MARAINI, Antonio
Nacque a Roma il 5 apr. 1886 da Enrico, imprenditore originario di Lugano, e da Luisa Arnaldi, ligure. Manifestò precocemente il suo talento artistico e durante il liceo frequentò i corsi serali dell'Accademia di belle arti, ma la famiglia lo spinse comunque a laurearsi in giurisprudenza (Maraini, 1999). Seguì perciò autonomamente i corsi di storia dell'arte di Adolfo Venturi e Pietro Toesca, corsi di incisione e si esercitò alla conoscenza dell'antico nel Museo dei gessi (Ojetti). Nella casa paterna, in cui si riuniva un vero e proprio cenacolo culturale, poté inoltre conoscere gli artisti G.A. Sartorio, A. De Carolis, G. Prini, A. Zanelli, G. Bargellini, e il compositore A. Gasco. Frequentò assiduamente soprattutto lo studio di Bargellini attraverso il quale poté affinare la conoscenza del simbolismo e delle secessioni europee, e fu molto vicino anche a Prini, che lo ritrasse nel 1907 (Bardazzi, 1984).
Prima opera scultorea del M. fu un Perseo di bronzo del 1910 (Firenze, collezione Maraini), con il quale vinse una medaglia d'argento all'Esposizione universale di Bruxelles, e che espose anche alla X Biennale veneziana del 1912 (Bardazzi, 1984). Nel 1910-11 fu attivo come allievo e aiuto nello studio di Angelo Zanelli proprio mentre questi attendeva al monumentale fregio per l'Altare della patria, lavoro a cui il M. partecipò e di cui mantenne una viva impressione, tanto da dedicare allo stesso Zanelli uno specifico omaggio quando avviò nel 1911 la sua attività di critico d'arte sul giornale La Tribuna (2 dic. 1911: ibid.).
Nel 1911 il M. aveva conosciuto a Roma la scrittrice inglese di origine polacca Yoi Pawlowska Crosse, che ritrasse in diverse opere (tra le quali Yoi con l'idolo egizio, 1911: ibid.). I due si trasferirono a Firenze, dove nel 1912 nacque il loro primo figlio, Fosco; il 26 marzo 1914 il M. e la Pawlowska Crosse si sposarono a Londra, e nel 1917 nacque il loro il secondogenito, Grato.
Nel 1912 il M. aveva vinto a Cividale del Friuli il concorso per un Monumento all'attrice Adelaide Ristori, scomparsa nel 1906 e originaria della cittadina friulana.
Il monumento, eseguito nel 1913-14, non poté essere inaugurato a causa dello scoppio della prima guerra mondiale (De Sabbata, 2005). Rivela pienamente la vocazione architettonica del M. che qui progetta una statua a figura intera da collocarsi su un alto basamento di conci in pietra tra due gigantesche colonne che formano una sorta di proscenio. Le colonne sono sormontate dalle maschere della Commedia e della Tragedia e con il suo ampio gesto l'attrice si approssima a quest'ultima come si affacciasse verso il pubblico, avvolta da una tunica, con sapore fortemente dannunziano e scenografico.
Nel 1913 il M. presentò tre opere alla I Mostra della Secessione romana, il Ritratto dell'avvocato Arnaldi, il Ritratto di Adelaide Maraini e il Rilievo dell'Ara Dantis, oggi disperso (Bardazzi, 1984; Spadini, in Secessione romana…, 1987).
In questi primi anni molteplici sono le influenze che permeano le sue opere: permane la lezione di Zanelli in cui strettamente si intrecciano la tradizione ottocentesca e la più moderna Secessione; è presente l'influenza di A. Rodin, ma anche dell'arte preraffaellita inglese mediata dalla raffinata cultura della moglie Yoi; e a queste si aggiunge il notevole interesse per l'opera di Ivan Meštrovič, di cui il M. aveva potuto ammirare le statue per il tempio del Kosovo all'Esposizione universale di Roma del 1911.
Nel 1915 il M. divenne redattore capo della sezione artistica della Tribuna di Roma; ma il successivo coinvolgimento nella prima guerra mondiale, durante la quale fu ufficiale dell'aeronautica, rallentò le sue numerose attività. Nell'immediato dopoguerra si intensificò l'amicizia con Ugo Ojetti, un rinnovato interesse per P. Cézanne, che riteneva il maestro della sintesi delle forme in chiave architettonica, e la stima verso artisti contemporanei che sentiva affini, come lo scultore Libero Andreotti e il pittore Felice Carena. Le opere scultoree che ne seguirono si caratterizzano per un'accurata ricerca della sintesi formale, improntata ad armoniose formule geometriche, debitrici verso il pensiero di Adolf Hildebrand.
Così i bassorilievi Intimità del 1919, il Bacio del 1920 (Lima, Museo d'arte italiana) e il Bimbo svenuto (Campana) del 1921, di cui si conservano versioni nella collezione Maraini di Firenze (Bardazzi, 1984), illustrano i temi della serenità familiare attraverso il colloquio tra madre e figli con un esito decorativo che, sempre all'interno della tradizione, unisce riferimenti rinascimentali e gusto déco, con rara preziosità tecnica.
In questi anni crebbe l'interesse del M. per le arti decorative, in cui si inserisce la sua partecipazione alla fondazione a Roma, il 26 maggio 1920, dell'AMI (Associazione d'arte moderna italiana) con la presidenza di Scipione Borghese, e con il coinvolgimento di altri artisti, tra i quali De Carolis.
L'AMI durò circa un anno, e nella sua sede romana, in via Veneto, il M. tenne nel 1921 la sua prima mostra personale, da lui accuratamente progettata anche nei dettagli dell'arredo. La mostra, in cui espose tra l'altro alcuni mobili da lui disegnati, fu favorevolmente recensita da Emilio Cecchi (ibid.).
Nel 1921 vinse il premio della critica della I Biennale romana per i suoi articoli su La Tribuna. Nel 1922-23 pubblicò sulla rivista La Ronda alcuni brani da lui tradotti del saggio di Hildebrand Il problema della forma, contribuendo così a divulgarne le idee e animare il dibattito artistico. La conferma di una fama ormai raggiunta venne nel 1924 con l'allestimento di una sala personale alla XIV Biennale di Venezia con 48 opere, tra cui alcuni mobili da lui progettati.
La presentazione di Lionello Venturi sottolineava proprio le valenze decorative delle sue opere, sapientemente ambientate nella sala e della loro razionale costruzione scultorea. In quell'occasione la Galleria d'arte moderna di Milano acquistò il bassorilievo in pietra Intimità del 1919 (Caramel - Pirovano).
Nel 1922 il M. avviò l'importante collaborazione, destinata a durare nel tempo, con l'architetto Marcello Piacentini, iniziata con le Tre statue allegoriche per il nuovo teatro Savoia di Firenze (poi cinema Odeon), costruito dallo stesso Piacentini. Le tre figure in legno scolpito, dipinto e dorato, disposte sul boccascena, si armonizzano con gli Efebi bronzei di B. Morescalchi e i fregi in stucco di G. Gronchi.
Nel 1923 organizzò la presentazione della sezione toscana alla I Mostra di arte decorativa di Monza.
Del 1925 è la statua di S. Cecilia (Firenze, collezione Maraini), aggraziata figura ancora memore dell'ammirazione per Jacopo di Piero (Jacopo della Quercia) e per le sue eleganti statue lignee, ma arricchita con inserti capricciosi come il putto accovacciato con l'organetto e il fanciullo flautista, che si inseriscono nell'onda sinuosa della veste. Riferimenti rinascimentali ancora si intrecciano con il linearismo déco in quest'opera di cui una versione in bronzo fu presentata alla Biennale di Venezia del 1930 (Bardazzi, 1984). L'anno seguente il M. eseguì i bassorilievi destinati alla tomba di Giacomo Puccini a Torre del Lago e la Via Crucis per il duomo di Rodi.
Nella decorazione della cappella funeraria di Puccini, morto nel 1924, progettata dall'architetto Vincenzo Pilotti per la villa Puccini a Torre del Lago nel 1926, fu coinvolto dall'amico De Carolis che vi eseguì le decorazioni pittoriche; il M. fornì invece i due bassorilievi raffiguranti la Musa che piange la morte del maestro e la Musa che ne canta l'immortalità, di cui i gessi sono conservati presso la collezione Maraini (ibid.).
Tra il 1924 e il 1928 si colloca anche un avvicinamento del M. al gruppo del Novecento di Margherita Sarfatti: il M. partecipò alla I Mostra del Novecento italiano del 1926 con tre stazioni della Via Crucis destinata al duomo di Rodi. Molto più sentita e determinante fu l'amicizia con Giò Ponti, direttore della rivista Domus, con cui il M. collaborerà spesso. Con Ponti condivise la passione per le arti decorative e l'interesse per l'architettura razionalista (G. Ponti, Alcuni monumenti funerari d'oggi, in Domus, 1° nov. 1928, pp. 14 s.).
Altra importante amicizia intellettuale e consonanza di idee fu quella con lo scrittore e filosofo inglese Aldous Huxley, che soggiornò a Firenze negli anni 1923-30 e che il M. conobbe anche grazie alla moglie Yoi. Testimonianza di tale reciproca stima fu la Medaglia di Aldous Huxley che il M. presentò alla Biennale di Venezia del 1928 (oggi nota dalla versione in cera della collezione Maraini di Firenze: Bardazzi, 1984).
Circa dalla metà degli anni Venti il M. si trasferì con la famiglia in una casa con ampio giardino nella allora periferia di Firenze.
L'abitazione, detta Torre di sopra, fu ristrutturata, arredata, il parco ornato con opere del M. e divenne un vero esempio di abitazione moderna e raffinata (N.G. Fiumi, Casa colonica ora casa di A. M., in Domus, 15 apr. 1928, pp. 10-14, 53).
Nel 1927 il M. pubblicò a Firenze Goya incisore; nel 1929 la Sarfatti gli propose di scrivere un saggio sulla scultura del Novecento da pubblicarsi con l'editore Cremonese di Milano. Il progetto non andò in porto ma il testo fu redatto, probabilmente nel 1930, corredato di numerose illustrazioni e infine pubblicato postumo nel 1986 (Bardazzi, 1986).
Il saggio consente di analizzare anche il M. critico e storico d'arte, che qui si rivela capace di una visione ampia, di respiro europeo, con attenzione e stima anche per artisti lontani dalla sua linea di ricerca. Pur prediligendo E.A. Bourdelle, A. Maillol, I. Meštrovič, non dimentica il ruolo di U. Boccioni, A. Modigliani o C. Brâncus¸i. Se tra gli italiani la stima va in modo particolare ad Andreotti, R. Romanelli, G.A. Selva, la citazione soprattutto di M. Marini è indicativa di un'attenzione al nuovo senza eccessivo pregiudizio. Per il M. la linea della scultura moderna libera dal bozzettismo e dalla disgregazione della forma dell'impressionismo, deve essere quella della recuperata solidità e concretezza formale.
Gli anni Trenta vedono comunque un mutamento sempre più profondo nell'attività del Maraini. Dall'ottobre 1927 fino al 1942 fu segretario generale della Biennale di Venezia; ebbe inoltre incarichi sempre più importanti nel sindacato, poiché dal 1927 fu segretario del Sindacato regionale degli artisti toscani e dal 1932 commissario del Sindacato nazionale degli artisti.
L'attività organizzativa e la vita di relazione si intrecciarono quindi sempre più fittamente a quella di critico d'arte e di artista. Inoltre, con il prevalere delle commissioni per opere da inserire in edifici pubblici, il suo linguaggio scultoreo si avvicinò alla monumentalità per esempio di Maillol, unendovi una più forte ripresa della tradizione classica e rinascimentale, nello sforzo di conciliare la lezione del passato con le esigenze della sintesi decorativa. Di impronta michelangiolesca è infatti il muscoloso S. Giorgio in travertino, inginocchiato, come bloccato nelle sue masse squadrate, benché ingentilito in alcuni dettagli, che con il S. Giovanni decora il frontale della galleria Vittorio Emanuele III (poi Garibaldi) di Genova, del 1929-30.
Tra le opere di grande rilevanza di questi anni spicca la porta bronzea per la basilica romana di S. Paolo fuori le Mura, per la quale vinse un concorso nel 1929 e i cui battenti vennero fusi nel 1931 dalla fonderia di Mario Nelli a Firenze, come indica l'iscrizione sulla porta stessa.
Adattandosi alle esigenze di un edificio di tale tradizione artistica e religiosa il M. adottò un linguaggio descrittivo e naturalistico, fitto di citazioni colte. La porta illustra in dieci episodi la vita e il magistero di s. Pietro e s. Paolo, attraverso la scelta di soggetti di forte portata simbolica, secondo una iconografia concordata con il cardinale Ildefonso Alfredo Schuster, abate di S. Paolo e illustre figura di studioso, poi arcivescovo di Milano. Sul battente sinistro: Pietro battezza nelle catacombe, la Fondazione della Chiesa romana, la Consegna delle chiavi, il Domine quo vadis, la Crocifissione di Pietro; sul battente destro: S. Paolo giunge a Roma, S. Paolo predica ai Romani, la Conversione di s. Paolo, la Conversione del centurione, la Decollazione di s. Paolo. Nella parte superiore: lo stemma di Pio XI, l'emblema della basilica, gli emblemi di Roma e del fascismo accompagnati da due Angeli. Un tralcio di vite ad agemina d'argento traccia una croce interna e suddivide le formelle; mentre al suo interno si dispongono i Simboli degli evangelisti e i Medaglioni con busti di apostoli su sfondo azzurro di lapislazzuli. Raffinatezza esecutiva, pieno ritorno alla tradizione, eclettismo temperato da eleganti simmetrie caratterizzano quest'opera.
Negli anni Trenta si fece più stretta anche la collaborazione con Piacentini.
Per l'edificio milanese della Cassa delle assicurazioni sociali (oggi URP-INPS, ai nn. 8-10 di piazza Missori) nel 1930 ornò il portale con bassorilievi allegorici, tra i quali, sul coronamento, le poderose figure della Providentia e della Previdentia, citazione dei profeti e delle Sibille rinascimentali, e, sui fianchi del portale, le personificazioni della Domus, del Labor, dell'Amor, della Fides, della Salus e della Virtus, queste eseguite con un gusto decorativo più moderno e sintetico. Sempre con Piacentini collaborò nell'ampio intervento urbanistico per la piazza della Vittoria di Brescia, del 1932, in cui inserì il suo arengario, pulpito civile di ispirazione comunale le cui formelle illustrano gli episodi salienti della vita e della cultura artistica e religiosa di Brescia, che il M. sintetizza con un linguaggio volutamente didascalico e semplificato, ma senza rinunciare al linearismo, con ricordi perfino del giovanile linguaggio simbolista, né dimenticando il gioco di sapienti simmetrie decorative.
Per il palazzo delle Corporazioni di Roma, al n. 23 di via Veneto, all'angolo con via Molise, costruito da Piacentini e G. Vaccari, eseguì nel 1932 un Balcone in marmo rosa, suddiviso in formelle rettangolari contrassegnate dalle figurazioni che illustrano le diverse corporazioni (quali Credito, Industria, Trasporti, Agricoltura), con linee squadrate e sobrietà descrittiva, in armonia con l'aspetto massiccio dell'edificio.
Nel 1932 ancora un'opera di "decorazione", i fregi di ispirazione classica, in bronzo, che ornano la monumentale scala a doppia elica dell'atrio dei Musei Vaticani, progettata dall'architetto G. Momo, atrio nel quale trovano posto anche alcuni suoi bassorilievi.
Nel 1934 eseguì il Monumento ai caduti per la città di Prato, nella piazza antistante la chiesa di S. Maria del Calcinaio, centrato sulla figura dell'angelo che sostiene la madre dolente. Nel 1938 ricevette ancora un incarico per un edificio pubblico: il bassorilievo con figure allegoriche per il palazzo di Giustizia di Milano, raffigurante La Giustizia cui si sottomette la Colpa (Milano anni Trenta…).
In questi anni il M. si prodigò inoltre nella sua attività di organizzatore, soprattutto della Biennale di Venezia con lo scopo di valorizzare l'arte italiana contemporanea, anche con esposizioni all'estero. Per la Biennale istituì l'Archivio storico dell'arte contemporanea e volle aprire la sezione della Mostra cinematografica. Collaborò anche in qualità di critico d'arte, oltre che con La Tribuna, con numerose riviste tra le quali Domus, Dedalo, La Ronda, L'Illustrazione italiana, The Studio. Convinto assertore della necessità di convogliare le energie creative di artisti e architetti nelle opere pubbliche in un recuperato spirito di fierezza nazionalistica, in questi stessi anni il M. allargò i propri interessi alla sfera politica: dal 1934 fu deputato e dal 1939 consigliere nazionale.
Tra le numerose sue sculture di carattere funerario sono il cippo marmoreo di Agnes Flint, nel cimitero di Firenze eseguito entro il 1928, con bella ed elegante linea déco e La Pietà della tomba De Sanctis (1935) per il cimitero Monumentale di Milano, più tradizionale nel richiamo a Michelangelo e ad Andreotti.
Gli anni della guerra e dell'immediato dopoguerra portarono invece a un deciso ripiegamento del M., che si ritirò nella casa fiorentina di Torre di sopra, dedicandosi soprattutto al riordino dei suoi documenti, con cui costituì un fondo prezioso oggi conservato presso l'Archivio della Galleria nazionale d'arte moderna di Roma.
Il M. morì a Firenze il 23 maggio 1963.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. stor. della Galleria nazionale d'arte moderna, Fondo Maraini; U. Ojetti, Ritratti di artisti italiani, Milano 1923, pp. 199-212; Notizie sulla nuova porta di bronzo di S. Paolo, in Arte cristiana, XIX (1931), 10, pp. 269-276; P. Torriano, Artisti italiani. A. M., in L'Illustrazione toscana dell'Etruria, settembre 1939, pp. 6-11; L. Caramel - C. Pirovano, Galleria d'arte moderna. Opere del Novecento, Milano 1974, p. 45, tav. 718; F. Bardazzi, A. M. scultore, Firenze 1984 (con ampia bibl.); Id., introduz. ad A. Maraini, Scultori d'oggi, Firenze 1986; P. Spadini, A. M.: la gestione della Biennale di Venezia…, in E42. Utopia e scenario del regime, II, Urbanistica, architettura, arte e decorazione (catal., Roma), Venezia 1987, pp. 261-265; Id., in Secessione romana 1913-1916 (catal.), a cura di R. Bossaglia - M. Quesada - P. Spadini, Roma 1987, p. 298; L. Laureati - G. Pratesi, A. M., 1900-1940: sculture e disegni, Milano 1987; P. Spadini, A. M. artista e critico del Ventennio, in Officina della critica. Libri, cataloghi e carte d'archivio (catal. Roma), a cura della Galleria nazionale d'arte moderna, Milano 1991, pp. 69-76; Scultura italiana del primo Novecento (catal., Mesola), a cura di V. Sgarbi, Casalecchio di Reno 1992, pp. 138 s.; A. Panzetta, Diz. degli scultori italiani dell'Ottocento e del primo Novecento, Torino 1994, I, p. 176; II, tav. 497; S. Gnisci, in M. Quesada, Museo d'arte italiana di Lima, Venezia 1994, pp. 166-169; A. M. a Brescia: i modelli in gesso per l'arengario di piazza della Vittoria (catal.), a cura di L. Caramel, Brescia 1997; F. Maraini, Case, amori, universi, Milano 1999; Milano anni Trenta. L'arte e la città (catal.), a cura di E. Pontiggia - N. Colombo, Milano 2004, pp. 256, 262 s., 267; M. De Sabbata, Episodi monumentali nel primo Novecento in Friuli Venezia Giulia, in Scultura in Friuli Venezia Giulia. Figure del Novecento (catal., Pordenone), a cura di A. Del Puppo, Cinisello Balsamo 2005, pp. 39 s.; Id., Tra diplomazia e arte: le Biennali di A. M. (1928-1942), Udine 2006; R. Campana, A. M., in Cézanne a Firenze (catal., Firenze), a cura di F. Bardazzi, Milano 2007, p. 226; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, p. 50.