MARCHETTI, Antonio
Nacque a Brescia, nella parrocchia di S. Giovanni, il 12 giugno 1724, figlio terzogenito di Giovan Battista e di Angela Molinari.
Il padre Giovan Battista, architetto, nacque a Predore, presso Bergamo, nel 1686 da Cristoforo e da Caterina Fedrighini. Nel 1695 si trasferì a Brescia su invito dello zio e maestro Bernardo Fedrighini, direttore dei lavori per il duomo nuovo della città.
Giovan Battista affiancò Fedrighini nei lavori di palazzo Martinengo Palatini ed elaborò numerose opere autonome sia per la città di Brescia sia per la provincia. La prima in ordine cronologico consiste nei lavori per il palazzo Fè d'Ostiani (1716) a Brescia, di cui ottenne la cittadinanza nel 1718. Al 1727 risale la realizzazione della cappella del Ss. Sacramento della parrocchiale di Concesio, mentre nel 1731 edificò la seconda cupola di S. Maria dei Miracoli a Brescia e il corpo centrale di villa Avogadro a Rezzato. Il 1733 fu un anno particolarmente importante poiché, in seguito alla morte di Fedrighini, venne chiamato ad assumere la direzione dei lavori per il duomo nuovo, incarico che tenne fino alla fine dei suoi giorni. L'anno successivo assunse inoltre la direzione dei lavori della chiesa di S. Maria della Pace, su progetto dell'architetto veneziano Giorgio Massari. Intensa fu l'attività nel quinto decennio del secolo, a partire dall'esecuzione della cancelleria e del portale del vescovado nel 1740. A quest'anno risale anche il primo progetto della parrocchiale, terminata nel 1746, di Padernello, località dove fu attivo pure in veste di restauratore del castello. La produzione di Giovan Battista si pose sotto l'egida della committenza del cardinale A.M. Querini e interessò pertanto diversi edifici religiosi o strutture da lui promosse: cappella del Rosario in S. Clemente (1743-47), Biblioteca Queriniana (1745-47), biblioteca del convento di S. Giuseppe (1757-58). Di Giovan Battista restano due progetti, uno per un cimitero a Bagnolo Mella (1746) e uno per il collegio ecclesiastico di S. Eustachio a Brescia (1747); mentre un progetto per il teatro Grande resta di attribuzione incerta tra lui e Antonio Corbellini (Bernoni). Cappelletto (1958) gli attribuisce pure la chiesa di Paderno in Franciacorta; mentre Terraroli gli assegna la chiesa della Madonna a Carpenedolo (1750-66), la parrocchiale di Villa Cogozzo (1737-54), le ville Martinengo di Padernello a Collebeato e Archetti a Santa Giustina di Castenedolo.
A causa della progressiva cecità che lo colpì verso la fine della vita, negli ultimi lavori Giovan Battista fu affiancato in maniera preponderante dal Marchetti. Morì a Brescia il 15 ag. 1758.
Oltre all'attività sul campo, presso la bottega paterna, il M. ebbe modo di frequentare studi regolari nel collegio gesuita delle Grazie a Brescia, dove partecipò, con il coetaneo Gaspare Turbino, ai corsi di lettere, filosofia e teologia, oltre che al corso di matematica tenuto dall'architetto Federico Sanvitali, autore successivamente degli Elementi di architettura civile (Brescia 1765).
A diciannove anni il M. prese gli ordini minori, proseguendo comunque gli studi in collegio fino al 1743, anno dell'ordinazione sacerdotale a opera del cardinale Querini, quando assunse a vita la cappellania Tiranda presso la chiesa di S. Agata (Bernoni).
In seguito a quanto si legge in una lettera indirizzata nel 1787 al parroco di Pisogne viene ipotizzato un suo viaggio a Roma (Bernoni), in data imprecisata, opportunità comunque importante per la formazione del suo linguaggio architettonico, fortemente classicista, in voluta contrapposizione rispetto al linguaggio veneto di Massari, di cui pure il M. fu amico e ammiratore, assecondando con ciò la volontà di autonomia della classe dirigente della città lombarda rispetto al dominio veneziano.
La prima commissione assegnata personalmente al M., secondo Cappelletto (1958), fu il progetto della parrocchiale di Barbariga, con facciata a due ordini e interno a due campate ritmato da lesene, risolte, come il presbiterio, da copertura a vela, e abside schiacciata, come nel progetto della chiesa di Paderno in Franciacorta, attribuito al padre. Seguirono il progetto e la direzione dei lavori della chiesa dei Ss. Nazaro e Celso: nel 1752, infatti, monsignor Alessandro Fè, vescovo di Modrone e preposto dei Ss. Nazaro e Celso, incaricò il M. e il canonico Giuseppe Zinelli di stendere un progetto, del quale si conservano i disegni che mostrano l'ampiezza degli interventi del Marchetti.
La facciata venne avanzata fino alla strada e abbassata, a chiudere una sorta di atrio prima del prospetto proposto da Zinelli; così come all'interno, la copertura della navata divenne a botte invece che a vela; al M., direttore dei lavori dal 1756, spettano anche la zona del presbiterio, il coro semicircolare e la cupola ellittica. La pianta della chiesa, ad aula unica, con cappelle che si aprono sui fianchi, è conforme al dettato controriformista ed è il modello usato convenzionalmente dal M.; gli elementi classicisti della facciata, quali le colonne, i timpani, la volta a cassettoni dell'atrio costituiscono il repertorio linguistico dell'architetto, che con le sue realizzazioni contribuì a definire il volto neoclassico di Brescia. Va detto però che la scelta di adottare capitelli corinzi non tornerà in altri progetti di facciate, che saranno rigorosamente caratterizzati dalla presenza di due ordini sovrapposti, qui mancanti.
Nel 1756 la famiglia Avogadro acquistò un terreno antistante la villa di Rezzato, in cui già aveva operato Giovan Battista oltre vent'anni prima, e affidò al M. la trasformazione in chiave classicista del prospetto della facciata, la creazione di una nuova ala che comprendesse il salone d'onore, la sistemazione del giardino all'italiana, brillantemente risolta con l'inserimento di un viale che sale tramite scalinata fino alla collina retrostante, divenendo l'asse di simmetria dell'intero complesso (Bernoni). Nello stesso anno il M. venne incaricato della direzioni dei lavori di villa Bettoni, inizialmente progettata per inglobare la preesistente proprietà della famiglia Bettoni a Bogliaco sul lago di Garda da Adriano Cristofori, licenziato dai committenti per divergenze.
Il M. progettò altre due ville, oltre alle citate, in cui applicò il proprio repertorio classicista (lesene a scandire le facciate, balaustre, rigorose cornici alle finestre, timpani, cancellate per annullare il diaframma tra lo spazio abitato e la natura circostante la proprietà, e soprattutto diverse soluzioni per la scalinata e il salone d'onore, elementi fondamentali anche nei palazzi cittadini): villa Romei Longhena a Provaglio di Capodimonte, iniziata intorno al 1770 e rimasta incompiuta, e villa Negroboni a Gerolanuova, ultima opera del M., terminata nel 1792. Terraroli gli attribuisce anche villa Calini Morando a Lograto e villa Mazzucchelli Strada Giacomini a Ciliverghe.
Bernoni ricorda, inoltre, il progetto per la caserma dell'Albera a Brescia e quello per l'ala maschile dell'ospedale di Chiari, del 1756.
Per quanto riguarda la progettazione di palazzi nobiliari in città, il M. utilizzò la tipologia, tipicamente bresciana, della pianta a U, con facciata sulla strada, cortile interno, salone e scalone.
La sua realizzazione più riuscita è palazzo Uggeri (1758), il cui ingresso è in asse con il portale della chiesa della Pace, situata di fronte, progettata da Massari. Seguirono palazzo Soncini nel 1760 (unico esempio di barocchetto nella produzione del M.), il rinnovamento di palazzo Martinengo a Padernello, opera del padre, palazzo Gambara e palazzo Barbisoni a Brescia, quest'ultimo in gran parte trasformato nel corso del XIX secolo.
Il 25 nov. 1758 il M. venne nominato architetto del duomo nuovo: l'incarico comportava il completamento della costruzione, ferma al primo ordine. Non è ancora del tutto chiara la portata del suo intervento (Bernoni), che lo vide impegnato nel progetto della facciata e della cupola. Il cantiere del duomo nuovo, definito da Cappelletto (1958) il "Calvario" del M., prevedeva infatti un dettagliatissimo progetto per la cupola, che tuttavia non fu realizzato per mancanza di fondi; la cupola attuale è opera ottocentesca di L. Cagnola.
Tra il 1761 e il 1769 (Terraroli; 1772 per Bernoni), il M. realizzò l'ampio salone da musica dell'Accademia degli Erranti, originalmente posto su tre piani, attualmente ridotto del teatro di Brescia, decorato per quanto riguarda le quadrature da F. Battaglioli e per le figure da F. Zugno. La lettura dell'opera è oggi in parte compromessa da interventi successivi.
Nel campo della progettazione di edifici religiosi, lo stesso M. definì la parrocchiale di Leno, nel Bresciano, la sua opera più riuscita.
Iniziata nel 1761, e quindi successiva di un anno al progetto della facciata della chiesa abbaziale di Montichiari, essa venne completata nel 1784. Nel frattempo, precisamente nel 1762, si iniziarono i lavori per la parrocchiale di Borgosatollo, dalla pianta simile a quella di Barbariga, ma con facciata maggiormente monumentale; mentre successiva è per Cappelletto (1964) la parrocchiale di Botticino Mattina, dall'innovativo disegno della pianta: un vasto quadrato per la navata e un secondo quadrato di minori dimensioni per il presbiterio (la facciata non fu mai completata).
Nel 1763 il M. accettò di dirigere i lavori della parrocchiale di Gerolanuova, su progetto di Massari; nel 1764 fu incaricato di rimuovere i casotti in legno e i banchi che deturpavano la piazza e la Loggia (palazzo del Comune) a Brescia. Alcuni disegni presentati in forma anonima nel 1766 per restaurare la Loggia sono stati attribuiti al M., che li eseguì con il pittore veneziano F. Battaglioli (Bernoni). Sulla Loggia un contributo di Merlo precisa meglio la paternità del M. e sottolinea una volta di più l'appoggio che egli diede al progetto vanvitelliano.
Il 16 sett. 1769 consegnò il disegno della pianta della parrocchiale di Pisogne, i cui lavori procedettero con molta lentezza per via della rivalità tra il M. e Turbino, autore del progetto definitivo, portato a termine soltanto dopo il 1791.
Verso il 1773 il M. completò la facciata di S. Maria a Chiari e costruì l'altare della Società di S. Giovanni Nepomuceno ai Ss. Nazaro e Celso a Brescia (Cappelletto, 1958).
Il M. morì a Brescia il 15 genn. 1791 e fu sepolto nella chiesa dei Ss. Nazaro e Celso.
Fonti e Bibl.: G. Cappelletto, A. M. architetto del Settecento bresciano, in Arte lombarda, III (1958), 1, pp. 51-61; Id., L'architettura dei secoli XVII e XVIII, in Storia di Brescia, III, Brescia 1964, pp. 342, 350, 383-385, 391, 393 s., 477 s.; L. Anelli, La chiesa dei Ss. Nazaro e Celso, Brescia 1977, pp. 4-13; F. Lechi, Le dimore bresciane in cinque secoli di storia, Brescia 1979, VI, pp. 106-113, 241-257, 360-377, 391-400; VII, pp. 160-173, 307-314, 323-334, 375-379; S. Guerrini, Chiese bresciane dei secoli XVII e XVIII, Brescia 1981, pp. 52, 54; R. Boschi, La chiesa parrocchiale dei Ss. Pietro e Paolo in Leno, Brescia 1985, pp. 34-67; C. Perogalli - M.G. Sandri - V. Zanella, Ville della provincia di Brescia, Milano 1985, pp. 148-158, 160-176, 182-191, 270-273; C. Zani, La villa Avogadro poi Fenaroli, in Rezzato, materiali per una storia, a cura di P. Corsini - G. Tirelli, Rezzato 1985, pp. 111-113; A.M. Matteucci, L'architettura del Settecento, Torino 1988, pp. 325-331; A. Bernoni, A. M. architetto del Settecento a Brescia (1724-1791), tesi di laurea, Politecnico di Milano, a.a. 1989-90; V. Terraroli, in Settecento lombardo (catal.), a cura di R. Bossaglia - V. Terraroli, Milano 1991, p. 415; G. Merlo, Il palazzo della Loggia di Brescia nei disegno di Luigi Vanvitelli e di A. M., in Arte lombarda, n.s., CXXI (1997), 3, pp. 91-101; F. Repishti, Protagonisti e culture architettoniche nelle Lombardie tra Seicento e Settecento, in Lombardia barocca e tardobarocca: arte e architettura, a cura di V. Terraroli, Milano 2005, p. 144; M. Forni, "Case da nobile": architettura civile nelle città lombarde tra Seicento e Settecento, ibid., p. 174; P. Bassani, "Ville di delizia": architettura nobiliare e territorio nella Lombardia settecentesca, ibid., pp. 274 s.