FERRI, Antonio Maria
Nato a Firenze il 31 marzo 1651 da Alessandro e Caterina di Santi Pucci, probabilmente si formò come aiuto di noti architetti fiorentini quali P. F. Silvani e F. Tacca. Accantonata ormai l'ipotesi di una sua possibile partecipazione ai lavori per il coro di S. Firenze nel 1668, in collaborazione con Silvani, è invece lecito individuare nel 1679 l'anno in cui l'esordio del F. doveva essersi già concluso positivamente. In quello stesso anno, infatti, fu accolto nella fiorentina Accademia del disegno (20 ottobre) e divenne aiuto dell'ingegnere delle fortezze e fabbriche medicee. Di lì cominciò a svilupparsi il lungo curriculum professionale del F., che si caratterizza per i numerosi incarichi ricevuti sia da privati e religiosi sia dallo Stato. Definito "diligente architetto" dal Baldinucci (Vite, V, p. 399), la sua opera rappresenta in maniera alquanto emblematica le incertezze linguistiche dell'architettura fiorentina del suo tempo, tesa a fondere l'eredità cinquecentesca e buontalentiana, in particolare, con le recenti conquiste formali del barocco romano, spesso recepite attraverso il vaglio rigoroso di Carlo e Francesco Fontana. Cosimo III, infatti, si era premurato di istituire a Roma, nel 1673, un'accademia presieduta da Ciro Ferri, allo scopo di ampliare le conoscenze degli artisti fiorentini con gli esempi romani. Per il F., in particolare, è significativo che due fra i suoi principali committenti, il cardinale B. Panciatichi e il marchese F. Corsini, avevano risieduto a Roma per molto tempo e potevano quindi metterlo al corrente essi stessi delle migliori opere romane da prendere a modello per le fabbriche dei rispettivi palazzi.
La prima opera ascrivibile al F. è la chiesa di S. Frediano in Cestello a Firenze, a navata unica con transetto, coro e cappelle laterali. Iniziata su disegno del Silvani nel 1670, la fabbrica fu interrotta nel 1674 dai committenti, i padri cistercensi, i quali chiesero un nuovo progetto a Giulio Cerruti, soprintendente generale delle fortificazioni dello Stato ecclesiastico. Il progetto fu poi portato avanti dal F., il quale, nel 1698, lo terminò con l'innalzamento della cupola all'incrocio del transetto con la navata della chiesa.
La calotta emisferica, conclusa da una lanterna circolare, poggia su un alto tamburo esterno, sul quale si aprono finestre sormontate da timpani alternati triangolari e curvi e fiancheggiate da coppie di paraste doriche corrispondenti ai costoloni della cupola.
Nel 1679 il F. ricevette un secondo incarico dagli Orlandini per unificare dietro un'unica facciata il loro palazzo in via dei Pecori con quello attiguo già di proprietà dei Gondi di Francia; il problema fu risolto estendendo la facciata di quest'ultimo palazzo su quello già appartenente alla famiglia. Nello stesso periodo collaborò col Silvani al rifacimento del coro di S. Marco e nel 1686 fu impegnato nella ristrutturazione del sangallesco palazzo Gondi di piazza S. Firenze.
Qui diresse i lavori eseguiti nella parte posteriore del cortile e costruì una nuova scuderia con alcune stanze al di sopra, fra le quali un'alcova realizzata nel 1710-11 su suo progetto, decorata con stucchi di G. B. Ciceri e pitture di M. Bonechi e L. Del Moro, in occasione del matrimonio di Angiolo Gondi con Elisabetta Cerretani.
Il F. diresse lavori di abbellimento nel decennio 1691-1701 anche in altri palazzi fiorentini, come il palazzo Ginori in via Ginori, dove gli si possono attribuire le spartizioni ornamentali per i soffitti delle tre sale dette del Fuoco, delle Cacce e del Sole, ornate dagli stucchi di C. Marcellini e dagli affreschi di A. Gherardini e di un altro pittore non identificato. Nell'ultimo decennio del Seicento doveva essere ormai molto conosciuto, poiché è in questi anni che gli vennero affidati incarichi di rilievo sempre maggiore: nel 1691 progettò ed edificò le due cappelline ai lati del coro in S. Salvatore d'Ognissanti, di proprietà della famiglia Bartoli quella a sinistra e dei Marinozzi quella a destra.
Al F. è ascrivibile anche l'ideazione degli altari e il disegno della decorazione in stucco, mentre le pale e le tele laterali sono opera di P. Dandini.
Nel 1696 il F. soprintese, sempre a Firenze, alla fabbrica del palazzo Panciatichi in via Cavour, progettato a Roma da Francesco Fontana per il cardinale Panciatichi, supervisore di numerose imprese architettoniche romane di committenza papale.
Questo particolare è alquanto significativo dell'influenza esercitata dalla cerchia fontaniana sul gusto architettonico del tempo anche al di fuori di Roma. Già il progetto per S. Frediano in Cestello aveva avuto l'approvazione di Carlo Fontana. L'impegno del figlio Francesco per il cardinale Panciatichi testimonia, come recenti ricerche hanno consentito di accertare, il ruolo di eredi indiscussi della tradizione più alta del barocco romano che ebbero i Fontana e la loro scuola. Francesco ebbe l'incarico di progettare il palazzo nel 1691, alla morte di Carlo Rainaldi cui era stato inizialmente affidato l'incarico; e fu lui a suggerire al cardinale di farlo eseguire sotto la direzione del F., che lo portò a parziale compimento nel 1698: ampliato nel 1703 lungo via dei Calderai su disegno di F. Fontana, si ha notizia che nel 1712 il F. vi progettò una mostra d'acqua per il cortile, non realizzata.
Sempre negli ultimi anni del secolo il F. ottenne uno dei suoi incarichi più prestigiosi: lo scalone e la sala del trono in palazzo Corsini, iniziato a costruire già dal 1685 con un progetto del Silvani e concluso nel 1722.
Se per il felice effetto scenografico l'ampia scala si accosta ad esempi bolognesi, la tensione delle nervature accentuate sulla volta di copertura è propria della tradizione toscana. Chiaramente romano è, invece, il carattere della decorazione architettonica sulle pareti del grande salone a doppia altezza, dove il F., in seguito a varie prove di cui restano quattro disegni agli Uffizi (U3833A, 3834A, 3835A, 3836 A) e un quinto di proprietà Corsini, opta per binati di colonne, nicchie e statue a sostegno di una trabeazione sinuosa sulla quale corre un ballatoio intorno a tutto l'ambiente. Questo fare borrominiano, che tiene a mente la nave del Laterano, non rinunciando alla citazione buontalentiana del timpano spezzato e invertito sugli ingressi principali, dovette lasciare perplesso il marchese Corsini, il quale si lamentò con il fratello Lorenzo, futuro Clemente XII, delle doti del F. in materia di ornato, a suo giudizio decisamente carenti. Forse la severità del marchese fu dovuta ad un occhio che riteneva eccessiva la vena licenziosa proposta dal F. per la decorazione della sala più solennemente rappresentativa del palazzo, sul soffitto della quale A. D. Gabbiani celebrò ad affresco la gloria di casa Corsini. Al contrario, la vitalità creativa dell'architetto è provata dalla volontà di riproporre modelli provenienti da altri contesti culturali, ancora estranei alla realtà fiorentina del tempo. Se questa sua prerogativa probabilmente costò al F. la perdita dell'incarico per la villa Corsini a Castello, la quale, un tempo assegnatagli, ora arricchisce il catalogo delle opere di G. B. Foggini, nondimeno, negli stessi anni, si rivolsero a lui due fra le massime personalità del Granducato, il cardinale Francesco Maria de' Medici, fratello di Cosimo III, e il depositario generale F. Ferroni. Nei primi anni Novanta il F. ricevette l'incarico per la villa di Bellavista a Borgo a Buggiano dal Ferroni, che aveva acquistato la tenuta e il marchesato connesso direttamente da Cosimo III, all'indomani della sua incoronazione. A pianta rettangolare, con quattro padiglioni agli angoli a forma di torri dove si trovano scale e ambienti di servizio, la villa colpisce per l'ampia estensione della fronte principale, priva di ornamenti di sorta, sulla quale spicca solo il moderato aggetto del portico centrale a tre archi. Al piano nobile, al centro, si trova un ampio salone, circondato da ambienti simmetrici da entrambe le parti. Del F. è probabile sia anche la cappella adiacenteattribuitagli dal Torrigiani (1865), mentre la paternità della villa gli è assegnata dall'Ansaldi (1899).
Un'ampia documentazione consente di identificare nel F. l'autore della ristrutturazione della villa di Lappeggi per il cardinale Francesco Maria de' Medici, che si svolse per un decennio, dal 1698 al 1708.
Il risultato di questo intervento si può osservare in un'incisione di G. Zocchi (Firenze, Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi, n. 100712), dalla quale traspare tutta la magnificenza del complesso, oggi quasi completamente perduta. Oltre a decorare gli ambienti interni, che ospitavano le collezioni di disegni e porcellane del cardinale, il F. aggiunse le scuderie, il teatro, una cappella e un annesso per il gioco della pallacorda. Anche qui, come nella villa di Bellavista, si nota una grandiosità riferibile a esempi famosi di ville romane (Peretti, Borghese, Sacchetti, Pamphili), piuttosto che a quelli più contenuti della Toscana del Cinquecento.
Prova di un'indiscussa familiarità del F. con Roma è anche il suo ingresso all'Accademia di S. Luca nel 1706. Negli ultimi anni Novanta e nel primo decennio del XVIII secolo il F. fu attivo in vari lavori di ristrutturazione a Firenze, come nel secondo chiostro della Ss. Annunziata, nella villa di Pratolino, dove costruì un teatrino di corte nel 1697, nel conventino di S. Francesco di Sales (1700), nella chiesa conventuale di Annalena, dove oltre alla volta della nave centrale, affrescata dal Gabbiani, aggiunse due cappelle per parte, nel palazzo dei "visacci", già Altoviti, in borgo degli Albizzi, e infine, nel 1713, in palazzo Capponi. Di difficile datazione sono invece i progetti per la biblioteca del convento degli Angioli, ora non più esistente, e per il palazzo Franceschi in via Guicciardini, dove dell'edificio originario restano solo la scala e la facciata. Dal 1713 fu impegnato nell'ampio rifacimento del palazzo del conte Ugo Della Gherardesca a borgo Pinti, il quale volle conservare solo il cortile di quella che era stata la residenza quattrocentesca di Bartolomeo Scala, opera di Giuliano da Sangallo. Il F. progettò la facciata su borgo Pinti e quella a sud, che presenta due avancorpi collegati da due logge sovrapposte.
È ancora dubbio se fu il F. a mutare la veste interna di due chiese a Pescia: si tratterebbe della cattedrale, dove si lavorò fra il 1684 e il 1693, e della chiesa della Ss. Annunziata, ristrutturata nel 1713. Sicuramente suo è, invece, il progetto eseguito nel 1705 per l'oratorio del Crocifisso di San Miniato, commissionatogli dal vescovo della città, il quale, delle due soluzioni a pianta centrale presentategli dall'architetto, scelse quella a croce greca in luogo di quella circolare.
La croce dell'impianto è percepibile anche all'esterno poiché le estremità dei bracci sono collegate da tratti murari concavi: al centro si innalza una cupola nascosta all'esterno da un tiburio circolare coperto a tetto e concluso alla sommità da una lanterna cilindrica. È significativo che anche in questo caso, come in palazzo Corsini o nelle cappelline di S. Salvatore di Ognissanti, una certa enfasi ornamentale caratterizza solo alcuni punti, come l'altare maggiore, mentre sul resto dell'edificio la decorazione si limita a sottolineare la semplice volumetria architettonica di tutto l'insieme. Un'altra opera compiuta dal F. a San Miniato è il progetto per l'altare maggiore della chiesa dei Ss. Iacopo e Lucia, eliminato durante un restauro di questo secolo.
Guardando sia all'Ammannati sia al Buontalenti, il F. generalmente cercò di fonderne i suggerimenti con le novità del barocco: se gli esiti formali dei suoi tentativi suscitano perplessità, è innegabile che il F. fu interprete consapevole delle esigenze del suo tempo, con le relative incertezze di una fine secolo che preludeva ai multiformi sviluppi dell'architettura del Settecento. Questi infatti avrebbero spaziato dal rococò al neoclassico, tendenze che, in nuce, si ritrovano puntualmente nelle imprese portate a termine dall'architetto.
Oltre che nell'attività professionale privata, il F. fu impegnato in numerose perizie svolte per conto dell'ufficio di soprintendenza delle fabbriche dello Stato, delle quali, all'Archivio di Stato di Firenze, resta la documentazione relativa alle fortificazioni di Grosseto, Terra del Sole, Radicofani, Castrocaro, Monte Poggioli, Siena, San Miniato, nonché alle ville di Pratolino, di Poggio a Caiano e dell'Ambrogiana.
L'esperienza e l'interesse del F. per l'architettura militare sono provate anche dall'incarico conferitogli di lettore di architettura civile e militare presso l'Accademia dei nobili, istituita dal gran principe Ferdinando nel 1689. Relativo all'impegno didattico resta un suo volume autografo di quarantuno carte, con vari schemi di fortezze, intitolato Pratiche di prospettiva, fortificazione e artiglieria (Arch. di Stato di Firenze, Peruzzi de'Medici, vol. 261).
Infine un terzo settore importante dell'attività del F. è rappresentato dai progetti di apparati funebri, eseguiti tra l'altro per Leopoldo (1676) e Giovanni de' Medici (1689), per la granduchessa Vittoria (1694), per Carlo II di Spagna (1701), per l'imperatore Leopoldo I (1705), per l'imperatore Giuseppe I (1711), per Ferdinando de' Medici (1713) ed infine per Luigi XIV (1716).
Le cerimonie riguardanti membri di casa Medici o capi di Stato avevano luogo di regola nella chiesa di S. Lorenzo; le incisioni degli apparati che ci sono pervenute lasciano intendere come modelli del F. furono le contemporanee ideazioni romane sullo stesso tema di Carlo Fontana.
Il F. fu impegnato inoltre nell'allestimento di "macchine" per il melodramma Il Greco in Troia, dato alla Pergola in occasione del matrimonio di Ferdinando de' Medici con Violante di Baviera nel 1689, nella decorazione dell'arco trionfale a porta S. Gallo ornato con pitture monocrome, eretto per l'arrivo della sposa a Firenze, e disegnò gli abiti per il matrimonio di Anna Maria Luisa de' Medici nel 1691.
Il F. morì a Firenze il 24 genn. 1716.
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