DURANDO, Antonio Maria
Impropriamente noto con il titolo di conte di Villa, sebbene questo titolo spettasse solo al padre, cui premori, nacque a Torino il 9 ag. 1760 da Felice Niccolò e da Teresa Valperga dei conti di Rivara. La sua educazione fu accuratissima, come si può immaginare per l'unico figlio di un raffinato uomo di cultura e ricco mecenate, letterato di fama e possessore della più fornita e celebrata biblioteca privata di Torino, la cui casa era luogo di riunione e di conversazione della più scelta società colta della città. L'abate L. Lazzarini, bibliotecario di detta bilbioteca e filopatride, gli fu primo maestro. Poi il D. fu per tre anni convittore nella R. Accademia dei nobili, dove eccelleva negli esercizi cavallereschi, entrando quindi nella carriera militare (primo della sua famiglia, che aveva origini mercantili), fino a raggiungere il grado di capitano del reggimento "Pirterolo", pur continuando a coltivare, oltre alla poesia, anche la musica e la pittura. Nel 1783 sposò Prudenziana Gabriella Faussone dei conti di Montaldo, nota per la sua bellezza (vedova, passerà a seconde nozze col conte Gabaleone di Andezeno e vivrà fino al 1841), ma il matrimonio fu sterile. Per queste nozze V. Marenco di Castellamonte pubblicò il suo poemetto La Patria e G. G. Loya (altro intimo amico del D.) diede alle stampe Tobia, dal sacro testo in versi italiani tradotto per le felicissime nozze del cav. co. A.M.D. di Villa … (Torino 1783).
Fin dalla fanciullezza introdotto negli ambienti più vivi della cultura piemontese del tempo, il D. si legò presto strettamente ad alcuni coetanei, tutti appassionati di letteratura, storia ed arti, i quali sentivano fortemente gli stimoli del rinnovamento e i nuovi fermenti politici, sia pur nei limiti moderati e prudenti propri di quegli ambienti piemontesi: si formò cosi un piccolo gruppo d'avanguardia, assai popolare fra la buona società torinese, composto dallo stesso D., da P. Balbo, da C. Bossi (Albo Crisso), da A. Ferrero Ponsiglione, da C. Tenivelli, G. B. Somis, C. Maulandi, V. Marenco e dal Franchi di Pont, tutti destinati a una certa fama nell'ambito della storia civile e letteraria subalpina.
Questo gruppo, stimolato dalla benevolenza degli anziani della Sampaolina, decise di dar vita a una nuova associazione, con intenti di recupero della storia e dei valori ideali Piemontesi e italiani, che si distingueva dalla Sampaolina per una maggior apertura alle novità e per l'uso esclusivo della lingua italiana. Cosi, l'11 luglio 1782, in casa del conte G. F. San Martino della Motta, ebbe luogo la prima adunanza della Patria Società letteraria, la cui importanza ai fini del rinnovamento culturale e della formazione dell'élite di tutta una generazione è ben nota. Attraverso uno strumento di pubblicazione delle cose più meritevoli presentate nel seno dell'associazione (gli Oziletterari, di cui usciranno 3 volumi) e per mezzo di un periodico (La Biblioteca oltremontana ad uso d'Italia, che diverrà nel 1790 Biblioteca oltremontana e piemontese e nel 1793 La Biblioteca), nonché di altre iniziative, i soci riusciranno a conquistare un qualche peso nella vita culturale del tempo, anche fuori dagli Stati sardi.
Il D. fu uno dei principali promotori di tutto questo fervore di attività e fu ben presto delegato a curare particolarmente tutto quanto riguardasse la poesia (ma anche il teatro): si era infatti rivelato fra i fondatori (che pure quasi tutti si cimentarono in quel campo) il più dotato di qualità ed ambizioni poetiche, distinguendosi tuttavia per la prudenza nel pubblicare e per la cura quasi morbosa che dedicava alla pulitura e lima della sue composizioni (la maggior parte dei suoi lavori resterà inedita). Esordi alle stampe con due raffinati sonetti nella raccolta Rime per la morte di Metastasio (Torino 1782), nei quali risalta la classica ricerca della perfezione metrica e che si distinguono per la scarna eleganza. Seguirà un lavoro molto diverso, un sonetto giocoso in risposta ad uno scherzo dell'ab. O. Cocchis nel tomo secondo del Saggio di rime piacevoli dello stesso (Torino 1783), cui tenne dietro un piccolo saggio critico su L'Olimpiade, inserito in Osservazioni di vari letterati sopra i drammi di P. Metastasio (Nizza 1785), dove un certo calore, unito ad una notevole misura (certo appresa dal padre, celebrato critico), rende più evidente la differenza di qualità con le apologie classicheggianti di alcuni altri autori della medesima raccolta. Dal 1782 aveva letto in varie sedute della Patria Società letteraria, dove furono acclamate, alcune sue composizioni poetiche, che verranno tutte scelte per la pubblicazione nel primo volume degli Ozi letterari, Torino 1787, e che, vista la ritrosia del D. a dare alle stampe, debbono considerarsi la sua opera edita principale. "Poesie affettuose, piene d'anima, di movimento e di vita" le definì P. Balbo (Orazione … ), che ne esaltò "la nobiltà di pensiero, magnificenza di stile, eleganza di lingua e felicissima tempra di fantasia, che molto rassomiglia a quella dei Greci". Ma se il loro autore presenta ancora oggi qualche interesse non è certo per queste doti classicheggianti di verseggiatore.
Nei diciotto componimenti, fra poemetti di vario metro e scherzi in forma di odi (Chi fu chi fu che l'empio duce altero; Fiori colti da bella mano; A bella donna guarita da grave malattia; Che in amore son pene; Ad un rosignolo; Impossibilità di uscire dalla vita amorosa; Rimprovero ad un amore; Un amante tradito in punto di morte; Ad un impertinente poetastro; Contro la vanità delle iscrizioni; Le tombe; Rimprovero; Lo sdegno inutile; Amor che fai li negli empirei scanni; Mio maestro Anacreonte; Quell'alato parvoletto; Con ampi bicchieri; Eccomi giunto al fin donna spergiura), l'ispirazione si rifà a due filoni ben distinti, uno evidentemente legato ai tradizionali temi anacreontici (ma sorretto da una certa spontaneità e da una perfezione formale e metrica davvero rimarchevole); l'altro, invece, contraddistinto da temi lugubri, talvolta cimiteriali e molto sentimentale (Un amante tradito in punto di morte, Le tombe, La vanità delle iscrizioni), potrebbe facilmente essere attribuito a un poeta romantico del secolo successivo. è questo l'aspetto ancora interessante del D., che altrimenti per l'esiguità della produzione superstite e per la gracilità delle composizioni non presenterebbe motivi di studio. Infatti la dispersione di tutte le sue carte non consente purtroppo di seguire in modo organico l'evoluzione del suo gusto poetico: però circa questi tratti marcatamente preromantici è di qualche aiuto la conoscenza della sua intrinseca amicizia e comunione d'idee con Prospero Balbo, nelle cui poesie giovanili è riscontrabile un forte influsso dei poemi ossianici e di E. Young, come è evidente dalle operette che quegli trasse dalle prose inglesi di John Smith, ossia La morte di Arto, poema caledonio, o La battaglia di Lava, poema celtico.
Gli atteggiamenti di romantica melanconia del D. vennero accentuandosi coi progredire della malattia di cui era affetto fin da giovanissimo (tipica in qualche modo anch'essa), la tisi, che rallentò la sua partecipazione alle attività della Filopatria, di cui era stato una colonna, fino ad annullarla completamente negli ultimi mesi. Altri lavori il D. aveva presentato alle assemblee sociali, per alcuni dei quali fu decretato l'inserimento negli Ozi letterari, cosicché ci sono pervenuti. Essi sono i primi tre libri di un grande poema in versi sciolti, L'amazzone del secolo, su imitazione del tedesco C. F. Weisse, che rimase incompiuto (Ozi lett., II, Torino 1787), e altri due scherzi in forma di odi (ibid., III, Torino 1791). Si ha inoltre notizia di un Eroide, traduzione dal francese in versi sciolti di un lavoro di Gabrielle de Vergy, che fu letta nel 1783 in assemblea e figura al n. LXIII del Catalogo delle opere dei soci (Modena, Bibl. Estense, Racc. Campori, ms. γ-R-1-5, vol. I, 1782-87, proveniente dagli archivi Balbo), nonché di importanti studi sulla letteratura dialettale piemontese, di cui anche suo padre si era occupato.
L'opera inedita del D. di cui maggiormente si lamenta la perdita è in prosa e di tutt'altra natura: si tratta di un ampio lavoro, affidatogli dalla Patria Società letteraria, sulla storia del teatro italiano, con speciale riferimento al Piemonte, un Trattato sulla commedia italiana, per il quale l'ab. Lazzarini era stato incaricato di redigere una lista completa di autori piemontesi, e che alla morte del D. si trovava in un avanzato stadio di completamento. Di esso si sa solo, dal Balbo (Orazione …) che lo aveva letto, che "faceva capo al Goldoni", e che l'autore vi si dimostrava "inimicissimo della scurrilità delle farse" e dei lazzi della commedia dell'arte. Con molti altri manoscritti'del D. anche questo andò disperso con la famosa biblioteca del padre, quando questi mori, dopo la scomparsa del D., senza discendenti diretti. Una richiesta di tali manoscritti da parte della Patria Società letteraria al padre del D., in cui si domandava il permesso di pubblicazione, non risulta che venisse soddisfatta.
Il D. mori a Torino il 26 sett. 1787, consunto dalla tisi, lasciando memoria di "buon amico, buon figlio, buon marito, e caro a tutti". I filopatridi lo commemorarono solennemente il 29 dic. 1787, in una speciale adunanza, nella quale P. Balbo pronunciò l'orazione commemorativa, In morte di A.M.D., Conte di Villa (poi stampata nel volume III di Ozi lett., pp. 20 s.), cui si accompagnarono il Bossi, il Maulandi, il Franchi di Pont, il Bergera ed altri, con versi d'occasione italiani e latini, che verranno pubblicati sulla Biblioteca oltremontana e piemontese, XII (1791), pp. 267-70.
Fonti e Bibl.: V. Marenco di Castellamonte, La patria, poemetto per le nozze di A.M.D. di Villa e Gabriella Faussone di Montaldo, Torino 1783; Albo Crisso [C. Bossi], In morte del co. A.M.D. di Villa, versi diretti a P. Balbo che ne tessé l'elogio funebre in un'adunanza d'amici, in Ozi letter., III, Torino 1791, pp. 229-233; G. G. Loya, Versi diretti al conte D. di Villa, Nizza 1796; E. De Tipaldo, Biogr. d. ital. illustri, Venezia 1834, III, pp. 153 s.; T. Vallauri, Storia della poesia in Piemonte, II, Torino 1841, p. 364; Id., Delle società letterarie del Piemonte, Torino 1844, passim; G. Campori, La Società filopatria di Torino, in Giorn. st. d. letter. it., IX (1887), pp. 251 s.; E. Bertana, Arcadia lugubre e preromantica, La Spezia 1889, pp. 30 ss.; Id., In Arcadia, saggi e profili, Napoli 1909, pp. 423-40; C. Calcaterra, Il "nostro imminente risorgimento", Torino 1935, pp. 54, 103, 155, 573, 575, 606, 608, 618, 624 s.; Id., I filopatridi, ibid. 1941, pp. 19, 175, 232, 281, 290, 465; Id., Le adunanze della Patria Società letter., ibid. 1943, pp. XIII, XXXIV, 1-121 passim, 142, 153, 164-69, 171, 178, 186, 238, 271, 274, 337.