LOREDAN, Antonio
Nacque a Venezia nel 1446 circa da Lorenzo di Bertucci del ramo di S. Canciano e dalla seconda moglie Marina Contarini di Giovanni. Ebbe tre fratelli, Gerolamo, Alvise, Tommaso (altri due, Bortolo e Piero, erano morti alla nascita), e una sorella, Andriana.
Nel 1482 il L. contrasse matrimonio con Franceschina, figlia del procuratore di S. Marco Giovanni Moro di Baldissera, da cui non ebbe discendenza. Un figlio naturale, Lorenzo, è citato nel testamento.
Entrato in Maggior Consiglio attorno al 1466, il 5 ott. 1475 il L. fu eletto alla carica di auditore vecchio, magistratura trecentesca con funzioni d'appello per le cause civili della Dominante, Dogado e Terraferma. Il 28 febbr. 1480 fu tra gli eletti alle Rason nove, organo preposto alla revisione contabile dei fondi pubblici. Nel dicembre 1482 fu prescelto per la prima missione diplomatica quale ambasciatore ordinario della Serenissima alla corte di Francia e il 1° ott. 1483 il Senato lo incaricò di presentare le felicitazioni al nuovo re Carlo VIII. Rientrato in patria nel 1484, il 17 agosto ricevette dal Senato un pubblico elogio per avere concluso un accordo di pace con il nuovo re. Il 12 maggio 1485 fu tra i prescelti dal Senato all'ambasciata straordinaria, con Bernardo Bembo, Pietro Diedo e Luigi Bragadin, per congratularsi con il neoeletto pontefice Innocenzo VIII. La delegazione partì da Venezia con 25 cavalli, due stallieri, un notaio di cancelleria e un appannaggio personale di 100 ducati cadauno per le spese di rappresentanza. Al L. fu poi delegato l'incarico di ambasciatore ordinario presso la S. Sede, carica che però fu costretto a lasciare anzitempo, richiamato in patria per difendersi da accuse a lui mosse dinanzi il Consiglio dei dieci. I genealogisti Barbaro e Cappellari attribuiscono ciò a mala amministrazione o addirittura sorvolano sul capo di accusa, né lo specifica Cicogna. Il reato, come chiaramente espresso nelle "parti" del Consiglio dei dieci, fu quello di sodomia.
I Dieci, il 7 sett. 1486, diedero inizio alle indagini istituendo un collegio "contra sodomitas deputatum", che, dopo una variazione decisa il 5 ottobre, risultò composto da Nicolò Duodo, Domenico Marin, Pietro Donà e Marco Pesaro. Il 12 ottobre fu deciso di inviare alla corte papale Antonio Vinciguerra, per informare il L. e il suo segretario Bernardo Teatini del procedimento in corso e invitarli a ritornare a Venezia entro venti giorni. Il 3 gennaio i Dieci, ultimate le procedure informative (il fascicolo processuale non è pervenuto) elessero un ulteriore consiglio, composto da quindici membri, per emettere la sentenza a carico dei due contumaci.
Il 4 genn. 1487 il L. fu bandito per dieci anni, con tutte le severe clausole restrittive previste dal rito inquisitorio del tribunale dei Dieci, e la sentenza fu "pubblicata", cioè resa nota, anche in Maggior Consiglio. Perché il L. non reputò opportuno il ritorno a Venezia non ci è dato sapere, e neppure dove egli trovò rifugio negli anni del bando. Per disposizione del Consiglio dei dieci gli fu consentito, il 21 marzo 1492, il ritorno nella Dominante, per presentare le sue tardive difese e perorare l'annullamento della sentenza. Forse superiori ragioni politiche richiedevano un atto di clemenza da parte di uno Stato che avrebbe ancora usufruito dei preziosi servigi e delle sue comprovate capacità diplomatiche.
Malgrado l'annullamento del bando non compaia nella documentazione del Consiglio dei dieci, il L. fu designato, il 30 marzo 1493, alla carica di governatore alle Entrate, magistratura attiva nel campo delle riscossioni fiscali spettanti allo Stato e sul loro controllo e revisione. Quindi, il 25 sett. 1494, fu eletto tra i potenti componenti il Consiglio dei dieci, incarico che dovette lasciare anzitempo perché prescelto dal Senato, il 27 ottobre, quale ambasciatore, con Domenico Trevisan, al re di Francia Carlo VIII che, sceso in Italia con un grande esercito, aveva appena varcato il Po, vantando diritti di successione sul Ducato di Milano e sul Regno di Napoli.
Il 15 novembre fu comunicata ai novelli ambasciatori una commissione, in ben dodici punti, esaustiva dei desideri e degli intenti statuali, sottoscritta pure dal futuro doge L. Loredan in veste di savio del Consiglio; seguendo un preciso cerimoniale il L. e D. Trevisan furono incaricati di raggiungere al più presto il re per manifestare "congruas et debitas commendationes et oblationes", avvertirlo delle intenzioni bellicose dei Turchi giunte da Costantinopoli, supplicarlo quale "buono, e religioso e cristianissimo re" di prodigarsi per la "sicurtà della cristiana religione" (Romanin, p. 49) e, nel loro personale interesse, "parimenti armarsi per ogni caso che potesse avvenire" (Bembo, p. 92).
Incontrato Carlo VIII a Firenze e seguitolo nei suoi spostamenti in Italia, il 22 apr. 1495 ebbero dal Senato licenza di tornare in patria.
Il L. fu eletto il 19 marzo 1496 alla prestigiosa magistratura dei tre avogadori di Comun, ma nel 1498 fu chiamato a un'altra missione diplomatica. Morto improvvisamente a soli 28 anni Carlo VIII (7 aprile), il 4 maggio il Senato dispose di inviare in Francia tre ambasciatori, il L., Nicolò Michiel e Girolamo Zorzi, per presentare le felicitazioni della Repubblica al nuovo re Luigi XII.
Il 25 giugno fu loro consegnata apposita commissione, indicante le direttive da attuare per volontà della Serenissima. Nel loro passaggio per Milano avrebbero dovuto manifestare "la loro missione come di semplice ufficiosità verso del re" (Romanin, p. 101) per non destare sospetti nel duca Ludovico Maria Sforza detto il Moro, apertamente ostile alla Repubblica e preoccupato dalle rivendicazioni avanzate dal nuovo re francese come erede di Valentina Visconti. Giunti in Francia con ricchi doni ("ducento pelli di gibellini molto belle, co' peli canuti per entro sparsi tra 'l nero") e preceduti dall'invio di "sessanta falconi di quelli di Candia" (Bembo, p. 213), furono subito ricevuti in colloquio segreto da Luigi XII, che propose alla Serenissima una lega contro lo Sforza. Dopo avere riferito al Senato l'offerta, e ricevuta dallo stesso facoltà di stipulare eventuali accordi di pace e alleanza, il patto fu sancito a Blois il 15 apr. 1499. I contraenti promisero di essere alleati in perpetuo e di non dar aiuto l'uno ai nemici dell'altro; Venezia si impegnò a partecipare a un'eventuale guerra contro Milano fornendo a proprie spese almeno 1500 armigeri e 4000 fanti e, in caso di vittoria, avrebbe ottenuto il territorio e la città di Cremona, al di qua dell'Adda, a eccezione di Lecco; altre clausole furono inserite in rapporto a eventuali ostilità dei Turchi contro Venezia e della Germania contro la Francia.
Giunta a Venezia la notizia, il Senato dispose che il testo dell'accordo fosse pubblicamente letto in piazza S. Marco, ma l'evento fu funestato da "un gran vento che si levò, dibatté ed implicò lo stendardo della Republica nelle torricelle del tempio e stracciossene una gran parte" (ibid., p. 219).
Richiamato in patria il 14 settembre, il L. fu eletto il 22 genn. 1500 luogotenente della Patria del Friuli, ma dovette anzitempo lasciare il rettorato perché eletto, l'8 febbr. 1501, come ambasciatore alla corte di Massimiliano I d'Asburgo, con Girolamo Donà. I due ricevettero la commissione il 22 marzo e, accompagnati dal segretario Giampietro Stella, si recarono alla corte di Massimiliano per esortarlo a una guerra congiunta contro i Turchi.
L'incarico fu di breve durata e il L. fu richiamato in patria già il 14 maggio. L'11 luglio 1501 fu eletto podestà a Cremona, carica che però rifiutò. Continuò poi a svolgere incarichi di governo, non allontanandosi più dalla Dominante.
Il 30 luglio 1501 fu eletto tra i Tre giudici del procurator, carica a cui fu chiamato ancora il 20 apr. 1506, il 1° ott. 1507, il 3 ott. 1510. Fu savio del Consiglio da gennaio a giugno 1504, da giugno a dicembre 1505, dal 29 settembre al giugno 1507, da giugno a dicembre 1508, da giugno a settembre 1509 e, infine, da aprile a settembre 1512. Fu, inoltre, savio del Consiglio de addizione da giugno a settembre 1504. Il 1° ott. 1509 entrò nella "addizione" della Quarantia, come pure il 1° ott. 1512 e di nuovo il 1° ott. 1513.
Il L. morì a Venezia nel 1514.
Il 31 dic. 1510 aveva consegnato al notaio il testamento autografo, sottoscritto pure dall'allora doge L. Loredan. Fu sepolto nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo, al cui convento assegnò 5 ducati; oltre a numerosi lasciti di carità, tutelò i diritti della moglie in vita, ripartendo altresì altre proprietà tra i fratelli e la loro discendenza maschile.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta, 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, IV, c. 353; 74: Memorie istorico-cronologiche… (attribuito a P. Gradenigo), cc. 17v, 37r, 109r, 119r; Misc. codd., III, Codd. Soranzo, 32: G.A. Cappellari Vivaro, Campidoglio veneto, II, cc. 686-687; Avogaria di Comun, reg. 107: Cronaca matrimoniale, c. 170r; Segretario alle Voci, Misti, regg. 6, cc. 8r, 37v, 49v; 7, cc. 2v, 8v-9r, 37r; 8, c. 23v; 9, cc. 13v, 19r, 20v; Elezioni in Senato, reg. 1/a, cc. 1-2, 3v-4r, 5v, 95r; Consiglio dei dieci, Misti, regg. 23, cc. 44r, 50r, 54r, 59r, 72; 25, c. 81r; Senato, Deliberazioni, Secreta, regg. 30, c. 151v; 31, cc. 80v-82v, 92v-93r; 32, cc. 136v, 146-147; 35, cc. 36r, 41v-43r, 92v; 37, cc. 12v, 23, 26-27r, 81r, 87v, 94, 120v-121r; 38, cc. 108r, 118v, 122v-123r, 133r, 151r, 159; Notarile, Testamenti, Notaio I. Bagnolo, b. 1153, n. 118; I Libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, VI, Venezia 1903, pp. 35, 39, nn. 133, 149; P. Bembo, Istoria veneta… tradotta in lingua italiana, Venezia 1747, pp. 92 s., 212 s.; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, II, Venezia 1827, p. 67; S. Romanin, Storia documentata della Repubblica di Venezia, V, Venezia 1856, pp. 49, 101 s.; M. Sanuto, I diarii, I, Venezia 1879, coll. 954, 997, 1049 s.; G. Soranzo, Bibliografia veneziana, Venezia 1885, pp. 73, 75.