SACCHINI, Antonio Maria Gasparo Gioacchino
– Nacque a Firenze il 14 giugno 1730 da Gaetano e da Maria Rosa Pratesi «coniugi del popolo di Santa Felicita», secondo il libro dei battezzati in S. Giovanni (Prota-Giurleo, 1952, p. 10); da Gastone e da Rosa Pratisi, secondo il rapporto dell’ufficiale giudiziario che inventariò i beni del defunto compositore a Parigi e che attestò l’esistenza di due sorelle, Arcangela e Anna (Prod’homme, 1908, p. 32).
Un filone biografico inaugurato da Gaspare Selvaggi, e dal suo presunto ritrovamento dell’atto di nascita, volle Sacchini nato a Pozzuoli il 23 luglio 1734 (Fétis, 1844; Florimo, 1869). Le notizie biografiche risalenti al secolo XVIII (Elogio..., 1786; Piccinni, 1788) e al XIX (cfr. Bertini, 1815; Sigismondo, 1820, 2016, pp. 226-234; De Rosa marchese di Villarosa, 1840) fissano invece la nascita a Napoli il 13 maggio (11 maggio o 25 giugno) 1735.
Sacchini studiò nel conservatorio di S. Maria di Loreto, sotto la guida di Francesco Durante – primo maestro di cappella, sostituito dopo la morte (30 settembre 1755) da Gennaro Manna – e di Pietrantonio Gallo per la composizione, di Nicola Fiorenza per il violino e la strumentazione. Nel 1756 affrontò il saggio compositivo di congedo, richiesto agli allievi più meritevoli, con l’intermezzo a cinque voci Il giocatore su libretto del notaio Pietro Trinchera (noto anche con il titolo Fra Donato derivato dal nome del protagonista), cantato dagli allievi in conservatorio e poi in palazzi nobiliari fuor di Napoli. Le carte dell’Archivio di Stato di Venezia (cfr. Polin, 2014) testimoniano che nella primavera del 1757 Sacchini fece parte della compagnia teatrale affittuaria del teatro di S. Salvatore a Venezia, impegnata nel ‘pasticcio’ metastasiano Demetrio. La puntata veneziana precedette dunque il debutto vero e proprio, avvenuto nella primavera del 1758 al teatro dei Fiorentini di Napoli con la commedia L’Olimpia tradita (librettista ignoto), qualche mese prima di essere nominato maestro di canto a S. Maria di Loreto a titolo straordinario (senza paga).
Nel biennio 1759-60 Sacchini proseguì la strada della commedeja musicando Il copista burlato e I due fratelli beffati per le stagioni d’autunno del teatro Nuovo. Nel Carnevale 1760 fu chiamato a comporre per il teatro Capranica di Roma due ‘intermezzi’ a quattro voci da recitare fra gli atti di un dramma di parola: Il monte Testaccio (con arie di Giacomo Insanguine) e La vendemmia, su libretto appositamente scritto da Carlo Goldoni, autore anche delle commedie in prosa da essi frammezzate. Il 15 maggio 1761, pochi giorni prima di esordire al San Carlo di Napoli con l’opera seria L’Andromaca (30 maggio; libretto risalente all’Astianatte di Antonio Salvi), Sacchini fu eletto secondo maestro di cappella a S. Maria di Loreto accanto al suo ex docente Gallo, salito al vertice del conservatorio dopo la rinuncia di Manna (Boccia, 2004, p. 652); ma cedette l’incarico a Fedele Fenaroli già nell’ottobre 1762, quando, prodotti altri tre lavori comici per i teatri di Napoli e Roma, si recò a Venezia per seguire l’allestimento del suo Alessandro Severo (da Apostolo Zeno) al teatro di S. Benedetto, previsto per il carnevale successivo. Fin dai primi anni napoletani Sacchini fu legato a Niccolò Piccinni da un’amichevole rivalità – nel 1761 musicarono insieme La massara spiritosa e Il curioso imprudente, e l’anno dopo Il cavalier parigino – che lo accompagnò per l’intera carriera; non è improbabile che il suo inserimento nella vita musicale di Roma prima, e di Parigi poi, avvennisse grazie ai buoni uffici del maestro barese.
Fissato intorno ai primi del 1763 il domicilio in Roma (l’Indice de’ teatrali spettacoli lo registrò poi come operista «romano»), fino al Carnevale 1765 Sacchini compose esclusivamente drammi di Pietro Metastasio e dello Zeno per i teatri di Venezia (Alessandro nell’Indie, S. Salvatore, maggio 1763), Padova (L’Olimpiade, Nuovo, 9 luglio 1763), Roma (Semiramide riconosciuta ed Eumene, Argentina, Carnevale 1764 e 1765) e Napoli (Lucio Vero, San Carlo, 4 novembre 1764). Il successo del Creso, la quarta opera seria allestita al San Carlo (4 novembre 1765; libretto dell’abate romano Gioacchino Pizzi, il castrato Giuseppe Aprile nel cast), consolidò la sua fama. Nel Carnevale 1766 Sacchini scrisse per il teatro Valle di Roma due fortunatissimi intermezzi a quattro voci – La contadina in corte, libretto di Giuseppe Petrosellini (cfr. Mattei, 2015), e L’isola di Amore, rimaneggiamento di un testo di Gasparo Gozzi – gratificati rispettivamente di trentanove e ventun riprese nei teatri italiani ed europei fino al 1798. Il secondo dei due, parodiato da Nicolas-Étienne Framery con il titolo La colonie, e rappresentato alla Comédie Italienne il 16 agosto 1775, aprì poi al compositore l’ingresso sulle scene parigine. Non essendo concesso alle cantanti di esibirsi sui teatri pubblici di Roma, le parti di ‘prima buffa’ nelle due opere, Sandrina e Belinda, spettarono al castrato (e compositore) Venanzio Rauzzini, che con Sacchini strinse una fruttuosa amicizia, destinata a infrangersi durante il soggiorno londinese.
Trascorso il 1767 senza nuove opere – salvo il componimento sacro Lo sposalizio di Abigaille con Davide per la monacazione di Argentina Mollo dei duchi di Lusciano nel convento partenopeo di Regina Coeli – Sacchini fu impegnato a Roma nei primi mesi del 1768 sul versante devozionale con l’oratorio Ester, su quello teatrale serio con Artaserse all’Argentina (primo uomo Gaetano Guadagni, reduce dai successi viennesi) e su quello buffo al Valle con Il finto pazzo per amore, altro intermezzo a quattro voci (da attribuirsi forse a Petrosellini) che circolò poi in decine di teatri fino al 1797.
L’8 agosto 1768 Sacchini fu eletto maestro del coro nell’Ospedaletto, il conservatorio dei Derelitti di Venezia, su indicazione di Tommaso Traetta che, in procinto di trasferirsi a Pietroburgo per servire Caterina II, lo aveva segnalato come degno supplente (cfr. Gillio, 2006).
Un Magnificat, un mottetto e un Salve regina furono le sue credenziali compositive; nell’aprile del 1769, per il triduo di canonizzazione di Girolamo Miani, compose una messa, un vespro, tre mottetti, un Te Deum e la cantata a sei voci Charitas omnia vincit, testo di Pietro Chiari; questi approntò anche i libretti dei tre successivi oratori latini cantati per l’Assunta: Machabaeorum mater (1770, eseguito dalle allieve di Sacchini più promettenti, Laura Conti, Francesca Gabrieli, Domenica Pasquati, Ippolita Santi, e ascoltato con entusiasmo da Charles Burney), Jephtes sacrificium (1771), Nuptiæ Ruth (1772).
Dal 1768 fino al 4 maggio 1778, data della prima londinese dell’Amor soldato, Sacchini si dedicò al solo dramma eroico: dopo Il Cidde (Roma, Argentina, Carnevale 1769, libretto di Pizzi) e Nicoraste (Venezia, S. Benedetto, maggio 1769, testo di Bartolomeo Vitturi, interprete di spicco di nuovo Aprile), tentò di affermarsi nelle corti d’Oltralpe – con il consenso dei governatori dell’Ospedaletto, non restii a concedere lunghi congedi – proponendo a Monaco di Baviera Scipione in Cartagena, verseggiato dal poeta di corte Eugenio Giunti, e una riduzione in due atti del metastasiano Eroe cinese (8 gennaio e 27 aprile 1770); di entrambe le opere Rauzzini fu il primo uomo. Nello stesso periodo Sacchini approntò le musiche della Calliroe sull’innovativo libretto di Mattia Verazi per il teatro del duca Carlo Eugenio del Württemberg a Ludwigsburg (11 febbraio 1770), ma le disastrose condizioni economiche del ducato non permisero che gli venisse stipulato un contratto vantaggioso come quello di cui aveva goduto Niccolò Jommelli fino a pochi mesi prima. Fece quindi ritorno a Venezia, dove nel maggio del 1771 mise in musica, sempre per il S. Benedetto, Adriano in Siria (dotato di interessanti finali d’atto a più voci che modificavano il testo metastasiano alla maniera di Jommelli). Alla quinta fatica sancarliana (Ezio, 4 novembre 1771) fece seguito la fortunata Armida su testo di Giovanni De Gamerra al Ducale di Milano per il Carnevale 1772, con la parte di Rinaldo affidata al celebre sopranista Giuseppe Millico. Il successivo 7 settembre Sacchini chiese agli amministratori dell’Ospedaletto la restituzione di un deposito di 600 ducati: probabilmente intendeva prepararsi al trasferimento a Londra, che si concretò a inizio 1773 (il 19 gennaio nel teatro di Haymarket andò in scena Il Cid, libretto di Giovanni Gualberto Bottarelli); in primavera il compositore presentò le dimissioni ufficiali dall’Ospedaletto, indicando per successore Pasquale Anfossi.
Secondo il ricordo di Piccinni (cfr. Piccinni, 1788), Sacchini fu invogliato a spostarsi in Inghilterra dal castrato Tommaso Guarducci, che nel 1769 era stato Rodrigo nel Cidde, a ridosso di una felice tournée londinese. A incentivarlo contribuirono senza dubbio sia gli elogi di Burney, sia le prospettive di guadagno offerte dalle paghe del teatro di Londra, tra le più alte in Europa. Sacchini rimase in Inghilterra dieci anni (ventitré in totale i suoi melodrammi dati a Londra fino al 1797), componendo ex novo otto opere serie e due comiche per il King’s Theatre in Haymarket, gestito da James Brooke e Richard Yates con le rispettive mogli, poi, dal 1778 al 1781, da Richard Sheridan e Thomas Harris.
Il debutto a Londra era avvenuto nel 1767 con una ripresa del Creso (riallestito poi nel 1774, nel 1777-78 e nel 1781), e il compositore vi era tornato nel 1771 con una rielaborazione della Contadina in corte mutata in dramma giocoso a sei personaggi (riproposta nel 1779 e nel 1782). Il successo dei drammi seri di Sacchini fece sì che sulla scena londinese, fino allora dominata dalla logica produttiva del ‘pasticcio’ adespoto e dallo strapotere dei divi canori, si sviluppasse una maggiore considerazione per l’importanza e il peso artistico del compositore delle musiche. Il pubblico inglese identificò Sacchini come il campione dell’opera seria e accolse senza riserve le innovazioni esibite da opere come Erifile regina di Zacinto (libretto di De Gamerra, 7 febbraio 1778), Enea e Lavinia (Bottarelli, 25 marzo 1779), Rinaldo (rifacimento dell’Armida del librettista Jacopo Durandi, 22 aprile 1780), nelle quali trovavano posto ‘numeri’ complessi a più voci, scene corali articolate, balletti intrecciati all’azione, uccisioni a vista e lugubri tableaux rivelatori di una nuova sensibilità preromantica (ben percepibile anche nelle elaborate concatenazioni armoniche di cui è ricca la scrittura sacchiniana di quegli anni). Con tutto ciò, è fuor di dubbio che l’esito delle opere serie di Sacchini dipese in primis da interpreti quali Rauzzini, Millico e Gaspare Pacchierotti, che seppero riattivare nell’uditorio londinese il divismo dell’epoca di Farinelli. Le partiture londinesi risultano disperse: se ne conoscono soltanto i brani scelti inclusi nei Favourite songs editi da Robert Bremner.
Le prime notizie biografiche su Sacchini a Londra ritraggono il compositore coperto di debiti, contratti per una vita sregolata divisa tra le donne e il gioco d’azzardo. È lecito supporre che il decennio londinese fu angustiato piuttosto dalle difficoltà pratiche – litigi tra cantanti, ballerini e librettisti, totale mancanza di disciplina durante le prove – che affliggevano la gestione dell’Opera House (priva per allora di un direttore musicale), puntualmente documentati nei diari e nell’epistolario della figlia di Burney, Susanna (Susan), e spesso stigmatizzati sui quotidiani inglesi. Inoltre, in più punti dei suoi diari, la figlia del musicologo, descrive un Sacchini allettato per gravi malanni che gli impedivano di presenziare anche alle prime dei suoi lavori: si trattava forse di crisi nefritiche o episodi di artrite infiammatoria connessi alla gotta che nel giro di qualche anno lo portò alla tomba. La decisione di abbandonare Londra al termine dell’annata teatrale 1781-82 maturò in seguito al contenzioso con Rauzzini, che aveva accusato di plagio Sacchini: la sua credibilità professionale fu compromessa dalle maldicenze pubblicate sul Morning Herald e sul Morning Post (nella cerchia dei Burney, Sacchini dovette incontrare Joshua Reynolds, che intorno al 1774 gli fece un ritratto a olio; cfr. Heartz, 2014).
Framery, fautore dell’accoglienza dell’opera italiana in Francia, con La colonie (riscrittura dell’Isola di Amore) aveva ottenuto un successo straordinario (189 recite alla Comédie Italienne tra il 1775 e il 1790); dopo essersi recato a Londra nel 1776 per convincere Sacchini a trasferirsi a Parigi, tentò la difficile importazione del dramma serio italiano mutando L’Olimpiade del Metastasio in drame héroïque mêlé de musique, ovvero in tragedia di parola frammezzata da numeri musicali che recuperavano quelli composti da Sacchini per l’allestimento padovano del 1763. L’opera andò in scena alla Comédie Italienne il 2 ottobre 1777 e a Fontainebleau il 24, al cospetto dei reali, suscitando in Maria Antonietta un primo interesse nei confronti di colui che divenne poi uno dei suoi musicisti prediletti. Nell’estate del 1778 Sacchini fu a Parigi per tentare di far rappresentare in francese alcune sue opere italiane; secondo un aneddoto riportato dai fautori di Piccinni (Ginguené, 1801, pp. 58 s.), in quell’occasione visitò il musicista barese, che lo accolse con estremo affetto nella sua casa di Bagnolet. Il 28 marzo 1779 i Concerts spirituels delle Tuileries proposero selezioni di arie sacchiniane, e l’8 luglio andò in scena all’Opéra la ripresa del londinese Amor soldato, unico melodramma di Sacchini cantato in italiano a Parigi (Fabiano, 2006, pp. 242 s.). Il 17 ottobre 1781 il commissario generale della Maison du roi, Denis Papillon de La Ferté, e il segretario di Stato Antoine Amelot ratificarono il contratto con il quale Antonie Dauvergne, direttore dell’Opéra, impegnava Sacchini a comporre tre tragédies en musique per 30.000 franchi. Con la garanzia di questa importante commissione, forte dell’apprezzamento della regina e del sostegno di Framery e Dauvergne, Sacchini si stabilì infine a Parigi. Nella primavera del 1782, a ridosso dell’ormai sopita querelle che aveva diviso i sostenitori di Gluck e Piccinni, prese residenza in un appartamento al secondo piano dell’Hôtel de Russie in rue Richelieu 15 affittatogli da Charles Soldato, commerciante di caffè e liquori; il russo Darivoud Belleff, detto Laurent, fu il domestico personale. Nel marzo del 1782 Dauvergne rassegnò le dimissioni dall’Opéra, che fino al 1785 passò nelle mani di un comitato – fortemente influenzato dal conte di Provenza, il fratello di Luigi XVI (Louis-Stanislas-Xavier), e da La Ferté – piuttosto ostile nei confronti di Sacchini in quanto protetto della regina.
Il libretto di Renaud ou La suite d’Armide, confezionato da Jean-Joseph Lebœuf, fu infatti giudicato inadeguato, e l’imposizione di continue correzioni da apportare fece slittare la data della prima al 25 febbraio 1783. A interpretare Armide fu il soprano delle opere francesi di Gluck, Rosalie Levasseur; la parte di Renaud spettò al tenore Joseph Legros. Accolto dapprima con tiepidezza, Renaud poté radicarsi nel repertorio dell’Opéra (fino al 1792) soltanto dopo il successo mietuto alla quarta recita, il 14 marzo, presente la regina in sala e con la parte della protagonista affidata ad Antoinette Saint-Huberty.
Da una lettera di Amelot a La Ferté del 31 maggio 1783 (Tonolo, 2005, p. 2) si apprende che il poeta Guillaume Dubois de Rochefort aveva proposto a Sacchini il libretto Chimène et Rodrigue, modellato sul Gran Cid di Giovanni Jacopo Alborghetti (1715). Il compositore rifiutò quel testo ma apprezzò il soggetto (peraltro da lui già affrontato a Roma nel 1769 e a Londra nel 1773), che sotto la penna di Nicolas-François Guillard divenne Chimène ou Le Cid. Questa seconda tragédie en musique ispirata a Pierre Corneille fu posta in concorrenza con la Didon di Piccinni negli allestimenti che ebbero luogo a Fontainebleau il 16 e il 18 novembre 1783 al cospetto dei sovrani. Il 9 febbraio 1784 Chimène andò in scena all’Opéra con un buon incontro, testimoniato dall’apprezzamento di Jean-Baptiste Suard sulle pagine del Mercure de France. L’assimilazione della melodrammaturgia francese fu infine appieno compiuta con Dardanus, ancora su libretto di Guillard, ispirato alla tragédie en musique che Leclerc de La Bruère aveva approntato per Jean-Philippe Rameau nel 1739. Presentato in settembre al Trianon di Versailles in forma scenica ma senza l’apporto di macchinerie adeguate, Dardanus fece poi fiasco all’Opéra (30 novembre 1784), complice l’assenza della regina e la cabala ordita da Saint-Huberty che si era vista preferire Marie-Thérèse Maillard.
L’esclusione di Dardanus dal repertorio dell’Opéra avrebbe impedito a Sacchini di usufruire della retribuzione di mille franchi – poi riscossa dal 1° aprile 1786 – che dal 1778 Luigi XVI aveva destinato a tutti i musicisti che avessero composto almeno tre opere di cartello per l’Opéra. Dopo una felice ripresa a Fontainebleau nell’ottobre 1785, Dardanus, ridotto a tre atti, tornò in scena per volere di Maria Antonietta il 12 gennaio 1786 all’Opéra, nuovamente gestita da Dauvergne, ed ebbe consensi unanimi.
Il 1° giugno 1785, poco prima che scadesse il contratto triennale con l’Opéra, Sacchini era stato incaricato di musicare il libretto vincitore del concorso bandito da Luigi XVI il 3 gennaio 1784, che invitava i poeti francesi a verseggiare un soggetto del tutto inedito. Il 16 giugno 1785 Œdipe à Colone di Guillard ottenne la palma, e Sacchini ne avviò la composizione in novembre, risiedendo a Versailles in casa di Charles Bazin e Madeleine Thibault, dama di compagnia della regina (la loro figlia Françoise fu allieva del compositore, che per lei confezionò antologie vocali ancor oggi conservate). L’incompletezza delle dotazioni scenotecniche del nuovo teatro di Versailles, che il 4 gennaio 1786 ospitò la prima di Œdipe, impedì un esito positivo; fu progettato un allestimento a Fontainebleau per l’autunno seguente e all’Opéra in inverno. Nella primavera del 1786 la ripresa del Dardanus e la nuova commissione di Arvire et Évélina, su un libretto di Guillard ispirato al Caractacus di William Mason (1759), risollevarono le sorti di Sacchini, che in quei mesi ufficializzò il suo legame con la massoneria parigina affiliandosi alla loggia Saint-Jean d’Écosse du Contrat social (Pinaud, 2009, p. 284). Sfruttando l’intermediazione di Bazin, il compositore riattivò l’attenzione di Maria Antonietta, che nello spazio intimo del Petit Trianon ascoltò anticipazioni della nuova tragédie. In una lettera del 5 giugno indirizzata alla figlia dei Bazin, Sacchini accusava la direzione dell’Opéra di ordire una «gabbola» ai suoi danni (Sauvé, 2006, p. 110), che trovò poi conferma nei fatti: gli intrighi di palazzo che attanagliarono la regina – il 30 maggio 1786 il cosiddetto affaire du collier si era chiuso a sorpresa con l’assoluzione del cardinale di Rohan – le impedirono di concretizzare le progettate riprese di Œdipe, perciò destinato a un successo postumo (dal 1° febbraio 1787 al maggio 1844 se ne contarono 583 recite). Convinto di aver perso l’appoggio della sovrana, Sacchini entrò in uno stato di prostrazione psichica aggravato dall’inasprirsi della gotta.
Morì la notte del 6 ottobre 1786 (Prod’ homme, 1908, p. 26) nell’appartamento di rue de Richelieu.
L’allievo Jean-Baptiste Rey, direttore dell’orchestra dell’Opéra, s’impossessò della partitura di Arvire et Évélina dichiarando che Sacchini sul letto di morte lo aveva designato per completare il terzo atto dell’opera, escludendo così Piccinni, al quale la regina aveva affidato lo stesso compito (l’opera andò poi in scena con buon successo il 29 aprile 1788; fu tradotta in italiano da Lorenzo da Ponte per una ripresa allo Haymarket di Londra nel 1797).
A ridosso della scomparsa del compositore, sui giornali parigini, italiani e londinesi si moltiplicarono necrologi elogiativi. Il 23 giugno 1787 nel Pantheon di Roma fu collocato il busto commemorativo commissionato da Antoine Berto Desfebues Dannery e scolpito dal pistoiese Francesco Carradori (oggi nella Protomoteca Capitolina), accompagnato da un’iscrizione in latino dell’abate Luigi Lanzi. L’11 gennaio 1788 a Parigi in Sainte Marie du Temple fu eseguita una messa solenne in suffragio di Sacchini, che fu poi ricordato in febbraio ai Concerts spirituels con l’esecuzione dell’oratorio Esther e il 21 aprile alla chiesa dei Cappuccini in rue Saint-Honoré con un Requiem appositamente scritto da Marc-Antoine Désaugiers. Per oltre un lustro il mondo musicale e intellettuale parigino e italiano continuò a tributare onori all’eccellenza artistica di Sacchini (Giuseppe Parini gli dedicò l’ode Te con le rose ancora): i contemporanei lo collocarono tra i massimi esponenti di un nuovo modo di concepire l’opera seria da un lato e la tragédie en musique dall’altro. L’eclettismo di scrittura segnò la cifra stilistica di Sacchini, che più di altri operisti seppe dare corpo sonoro al cosmopolitismo del secondo Settecento.
Opere non menzionate. La finta contessa (Roma, Granari, 1762); L’amore in maschera ossia Il tutore burlato (Roma, Valle, 1762); Li due bari commedia per musica (Napoli, Fiorentini, 1762); Tamerlano (Londra, Haymarket, 6 maggio 1773); Perseo (Londra, Haymarket, 29 gennaio 1774); Nitteti (Londra, Haymarket, 19 aprile 1774); Motezuma (Londra, Haymarket, 7 febbraio 1775); L’avaro deluso o sia Don Calandrino (Londra, Haymarket, 24 novembre 1778); Mitridate (Londra, Haymarket, 23 gennaio 1781).
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