ANTONIO MARIA da Palazzuolo (al sec. Francesco Antonio Ceraso)
Nacque nel 1672 a Palazzuolo (Aquino).
Nel 1690 andò a Napoli per studiare letteratura, filosofia e diritto, e l'8 dic. 1693, nel convento di Caserta, vestì l'abito cappuccino. Dopo il triennio di noviziato, nel 1696, tornò a Napoli, dove prese a studiare filosofia e teologia sotto la guida del p. Antonio da Benevento. Ma a lui, già d'allora appassionato lettore delle Méditations di Descartes e della Recherche de la vérité di Malebranche, quell'insegnamento che gli veniva offerto sembrava vuoto ed astratto. Dopo un breve soggiorno a Bologna, dove era riuscito a farsi trasferire, tornò a Napoli nel 1702 con la mente imbevuta di cartesianesimo. Qui cominciò molto brillantemente la carriera di predicatore, carriera in cui egli si distinse assai degnamente non solo per l'elegante modo di esporre, ma anche per la larghezza e modernità di vedute; divenne così predicatore famoso a Napoli, Roma, Livorno, Siena, Arezzo, Ancona e Bologna. Ma, coevo a questa attività e di gran lunga più importante, fu l'insegnamento di filosofia che egli tenne nel convento di S. Efremo, dove, appena giunto a Napoli, era stato nominato lettore di filosofia e di teologia. Sebbene avesse accolto in pieno il cartesianesimo, egli riuscì a trovare un equilibrio fra le sue idee ed il sistema dell'aristotelismo, esponendo ai suoi alunni una metafisica eclettica, con forti influenze di neoplatonismo e di cartesianesimo. Brillante e rapida fu anche la sua carriera ecclesiastica. Dopo aver ricoperto la carica di guardiano del convento cappuccino di Nola, e quella di "custode" addetto al provincialato di Napoli nel 1711, fu eletto definitore provinciale di Napoli nel 1722 e 1723 e, dopo essere stato per tre volte provinciale della provincia napoletana - nel 1725, 1726 e 1731 -, fu eletto definitore generale dell'Ordine nel 1733, carica che egli tenne fino alla morte, avvenuta il 22 ott. 1735.
A. fu molto vicino al Vico, a lui legato, oltre che da una certa comunanza d'interessi e d'ambiente culturale, anche da un'intima e profonda amicizia; relazione che non cominciò più tardi del 1728. Ed è proprio al dotto amico cappuccino che il Vico fece dono del manoscritto delle sue Orazioni inaugurali (1669-1708), premettendovi una dedica epigrafica. Tutto ciò, in ogni caso, aveva contribuito a creare intorno alla figura di A. la leggenda per cui egli, accorso al capezzale del Vico morente, lo avrebbe assistito fino all'ultimo, leggenda che solo il Nicolini, in base alla semplice considerazione cronologica, ha sfatato completamente (il Vico, infatti, morì fra il 22 e il 23 genn. 1744; cfr. G. B. Vico, Scritti vari e pagine sparse, a cura di F. Nicolini, Bari 1940, pp. 298 s.).
Bibl.: G. B. Vico, L'Autobiografia, il carteggio e le poesie varie, a cura di B. Croce e F. Nicolini, Bari 1929, p. 132; B. da Sorrento, I cappuccini della provincia monastica di Napoli, Sorrento 1879, p. 113; L. Ventura, Giambattista Vico e le sue relazioni coi francescani, in Archivum Francisc. Hist., III(1910), p. 251; F. Nicolini, Sulla vita civile letteraria religiosa napoletana alla fine del Seicento, Napoli 1929, pp. 23, 72; Id., Giambattista Vico epigrafista, Napoli 1930, pp. 22-24; F. da Mareto, Tavole dei Capitoli generali dell'ordine dei FF.MM. Cappuccini, Parma 1940, p. 251; Lexicon Capuccinum, Romae 1951, coll.95, 1811.