MARCELLO, Antonio
Figlio di Donato di Bernardo, che risiedeva a S. Maria Zobenigo, sestiere di S. Marco, e di Cassandra di Francesco Pisani, nacque a Venezia nel 1424.
Le fonti precisano che era soprannominato Poreto (poverino), epiteto difficilmente riconducibile alle sostanze, che possiamo ritenere verosimilmente robuste, dal momento che era primo cugino di Nicolò Marcello, eletto nel 1473; che nel 1445 sposò Elena, nipote di Andrea Vendramin, e che un suo figlio, Donato, fu procuratore di S. Marco. Dopo il matrimonio lasciò la casa paterna per spostarsi nella parrocchia di S. Pantalon, anche a motivo dei numerosi figli che ebbe.
Difficile pensare, a causa dell'ancor giovane età, possa essere l'Antonio Marcello eletto giudice del Forestier il 27 sett. 1444 e, due anni più tardi, podestà e capitano a Ravenna, da poco entrata a far parte dei domini della Serenissima, laddove appare più probabile trattarsi di omonimi: oltre al M., infatti, sappiamo essere vissuti nello stesso periodo altri due esponenti del patriziato che portavano lo stesso nome, uno figlio di Fantino, l'altro di Nicolò: la mancanza del patronimico, in quasi tutti i registri del Segretario alle Voci di questo periodo, rende difficoltosa l'identificazione del personaggio e quindi l'attribuzione delle cariche.
Il M., una volta raggiunta l'età prevista per l'ingresso in politica, nel maggio 1449 assunse la podestaria di Chioggia.
È da escluderne invece la presenza nella Quarantia negli anni compresi fra lo stesso 1449 e il 1453, così come l'elezione a podestà di Capodistria (5 luglio 1450) e di Budua in Dalmazia (21 giugno 1453: al termine di quest'ultimo rettorato, infatti, una nota del Senato, Mar (Arch. di Stato di Venezia, reg. 5, c. 143v) delibera il pagamento di stipendi arretrati sollecitati dall'interessato, "quia pauper est et oneratus multa familia"); infine sembra doversi escludere, trattandosi ancora una volta di un rettorato minore, la nomina a podestà di Torcello, verificatasi il 22 luglio 1460.
Secondo Priuli il M. fu podestà e capitano a Capodistria negli anni 1454-55, quasi in omaggio a una sorta di apprendistato politico; dopo di che il suo nome non compare più nelle fonti per vario tempo; è possibile che si sia dedicato agli studi come il fratello Giovanni, addottoratosi a Padova (è ancora Priuli a definire il M. "valoroso in politica e nelle lettere, perché lasciò diverse orazioni"), oppure all'attività mercantile. Lo ritroviamo citato nei documenti solo nel 1468 in qualità di ufficiale alle Rason vecchie, antica magistratura competente sui beni dei Veneziani, e poi l'11 dic. 1474, allorché fece parte della zonta del Senato e fu dei quarantuno elettori del doge Pietro Mocenigo, successore di Nicolò Marcello, che visse poco più di un anno. Il 2 marzo 1476 gli subentrò proprio quell'Andrea Vendramin di cui il M. aveva sposato la figlia. Con un cugino e il suocero saliti al dogato nel giro di pochi anni, è evidente che anche le fortune del M. non mancarono di trarne beneficio e infatti a partire dalla metà dell'ottavo decennio del secolo la sua attività politica sembra farsi più intensa e maggiormente qualificata. L'11 ott. 1475 faceva il suo ingresso quale podestà e capitano di Ravenna, dove rimase sino al 16 giugno 1476, portando a compimento i lavori per la costruzione della rocca, progettata da Giovanni Francesco da Massa; dopo di che lo sostituì Nicolò Lion.
La solida consistenza patrimoniale del M. è indirettamente testimoniata dalla nomina, avvenuta il 19 nov. 1477, fra i dieci savi alla revisione dell'Estimo urbano, magistratura straordinaria cui venivano eletti patrizi notoriamente dotati di largo censo; entrò poi a far parte del Senato, o della sua zonta, nel successivo biennio, quindi gli fu affidato un altro rettorato, quello di podestà e capitano a Crema, avamposto veneto nella Lombardia sforzesca. Qui il M. rimase sino al 2 genn. 1482, quando gli subentrò Marino Lion.
Rimpatriato, entrò a far parte del Consiglio dei dieci, di cui fu capo nei mesi di giugno e settembre; dopo di che venne eletto consigliere ducale per il sestiere di Dorsoduro, dall'ottobre 1484 al settembre dell'anno successivo. In tale veste, a conferma della sua competenza e sensibilità culturale, il 7 marzo 1485 fu tra coloro che proposero la ricostruzione del palazzo ducale, una cui ala era stata danneggiata da uno dei numerosi incendi che ne accompagnarono la storia. Il 28 ag. 1486 fu nuovamente chiamato a far parte dei quarantuno elettori del nuovo doge, che fu Agostino Barbarigo, quindi (8 ottobre) entrò nel Consiglio dei dieci, dove il 4 genn. 1487 si fece promotore di una pesante condanna inflitta al cavaliere Antonio Loredan e al suo segretario Bernardo Teatini, entrambi accusati di sodomia "usata in la legation di Roma contra l'honor di la Signoria Nostra" (Sanuto, II, p. 541). Qualche settimana dopo, il 28 gennaio, il M. lasciava il suo posto nell'alto magistrato in quanto eletto podestà a Verona.
La città scaligera era stata fra le prime a entrare a far parte dello "Stato da terra" della Serenissima, conservando però un alto grado di autonomia che garantiva alla sua nobiltà il controllo pressoché totale del territorio, come il M. ebbe modo di verificare nel corso del suo mandato, dal momento che i principali provvedimenti dei quali si fece autore risposero a precise richieste dell'aristocrazia urbana. Il 23 giugno 1487 una ducale del doge Barbarigo gli faceva presente la necessità di porre rimedio al grave stato di decadenza in cui versavano sia il clero sia le strutture ecclesiastiche veronesi; la persistente lontananza dalla sede episcopale del titolare della diocesi, il cardinale Giovanni Michiel, aveva infatti comportato pesanti conseguenze nella disciplina del clero e nella stessa cura degli edifici, chiese e monasteri, dell'intera provincia; donde le proteste dei fedeli, fatte proprie dalle locali magistrature dei Consigli dei dodici e dei cinquanta, forse più nell'intento di compiere un atto dimostrativo nei confronti del governo centrale che per effettiva sensibilità verso le esigenze spirituali dei concittadini. Di fatto, il M. si fece carico del problema, peraltro non nuovo alla realtà scaligera, visto che esisteva in proposito una precedente ducale del doge Francesco Foscari, risalente al 1442; sicché il rettore si limitò a ribadirne la validità, ben sapendo che in entrambi i casi alla base dei provvedimenti senatori stavano precise rivendicazioni locali di antichi diritti di autogoverno ai quali era opportuno dare soddisfazione. Ancora, il M. fu chiamato a dirimere spinose questioni sostanzialmente della stessa natura, vale a dire controversie insorte circa le giurisdizioni delle Comunità distrettuali e presunte ingerenze del capoluogo, che peraltro trovavano il loro fondamento legale negli statuti riconosciuti dal governo marciano.
Tornato a Venezia nell'autunno del 1488, nei due anni che seguirono il M. fece parte del Senato senza rivestire particolari incarichi; nel 1489 il suo figlio minore, Donato, sposò Lucia Malipiero di Tommaso (nessuna parentela stretta con il doge Pasquale): era il terzo matrimonio che si verificava in famiglia e fu probabilmente in seguito a questa circostanza che il M. spostò la sua residenza dal sestiere di Dorsoduro a quello di Cannaregio, di cui appunto risulta consigliere ducale dall'ottobre 1490 al settembre 1491.
Ma non portò a termine il mandato, visto che il 23 genn. 1491 accettava la nomina al capitanato di Padova, dove fece il suo ingresso il 17 aprile. Fu un rettorato assai più tranquillo rispetto a quello veronese, come dimostra la frequente partecipazione del M. alle cerimonie per il rilascio delle licenze dottorali dello Studio, in un clima ove cultura, mondanità, convenienze sociali si fondevano, qualificando la specifica realtà urbana che ospitava l'unica Università della Serenissima.
A Padova il M. morì improvvisamente il 23 ott. 1491.
Fu personaggio di rilievo più in grazia alle aderenze sociali e alla prestigiosa parentela, che per particolari eventi dei quali si fosse reso protagonista; lasciò numerosi figli che ricoprirono importanti magistrature e contrassero matrimoni con esponenti delle più illustri casate del patriziato veneziano.
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