MANZONI (Manzi), Antonio (detto il Pellegrino)
Nacque a Padova, agli inizi della signoria di Ezzelino da Romano (1237-56), da Marsilio di Andrea Clarioto e da Dolcemia. I Manzoni, ricchi esponenti del ceto popolare, esercitavano all'origine il mestiere di macellai. Il nonno del M. era stato ufficiale del Comune di Padova.
Se questi pochi dati possono essere ricavati per via documentaria o da una attendibile cronachistica padovana del Due-Trecento, la vita del M. si può ricostruire solo sulla base di testi agiografici, soprattutto la Vita anonima (in Acta sanctorum), scritta fra il 31 marzo e il 12 ag. 1267 probabilmente in funzione della richiesta di canonizzazione.
Secondo questo testo, a soli 10 anni il M. lasciò Padova per intraprendere una vita di penitenza e servizio. Trascorse tre anni a Bazzano, che nel Quattrocento Sicco Polenton identificò con l'omonimo centro del Bolognese, al servizio di un sacerdote, praticando una vita di severa ascesi sino a che si recò in pellegrinaggio a Roma, dove visitò i luoghi santi, digiunando, pregando e distribuendo ai poveri le elemosine ricevute in sovrappiù rispetto allo stretto necessario. Affrontando i pericoli del viaggio per terre sconosciute, raggiunse poi San Giacomo di Compostela e da lì si diresse a Colonia, per venerare le reliquie delle 11.000 vergini e i corpi dei magi. Dopo cinque anni trascorsi pellegrinando e praticando le virtù cristiane, tornò a Padova, ma i parenti lo respinsero. Recatosi a S. Maria di Porciglia, monastero benedettino doppio di Padova dove vivevano due sue sorelle, fu da esse trattato come un estraneo.
Abbandonato da tutti e ridotto in povertà, morì il 30 genn. 1267, data registrata nell'obituario del monastero, nel cui cimitero fu sepolto dai monaci (Padova, Biblioteca civica, Mss., B.P.948, c. 3v).
Tra il 2 febbraio e il 31 marzo 1267 il notaio Tealdo di Soligo registrò 38 guarigioni prodigiose che si sarebbero verificate sulla sepoltura del Manzoni. Il notaio stese due copie delle registrazioni dei miracoli: una conservata tra le proprie imbreviature, l'altra in rotolo di pergamena (Arch. di Stato di Padova, Corporazioni soppresse, Monasteri padovani, S. Pellegrino, b. 105). Tealdo annotò le generalità dei guariti, l'infermità dalla quale erano afflitti, i nomi dei testimoni che avevano conosciuto il miracolato quando era malato ed erano in grado di attestarne la guarigione. È dunque possibile conoscere la nascita, le primissime manifestazioni e lo sviluppo iniziale del culto sul doppio binario degli atti notarili di Tealdo di Soligo e della leggenda agiografica che, nella parte relativa ai miracoli, si fonda certamente su di essi. Emergono notizie dettagliate sugli spazi (il cimitero monastico), i gesti (lo stendersi del malato sul tumulo), le espressioni esteriori della devozione (ex voto).
La Vita, attenta a mettere in luce anche gli aspetti ecclesiali del culto e gli elementi giustificativi per un'eventuale canonizzazione del M., sottolinea come la predicazione e la confessione sacramentale accompagnassero le manifestazioni devote ed evidenzia una duplice modalità di comunicazione del messaggio religioso legato al verificarsi di guarigioni miracolose sulla tomba del M.: solenni sermoni sono infatti rivolti agli studenti e al clero, prediche al popolo dei due sessi.
Negli ultimi mesi del 1267 il corpo del M. fu forse traslato all'interno della chiesa di S. Maria di Porciglia mentre gli eventi prodigiosi si ripetevano: dal 12 ag. 1267 al 17 apr. 1270 altri undici miracoli furono registrati da vari notai, a testimonianza dell'espansione di un culto che - nella promozione della fama taumaturgica del M., nella richiesta di grazia dei fedeli, nella numerosa presenza di testimoni disposti a garantire l'autenticità degli atti notarili attestanti le guarigioni - coinvolse, oltre alla comunità monastica porciliense, religiosi di altri monasteri padovani e non padovani, il clero della parrocchia e di altre chiese urbane e suburbane e una cospicua componente di laici (artigiani, notai, giudici, medici). Il culto si radicò negli ambienti padovani delle arti, della cultura, delle professioni; si diffuse la speranza nella canonizzazione del M.; nacque una confraternita, attestata nel 1298. Ma il M. non fu canonizzato e, anzi, si sparse con il tempo la voce che il papa (ma è noto quale) si sarebbe rifiutato adducendo il pretesto che i Padovani avevano già un santo con quel nome. La generale riduzione delle canonizzazioni nel Duecento, le cautele della Chiesa di fronte al moltiplicarsi di culti locali per santi laici (solo il 17 apr. 1270 fu resa davanti al vescovo di Padova la testimonianza di una guarigione per intercessione del M.) e la rivalità tra ordini religiosi spiegano il mancato riconoscimento ufficiale della santità del Manzoni. Salimbene de Adam interpreta bene la diffidenza nei confronti di simili fenomeni di devozione spontanea quando, senza mezzi termini, osserva che, come era avvenuto in altre città per altri santi laici, i Padovani erano usciti di senno per il Manzoni. La freddezza delle autorità ecclesiastiche e di certi ambienti religiosi legati agli Ordini mendicanti non impedì tuttavia ai Padovani di continuare a venerare il M. attorno al quale vennero coagulandosi devozione e patriottismo comunale. In realtà il culto per il beato si inserisce nel clima ideologico e politico della Padova postezzeliniana. Non a caso la Vita del M. si apre con una descrizione a tinte fosche delle condizioni della Marca trevigiana al tempo di Federico II e di Ezzelino (III) da Romano che riecheggia puntualmente temi e motivi della propaganda antiezzeliniana e dell'ideologia comunale di Padova che della lotta alla tirannide aveva fatto la propria bandiera. Riprese letterali e consonanza con idee e contenuti della Vita del M. si riscontrano per esempio nella cronaca dello Pseudo Favafoschi e nell'Ecerinide di A. Mussato che a quegli orientamenti politico-culturali davano voce (Rigon, pp. 264-267). Il Comune di Padova si fece carico di fatto, fin dall'inizio, del culto del beato. Risale al 1269 lo statuto in base al quale il podestà, gli Anziani, gli ufficiali del Comune, con i gastaldi comunali, ogni anno, nella festività del M., dovevano andare in processione, restando chiuse le botteghe intorno al mercato a partire dalla vigilia della festa. Nuovi statuti, con ritocchi e precisazioni, furono emanati nel 1272 e nel 1300 mentre, a testimonianza della continuità del culto durante tutto il XIV secolo, stanno da una parte l'intenso lavorio documentario a lode del M. e per la conservazione della sua memoria, dall'altra la comparsa di sue rappresentazioni figurate. Nel 1303 il notaio Tealdo di Fino, nipote e successore di Tealdo di Soligo, autorizzato dal Consiglio maggiore della città trascrisse in fascicolo le imbreviature stese dal nonno nel 1267; nel 1324 il notaio della curia vescovile Bartolomeo Chieregaccio ne realizzò una copia (Per André Vauchez…, pp. 9-13, 23-26). Sembra che intorno al 1380 il notaio Antonio da Pozzonovo abbia scritto un Liber miraculorum.
Nel 1303-05 Giotto raffigurò il M. nella scena del Giudizio universale della cappella degli Scrovegni. Con molta probabilità, anche nella decorazione pittorica della zona basamentale del giro absidale della cappella, databile verso la fine del terzo decennio del XIV secolo, è da riconoscere il M. nella figura di un giovane pellegrino. Giusto de' Menabuoi lo ritrasse attorno al 1375, con altri santi e sante della Chiesa padovana, nella predella del polittico del battistero; a lui è attribuito anche un affresco con immagine aureolata del M., oggi nel Museo civico di Padova. Al XV secolo risalgono l'iniziale miniata con figura del M. dell'Archivio di Stato di Padova (Corporazioni religiose soppresse, Monasteri padovani, S. Pellegrino, 105: Sicco Polentone, Vita e miracoli del b. Antonio Pellegrino) e la raffigurazione nel codice B.P.822.XVI della Biblioteca civica di Padova.
La ripresa del culto per i santi locali nel '400 coinvolse anche il M., al quale dedicò un carme l'umanista Antonio Baratella (1440) e del quale tra il 1436 e il 1437 riscrisse la vita il notaio umanista e cancelliere del Comune Sicco Polentone con integrazioni e varianti rispetto alla leggenda duecentesca (Vita…); nel 1446 e nel 1464 ne furono fatte copie che circolarono in ambienti religiosi e tra i laici devoti.
A seguito del processo per il riconoscimento del culto, celebrato nel 1780, papa Pio VI concesse nel 1781 l'ufficio in onore del beato alle monache di S. Maria di Porciglia, esteso a tutta la diocesi di Padova il 26 nov. 1803.
Fonti e Bibl.: M. Savonarola, Libellus de magnificis ornamentis regie civitatis Padue, a cura di A. Segarizzi, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XXIV, 15, pp. 11-13, 17; Acta sanctorum Februarii, I, Venetiis 1735, col. 264; J.B. Mittarelli - A. Costadoni, Annales Camaldulenses…, IV, Venetiis 1759, pp. 371 s.; V, ibid. 1760, pp. 80-85 e App., coll. 176-194 (e cfr. pp. 94 s., 103 s., 114, 135); Vita beati Antonii Peregrini edita ex codice Patavino 559 Bibliothecae Antonianae, in Analecta Bollandiana, XIII (1894), pp. 417-425; Miracula beati Antonii Peregrini…, ibid., XIV (1895), pp. 108-114; C. Somigli, A. il Pellegrino di Padova, beato, in Bibliotheca sanctorum, II, Roma 1962, coll. 188 s.; A. Rigon, Dévotion et patriotisme communal dans la genèse et la diffusion d'un culte: le bienheureux Antoine de Padoue surnommé le "Pellegrino", in Faire croire. Modalités de la diffusion et de la réception des messages religieux du XIIe au XVe siècle. Actes…, 1979, Roma 1981, pp. 259-278 (ripubblicato in italiano con piccole variazioni in Id., Dal libro alla folla. A. di Padova e il francescanesimo medioevale, Roma 2002, pp. 191-212); Id., A. Pellegrino, beato, in Santi e beati della diocesi di Padova, Padova [1995], pp. 19-25; Id., Pellegrino sulla terra. Un santo per la città, in Incontrarsi a Emmaus (catal.), a cura di G. Mariani Canova - A.M. Spiazzi - C. Valenzano, Padova 1997, pp. 95-97; I manoscritti medievali di Padova e provincia, a cura di L. Granata et al., Venezia-Firenze 2002, scheda 6 pp. 7 s.; Per André Vauchez. I miracoli di A. il Pellegrino da Padova (1267-1270), a cura di D. Gallo, Padova 2003; E. Cozzi, Pellegrino da Padova. Sull'iconografia di un beato del Duecento, in Padova e il suo territorio, XX (2005), 118, pp. 4-7.