 e oggi in collezione privata a Modena. Molte altre opere, di cui non è nota l'ubicazione, vengono citate dal L. nel suo Diario, dal quale si apprende anche come durante il soggiorno romano avesse eseguito ben ventitré pale d'altare (Rasmo, 1984, p. 139), numero in seguito ribadito nella lettera che il 2 giugno 1808 il L. inviò al signor Gian Paolo Andrich, direttore della fabbriceria della pieve di Canale d'Agordo.
Con la proclamazione della Repubblica Romana (1798) il L. fu costretto a lasciare Roma e, verso la fine di luglio, passando per Venezia, giunse a Varena. Il 16 ottobre gli fu affidata la curazia del luogo, con l'incarico di sostituto curato, che rivestì sino alla morte. Nelle opere successive al suo definitivo rientro il L. seguitò ad attingere ai modelli di cui si era rifornito a Roma o a studi lì approntati, come documentano il Commiato dei ss. Pietro e Paolo condotti al martirio - che reca in basso l'iscrizione "Inventum Romae, Pictum Varenae", il cui bozzetto si trova in proprietà privata a Lago di Tesero - e la Madonna col Bambino e i ss. Francesco e Antonio Abate, dipinti entrambi per la parrocchiale di Varena rispettivamente nel 1800 e nel 1811; l'Incredulità di s. Tommaso per la parrocchiale di Daiano (1801) e il ciclo con il Redentore e gliapostoli per la chiesa di S. Leonardo a Tesero del 1819 (di cui esiste una replica nella chiesa di S. Vigilio a Cavalese), ispirati alle statue disegnate da Maratta per la basilica di S. Giovanni in Laterano.
Tra il 1802 e il 1809 si collocano le sue esperienze in campo architettonico: nel 1802 e nel 1806 il L. progettò la sistemazione dell'ospedale Giovanelli a Tesero e la sopraelevazione del campanile del luogo; nel 1805 si occupò della ricostruzione del campanile della chiesa di S. Sebastiano a Cavalese e dell'ampliamento della chiesa di Ziano di Fiemme; nel 1806 elaborò i progetti per l'arcipretale di Cles, mentre verso il 1809 iniziò a lavorare al rinnovamento degli arredi della chiesa di Varena, progettando il tabernacolo dell'altare maggiore e i due altari laterali.
Nell'ultimo periodo di attività, iniziò a frequentare la bottega del L. il pittore di Predazzo T. Rasmo che, poco dopo il 1805, risulta collaborare all'esecuzione di alcune opere del maestro.
Dopo mesi di "penoso e lacrimevole" stato di salute, come ebbe a scrivere l'amico Giuseppe Unterperger in una lettera del 13 sett. 1820 a don Antonio Varesco, il L. si spense a Varena il 26 maggio 1820.
Negli ultimi anni il L. ripeté sempre più spesso moduli stereotipati, rigidi schemi devozionali. Molti dipinti della sua vasta produzione, passati con l'eredità ai parenti di Tesero, furono in seguito venduti e risultano in parte dispersi.
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