LONGO, Antonio
Nacque a Venezia il 6 maggio 1758, da Giuseppe, cittadino originario appartenente a una delle casate "dichiarate abili e capaci a concorrere alla ducale cancellaria", e da Lucia Teresa Sansei, romana, che aveva ottenuto l'annullamento di un suo precedente matrimonio con un marchese portoghese. Al battesimo nella chiesa di S. Pantalon il L. ebbe il nome di Giannantonio Giuseppe, ma preferì sempre sottoscriversi come Antonio.
La famiglia non andava al di là dell'occupare posti modesti nella burocrazia marciana e di una condizione finanziaria altalenante. Il bisnonno Marco e il nonno Giannantonio erano stati "ragionati" (funzionari amministrativi), mentre il padre avrebbe ricoperto il "lucroso carico" di consultore presso i provveditori alle Biave, un impiego abbandonato a favore della professione di pubblico notaio.
Il L. divenne anch'egli notaio, ma non esercitò quasi mai. Preferì invece, come scriverà nelle Memorie, comparire "sulla scena del mondo a rappresentare il personaggio d'uomo capriccioso ed allegro" incline alle burle, al gioco, agli amori (Masi lo definisce "un Casanova in diciottesimo") e ai viaggi di piccolo cabotaggio. I genitori gli avevano permesso di crescere in modo talmente sregolato che era arrivato "all'età di dodici anni senza sapere né leggere né scrivere". Successivamente si occuparono della sua istruzione gli abati L. Garagò e L. Marcellotto. Quest'ultimo lo educò nel culto di Gasparo Gozzi, cui il L. rimarrà sempre fedele: aprirà il primo tomo della Biblioteca utile e dilettevole, pubblicato nel 1808, con un Sogno del co. Gaspare Gozzi che servirà di prefazione all'opera presente.
Stando allo stesso L., la prima opera che pubblicò fu, nel 1775, un opuscolo di argomento agrario, frutto di un prolungato soggiorno a Mira (una località della riviera del Brenta, dove la sua famiglia possedeva un casino), intitolato i Semi per una buona agricoltura pratica italiana, in realtà uscito nel 1766 dalla penna di Giovanni Francesco Scottoni. Nel 1777 il L. fu approvato dagli avogadori di Comun quale cittadino originario: i testimoni dichiararono, come prescrivevano le leggi, che, "fatto educare con tutta onorevolezza, e civiltà, vive con buona condotta, e si dà a divedere nella sua fresca età di talento, e di direzione, non avendo mai avuto impiego di sorte alcuna, e non essendo mai incorso in macchia di disonore".
La sua prima pubblicazione certa fu una traduzione dal francese, la Nuova biblioteca galante, ovvero Novelle storiche, tragiche, e comiche, ed avventure piacevoli, il cui primo tomo apparve nel 1786 a Venezia. Fu forse aiutato nella traduzione dalla prima moglie, Regina Giusti de' Schietti. Dopo pochi anni di matrimonio i due "divorziarono", in quanto il L. intratteneva altre relazioni tra Venezia e Bologna, dove fu ospite di Francesco Albergati Capacelli e dove si fece notare come poeta all'improvviso, autore di un paio di commedie e impresario di una compagnia di ballo.
Tornato a Venezia, si risposò con Margherita Occioni e si dedicò, secondo quanto si ricava dall'epistolario, a compilare non meglio identificati "giornali". Morto nel 1795 il padre, un L. "ridotto al verde" decise di abbandonare la "gran società" veneziana, dove frequentava letterati come Alessandro Pepoli, Angelo Dalmistro, Giovanni Pindemonte e i salotti di Cecilia Zen Tron e Isabella Teotochi Marin, e di ritirarsi a Mira, dove raccolse una miscellanea intitolata Capricci, traduzioni, prose, pensieri, poesie estemporanee, poesie premeditate di un uomo che si è ritirato dal mondo, il cui primo tomo fu stampato a Venezia nel 1796.
Il 12 maggio 1797, quando il Maggior Consiglio sciolse la Repubblica aristocratica e molti popolani manifestarono contro i partigiani dei Francesi, fu ritenuto, secondo lui a torto, un "giacobino" e si vide la casa invasa dalla folla tumultuante. Nella Venezia "democratica" fu capo pattuglia della guardia nazionale e, da fine luglio a fine novembre, commissario di polizia del sestiere di Dorsoduro. La rivoluzione lo "lasciò al suo sparire ancora più misero" che in precedenza. Tornò a Mira, dove esercitò con poco successo la professione di avvocato. Un soggiorno sui colli Euganei gli ispirò un'operetta in versi, pubblicata postuma nel 1850, a Este, dal figlio Gaetano, le Gemme storiche intorno a' colli Euganei.
In quegli anni decise di scrivere, sulla scia delle Memorie inutili di G. Gozzi e con l'obiettivo primario di ricavarne un guadagno, un'autobiografia, che integrò in progressive edizioni.
I primi cinque capitoli delle Memorie furono pubblicati nel 1808 nella Biblioteca utile e dilettevole. L'edizione completa uscì in quattro tomi nel 1814, a Venezia, presso G. Molinari e nella stessa città una seconda, sempre in quattro tomi ma arricchita nelle note, fu edita da A. Curti nel 1820. L'ultima fu pubblicata postuma nel 1842-44, a Este, da Gaetano, con il lunghissimo titolo Memorie della vita di Antonio Longo viniziano, scritte e pubblicate da lui medesimo per umiltà. Terza edizione aumentata di molti aneddoti, e di notizie curiose che riguardano la vita di Teresa Depetris Venier, di Francesco Albergati Capacelli, di Alessandro Pepoli, di Carlo Spinola, dell'abate Carlo Testa, di Giambattista Armani, dell'abate Tribolato, e dei suoi migliori inediti scritti.
Cicogna scrisse che, "quantunque vi sieno alcuni aneddoti che partono dalla fantasia del Longo, nondimeno queste Memorie hanno per base la verità, e perciò, anziché porle fra la parte storico-romanzesca, si dà loro questo luogo", vale a dire un posto nella sezione sulla storia genealogica e biografica nel Saggio di bibliografia veneziana. In effetti l'opera, "in bilico tra verità e immaginazione" si risolve in "una miriade di scenette, di episodi e di ritrattini" (Auzzas, p. 285). "Le vicende di un cittadino privato", che racconta in maniera rapsodica e senza rispettare la cronologia, offrono, nonostante il resoconto di un susseguirsi di drammatici fallimenti, spunti prevalentemente comici. Il L. intendeva imporsi quale un "piacevolissimo moderno scrittore" (Cicogna).
Nell'autobiografia, mentre la "grande" storia rimane sullo sfondo, le vicende personali sono ripercorse in modo superficiale. Anche lo sguardo, che getta qua e là sul mondo letterario del suo tempo, è calamitato dai casi più pittoreschi (Albergati Capacelli, Pepoli ecc.). Nello stesso tempo le Memorie si segnalano per la capacità di trasformare il mondo con tutte le sue asprezze e i suoi lutti in una scena teatrale, che, secondo le diverse fasi della vita del L., chiama in causa contesti diversi, dai palazzi di città alle ville, dai palcoscenici alle osterie di campagna.
Nel 1808 il L. si lanciò in quello che battezzò il "gran piano tipografico letterario", cioè il varo di tre raccolte di opuscoli - la Biblioteca utile e dilettevole, la Biblioteca ecclesiastica per servire ai progressi de' sacri studii e della sacra eloquenza e la Biblioteca agro-economica (quest'ultima dal 1809) - e la fondazione di una Società tipografica letteraria, con una dozzina di addetti alla tipografia. Nella compilazione delle tre Biblioteche si avvalse, a suo dire, della collaborazione, rispettivamente, di A. Rubbi, P. Zabeo e C. Pelizzari. Un ex patrizio veneziano, G.V. Bonfadini, sostenne economicamente l'impresa fino al 1810, quando la società fallì dopo aver pubblicato una ventina di tomi.
Dal 1811 al 1813 il L. fu a Treviso, dove riuscì a mantenersi insegnando belle lettere e storia. Morta la seconda moglie, tornò a Venezia, dove visse in grande miseria durante il blocco del 1813-14.
Nel 1815 curò, con il solito scarso successo, una Raccolta di memorie e dissertazioni agrarie (Alvisopoli). Nel 1817 pubblicò due opuscoli dedicati all'"ordine" al quale aveva appartenuto (De' veneti originari cittadini. Raccolta di aneddoti sommari e catalogo e Dell'origine e provenienza in Venezia de' cittadini originari, stampati a Venezia rispettivamente da P. Zerletti e da A. Casali). Nel 1820 uscì presso Molinari un opuscoletto, le Memorie per servire alla storia della medicina e de' medici. In quegli anni indirizzò una lettera sull'agricoltura All'egregio ed ornatissimo signore abate Angelo Regazzi cooperatore in S. Pietro di Venezia (Venezia, s.d.).
Ebbe una terza moglie, l'ex patrizia Luigia Tron. Morì nel 1822, "miserabilissimo nella parrocchia di S. Canciano" (Cicogna, 1827).
Undici fascicoli di "Opere varie", tra i quali tre di lettere in larga maggioranza indirizzate al L. e ricopiate da lui intorno al 1819, tre di poesie e cinque di materiali diversi (saggi, traduzioni, raccolte di aneddoti ecc.) sono in Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Correr, 121-123; una Ciccalata intorno alla nascita del teatro, ibid., 974/4; lettere originali del e al L. in P.D., 586, c/CVIII e nell'Epistolario Moschini, sub voce.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, b. 422; Misc. codd., I, St. veneta, 13: G. Tassini, Cittadini, V, c. 1180; T. Toderini, Genealogia delle famiglie venete ascritte alla cittadinanza originaria, II, b. 6, c. 1130 (certificato di battesimo, del matrimonio dei genitori e carte del processo per l'"approvazione" quale cittadino originario); E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, II, Venezia 1827, p. 373; Id., Saggio di bibliografia veneziana, Venezia 1847, p. 443; Cenni genealogici della famiglia Longo, Treviso 1863; E. Masi, La vita, i tempi, gli amici di F. Albergati Capacelli, Bologna 1878 (ad nomen); G. Biagi, Un avventuriere onorato, in Aneddoti letterari, Milano 1887, pp. 77-94; A. Serena, L'odissea di un editore (A. L.), Treviso 1911; F. Nani Mocenigo, Della letteratura veneziana del secolo XIX, Venezia 1916, pp. 29 s.; A. Serena, Il primo fondatore della tipografia Longo, Treviso 1926; G. Auzzas, Ricordi personali ememoria del Veneto, in Storia della cultura veneta, 6, Dall'età napoleonica alla prima guerramondiale, a cura di G. Arnaldi - M. Pastore Stocchi, Vicenza 1986, pp. 284-289; P. Tessitori, "Basta che finissa sti cani". Democrazia e polizia nella Venezia del 1797, Venezia 1997, pp. 191, 320, 373; Enc. Italiana, XXI, p. 470.