ANTONIO, Marco, il triumviro
Figlio di M. Antonio Cretico e di Giulia, nato nell'82 a. C. (?). Come quasi tutti i giovani romani del suo ceto, compì in Grecia i suoi primi studî, poi prestò servizio militare in Egitto e Palestina al comando di A. Gabinio e in Gallia al comando di Cesare, distinguendosi subito in alcune azioni di guerra (54-50 a. C.). Questore nel 52 a. C., nel 50, grazie all'appoggio di Cesare, fu eletto contemporaneamente augure e tribuno della plebe, malgrado fortissime opposizioni. Come tribuno sostenne Cesare nel conflitto col senato, parlò contro Pompeo e pose il veto alla deliberazione che proclamava Cesare nemico della patria. Il 19 novembre del 50 A. e Cassio furono invitati dai consoli, con minaccia di violenze, ad uscire dalla Curia e, malgrado le loro proteste, dovettero abbandonarla e raggiunsero Cesare al suo accampamento. Quando Cesare passò il Rubicone A. assunse il comando di un reparto col quale attraversò l'Appennino, occupò Arezzo e di là marciò su Ancona con Curione. Ottenuta la vittoria, il 1 aprile del 49 convocò il senato, e pochi giorni dopo ebbe l'imperio propretorio sull'Italia, mentre Cesare stava per partire per la Spagna. Prima di Farsalia rese importanti servizî politici e militari a Cesare, prendendo poi parte alla battaglia, nella quale ebbe il comando dell'ala destra: non tardò a riceverne il premio con la nomina a magister equitum di Cesare dittatore, con la quale carica ebbe la direzione politica e militare d'Italia e quindi il compito di reprimere il tentativo rivoluzionario di Dolabella. Nel M fu console insieme con Cesare, dopo un breve periodo di freddezza nei loro rapporti, provocando con questo la delusione di Dolabella che aspettava quella carica come collega di A.; ma questì voleva avere Cesare e non Dolabella a collega, per poter essere arbitro dello stato durante la spedizione partica di Cesare. Poco tempo dopo fu eletto flamine del nuovo Iuppiter. In occasione della festa dei Lupercali offrì a Cesare un diadema, che questi rifiutò; e con quel gesto forse fece precipitare le decisioni di coloro che congiuravano per il cesaricidio, che fu consumato mentre A., trattenuto lungi dal suo capo, era messo nell'impossibilità di difenderlo.
Subito dopo la morte di Cesare egli convocò il senato e pronunciò l'orazione commemorativa ai suoi funerali, orazione assai abile, che ebbe una certa importanza negli eventi di quei giorni. Il testamento di Cesare, che nominava erede il figlio adottivo Ottaviano, lo poneva, con Decimo Bruto, fra gli eredi in via subordinata. Ma egli sembrava, mentre Ottaviano era ancora lungi da Roma, l'uomo più indicato e favorito dalle condizioni del momento per la successione. Assai esperto degli affari politici del morto dittatore, egli aveva saputo scatenare tutti gli interessi e tutte le passioni che erano state suscitate dall'improvvisa scomparsa di Cesare; ben visto da gran parte delle legioni cesariane, che l'avevano più volte avuto abile luogotenente, egli cercava di procurarsene il favore e già stava raccogliendo in Italia circa 6000 uomini per impressionare il senato e approfittare delle circostanze per imporre la sua volontà. Lo appoggiavano Lepido e la vedova di Cesare, la quale gli affidò le carte del morto e l'amministrazione della sua fortuna, creando così una situazione di favore che poteva eludere il testamento stesso di Cesare. Sennonché Ottaviano, sin dai suoi primi passi in Roma, reclamò l'eredità del padre adottivo, che A. usurpava; A. gliela rifiutò, onde avvennero fra loro i primi contrasti, poi, vedendo che le abili mosse del suo giovanissimo avversario gli facevano perdere terreno nella estimazione popolare, ed accorgendosi che, in odio a lui, Cicerone e i suoi amici della fazione repubblicana senatoria si accostavano piuttosto ad Ottaviano, finì col riconciliarsi, convinto ormai dell'impossibilità della pacifica successione cesarea che aveva sognato. Ma l'opposizione di Ottaviano diede coraggio ai nemici di A., i quali, capeggiati da Cicerone, presero un energico atteggiamento a lui avverso, soprattutto con le orazioni Filippiche di Cicerone stesso; intanto A. andava in Macedonia per raccogliere truppe ed Ottaviano si stava armando in Campania. Al ritorno in Roma, il conflitto con il figlio adottivo di Cesare era di nuovo acuto; due delle sue legioni passarono al suo avversario, tanto che egli iniziò subito operazioni di guerra nella Gallia Cisalpina, tentando l'occupazione di Mutina (Modena), armandosi contro Ottaviano e Decimo Bruto. Contro la sua forza, mirante apertamente alla piena successione di Cesare, il senato preferì appoggiare Ottaviano, il quale sembrava meno pericoloso, e, alleandosi con Bruto ed accostandosi alle tendenze repubblicane, per trarne vantaggio contro A., sembrava potesse arginare la minaccia del primo luogotenente di Cesare. Mentre si svolgeva, a Roma, un'attiva lotta politica contro di lui, sotto la guida di Cicerone, Irzio ed Ottaviano continuavano le operazioni contro A., anche per liberare Modena dall'assedio. Il 14 e il 21 aprile del 43 nelle due successive battaglie di Forum Gallorum, sulla via Emilia, e di Modena, fu sconfitto, proclamato nemico pubblico e costretto a ritirarsi nella Gallia transalpina per congiungersi a Lepido. Ma Ottaviano, ottenuto il consolato e decisa la rottura con i cesaricidi, fece revocare gli editti contro A. e Lepido; unite le sue forze a quelle degli antichi avversarî ed a quelle dei loro alleati Pollione e Planco, riuscì a preparare un modus vivendi ed a giungere alla formazione del triumvirato. Ad A. non giovava l'avere per nemico il figlio di Cesare; essendogli amico, poteva anche sperare di sopraffarne l'influenza col prestigio delle vittorie che attendeva. Così entrò, con Ottaviano e con Lepido, in un triumvirato rei publicae constituendae, foggiato sull'esempio della dittatura politica di Silla, triumvirato che fu deciso dopo lunghe trattative (43 a. C.) in una penisoletta fluviale presso Bologna. La prima conseguenza dell'accordo furono le proscrizioni, ed A. pretese la morte di Cicerone, suo acerrimo nemíco e ne fece mostrare la testa mozza e la mano nel foro di Roma. Subito dopo A. intraprese la preparazione della campagna contro Bruto e Cassio che si armavano in Oriente. Disponendo di imponenti forze, però quasi corrispondenti a quelle degli avversarî, almeno come numero di legioni, e sapendo che il nemico s'era accampato a Filippi, presso il porto di Neapolis (Kavala), A. marciò subito e rapidamente su Anfipoli, località nella quale intendeva stabilire una base di operazioni, accostandosi subito notevolmente al nemico. Alla fine d'ottobre del 42, A., impaziente di risolvere la situazione, attaccò Cassio, mentre anche le forze di Bruto entravano in azione senza ordini e venivano fronteggiate da Ottaviano. Le truppe di Cassio non seppero resistere: la falsa notizia della rotta di Bruto diede la sensazione della disfatta, e Cassio si uccise, mentre Bruto batteva in ritirata (23-24 ottobre?). Venti giorni dopo, anche Bruto veniva sconfitto ed accerchiato e sfuggiva alla prigionia dandosi la morte. L'opposizione repubblicana era stata travolta con la disfatta dei cesaricidi, ed A. aveva indubbiamente il maggior merito della vittoria. Allontanato Lepido, A. ed Ottaviano si spartirono l'impero, dilazionando la loro inevitabile lotta: ad A. toccò la regione orientale e la Gallia; a Ottaviano l'Africa, la Sardegna, la Sicilia e l'Italia.
Dopo la vittoria A., mentre cercava, per mezzo del fratello Lucio e della moglie Fulvia, di creare delle difficoltà ad Ottaviano, tentativo che portò all'assedio e alla sconfitta di Perugia, si accinse subito, visitando l'Asia minore e convocando assemblee apposite, a raccogliere denaro e seguito; e visitò anche Cleopatra, cui Cesare aveva assicurato il trono per procurarsene l'appoggio. La regina d'Egitto, appena ventinovenne, bella ed abilissima, già conosceva A.; ed oltre ai rapporti amorosi che sorsero fra i due, fra il triumviro e la regina si maturò un grande piano politico, per il quale l'impero romano avrebbe dovuto tramutarsi in una monarchia mediterraneo-orientale, prendendo centro almeno ideale nelle sue regioni più ricche e di più antica civiltà. In occasione della lotta di Ottaviano con Sesto Pompeo, dopo un periodo nel quale A. sembrava dovesse rompere con Ottaviano, intervennero, nel 40, a Brindisi nuovi accordi, per la mediazione di L. Cocceio Nerva: Ottavia, sorella di Ottaviano, sposò A., rimasto vedovo di Fulvia; le provincie furono nuovamente ripartite, ed A., che stava preparando una spedizione contro i Parti, secondo l'antico progetto di Cesare, tenne per sé il solo Oriente, cedendo ad Ottaviano Gallia ed Illirico. Fin dal 41 un'attiva ripresa offensiva dei Parti, appoggiati da Q. Labieno e da legioni romane che avevano disertato, aveva portato a disastri gravissimi: i luogotenenti di A. negli anni successivi riuscirono a frenare l'invasione, e, nel 36, credendo giunto il momento favorevole, A. intraprese la spedizione nel paese dei Parti, in quel tempo agitato da ribellione contro il re Fraate. A. scelse un itinerario difficile, attraverso l'Armenia, aumentando i pericoli di una spedizione attraverso paesi ignoti, e lontana dalle basi d'operazione. L'impresa terminò in un insuccesso in paese nemico, a Fraaspa (Takht-i Suleimān), capitale della Media, stato vassallo dei Parti: fu necessaria una disastrosa ritirata invernale, tormentata da continui assalti nemici. A. creò, perseguendo il suo piano politico, nuovi reami: riconobbe i figli che aveva avuti da Cleopatra, e diede loro i nomi significativi di Alessandro e di Tolomeo Filadelfo, conquistò (34) il regno di Media, celebrò per questa vittoria il trionfo ad Alessandria, in aperto dispregio a Roma, ed organizzò una federazione di monarchie orientali, cui prepose Cleopatra, regina dei re, ed il figlio illegittimo di lei e di Cesare.
Con una grandiosità di mezzi senza precedenti, si rinnovava, ma questa volta sotto la guida di un Romano e di una donna di eccezionale abilità politica, l'impresa di Mitridate, il tentativo di rivincita dell'Oriente su Roma, con la trasformazione dell'Impero sul modello degli stati vinti. La rottura fra A. ed Ottaviano era ormai imminente, e nella polemica contro di lui era facile farlo apparire come nemico di Roma ed asservito ad una regina straniera. Dopo lungo temporeggiare ed abile propaganda, dopo che A. ebbe rinviata Ottavia, ripudiandola, la situazione era estremamente tesa; A. offrì di abbandonare il triumvirato purché anche Ottaviano ritornasse privato cittadino e fossero riconosciuti i suoi ordinamenti orientali. La proposta non fu accettata, e poco dopo (31) fu dichiarata solennemente la guerra a Cleopatra, senza nominare in alcun modo A., che era stato privato d'ogni dignità. La guerra portò subito allo scontro navale d'Azio, fatto a forze quasi eguali (circa 400 navi per parte). Il 2 settembre 31 la flotta di A. e Cleopatra, bloccata nel golfo d'Azio, cercò di sfondare la cortina di navi che l'imprigionava; lo sfondamento riuscì, ma passarono solo A., la regina e 60 navi. Le altre, o per defezione o perché il blocco si era nel frattempo richiuso, restarono prigioniere nel golfo. Ottaviano aveva catturate così circa 300 navi nemiche, che pare abbia incendiate. In quella giornata era caduto l'astro di A. ed ogni sua possibilità di vittoria. Caduta Alessandria, il 1 agosto del 30, A. si diede la morte per sfuggire al vincitore, imitato poco dopo da Cleopatra, e cosi finiva l'ultima battaglia, tentata da uno dei luogotenenti di Cesare, dell'Oriente ellenistico contro l'Impero di Roma.
Fonti: Oltre le fonti generali relative ad Augusto, v. la vita plutarchea di Antonio, il De bello gallico ed il De bello civili di Cesare, le epistole ad Attico e ad familiares e le orazioni filippiche di Cicerone.
Bibl.: Drumann-Groebe, Geschichte Roms, Berlino 1899, I, p. 46 segg.; T. Rice Holmes, The Roman Republic, Oxford 1923; id., The Architect of the Roman Empire, Oxford 1928; V. Gardthauesn, Augustus und seine Zeit, Lipsia 1891-1904; E. Meyer, Caesars Monarchie und das Principat des Pompeius, 3ª ed., Stoccarda e Berlino 1923; Dessau, Geschichte der römischen Kaiserzeit, Berlino 1924; M. A. Levi, Augusto, Roma 1929.