PANICO, Antonio Maria
PANICO, Antonio Maria. – Nulla si sa della famiglia d’origine, come ignoti sono il luogo e la data di nascita di questo pittore, vissuto a cavallo fra il XVI e il XVII secolo.
Le fonti più antiche lo dicono bolognese (Mancini [1617-21]; Bellori, 1672; Malvasia, 1678) e così i principali scrittori d’arte successivi, fino a Luigi Lanzi (1795-96). Stando a Malvasia, fu «coetaneo dei Carracci» (Scritti originali, p. 381), il che concorda con la prima notizia documentaria che lo riguarda: con atto notarile del 9 agosto 1588, fu nominato a Parma, insieme a Jan Soens e Giovan Battista Tinti, fra i periti preposti alla valutazione di alcuni beni messi all’asta da Gabriele Bombasi, letterato reggiano al servizio dei Farnese (Archivio di Stato di Parma, Notarile, 1588, b. 3097; cfr. Brogi, 1988, pp. 40, 47 n. 6; Bertini, 1996). Nel documento, a conferma delle sue origini, Panico è detto «bolognese», nonché pittore del vescovo di Parma Ferrante Farnese. L’importanza dell’incarico, insieme a due artisti di spicco come Soens e Tinti, e la qualifica di pittore del vescovo di Parma inducono a credere che a quelle date fosse già un artista maturo e affermato. Parrebbe quindi ragionevole ipotizzarne la nascita fra 1555 e 1560.
Nessun riscontro, entro quei termini, nei registri battesimali bolognesi. Tuttavia, merita segnalare che un Antonio, figlio di Lorenzo Panico (unica occorrenza di tale cognome nei decenni interessati), fu battezzato a Bologna il 24 agosto 1547 (Bologna, Archivio generale arcivescovile, Registri battesimali della cattedrale, vol. 17, c. 329 v).
Secondo Malvasia, Panico compì la sua formazione a Bologna con Prospero Fontana e poi con Denis Calvaert, per transitare in seguito nella bottega di Ludovico Carracci, prima di raggiungere Annibale a Roma. Come allievo di quest’ultimo lo ricordano le fonti romane: Bellori, e prima di lui Mancini, secondo il quale l’artista passò giovanissimo al servizio di Mario Farnese, duca di Latera. Alla luce del documento del 1588, è probabile che a far da tramite sia stato proprio Ferrante, fratello di Mario, ed è certo che il trasferimento nei possedimenti farnesiani dell’Alto Lazio, dove l’artista visse sempre (Bellori), si accasò e prese moglie (Malvasia), sia avvenuto dopo quella data. In ogni caso, nulla resta della sua produzione in patria. Provano invece la sua presenza a Farnese, sulla metà degli anni Novanta, tre lettere autografe del pittore rintracciate da Roberto Zapperi e mai pubblicate (Roma, Archivio capitolino, Archivio Orsini, Corrispondenza Santacroce, b. 267, n. 120, b. 268, nn. 18, 179), inviate da Farnese a Roma, a un signore del rango di Onofrio Santacroce. Datate fra marzo 1595 e agosto 1596, testimoniano di una certa consuetudine con il destinatario, committente di un’Annunciazione non identificabile e di un altro «quadro», e collimano con il fatto che proprio al 1596 risalgono i Misteri del Rosario, realizzati a fresco in S. Salvatore a Farnese, ricordati da Bellori: l’opera più antica a noi nota.
Pubblicate da Schleier (1970), e citate in una visita pastorale del maggio 1596 come in corso d’opera, le vivaci scenette denotano una cultura schiettamente manierista, più parmense che bolognese, ma nessuna inflessione carraccesca. Ad esse si ricollegano altri cicli a fresco stilisticamente analoghi e probabilmente coevi: uno in S. Anna fuori Farnese, firmato, con Storie della Vergine, già ricordato da Bellori (che cita pure un’Annunciazione e una Presentazione della Vergine su tela, disperse); altri a Barbarano, Madonna del Piano, citato da Malvasia, e in S. Rocco a Ischia di Castro (Alloisi, 1982). Più recente l’identificazione del S. Sebastiano a fresco menzionato da Bellori in una chiesa di Latera con quello in S. Maria della Cava (Ricci, 1998).
Mancini ([1617-21], 1956, I, p. 216) riferisce che Panico, dopo i lavori a Farnese, fu chiamato a Roma dall’architetto e pittore bolognese Ottaviano Mascherino per eseguire «alcune cose a fresco», oggi perdute, «nel palazzo [già Santacroce e dal 1603 passato al Monte di Pietà] di monsignor Fantin Petrignani» , uno dei protettori del giovane Caravaggio. Ciò dovette avvenire, per varie ragioni, negli ultimi anni del secolo (Nicolai, 2012, p. 124) e la notizia trova conferma in due delle lettere sopra citate, datate 19 luglio e 8 agosto 1596, nelle quali Panico esprime l’intenzione di recarsi nell’Urbe di lì a poco. Fu senz’altro in quell’occasione che entrò in contatto con Annibale Carracci, forse divenendone per qualche tempo collaboratore, prima che dal 1602 giungessero dall’Emilia altre giovani leve. Di certo la conoscenza della produzione romana del grande pittore, intorno al 1600, dovette colpirlo profondamente, al punto da generare in lui una radicale conversione al severo classicismo moderno di marca bolognese. Lo si riscontra nel Miracolo dell’Eucaristia per la cappella del Ss. Sacramento in S. Salvatore a Farnese, che Panico licenziò entro il 1603, verosimilmente una volta fatto ritorno nell’Alto Lazio: una pala vistosamente allineata al nuovo ideale classicista.
L’opera, non in ottimo stato, è ricordata da tutte le fonti, a partire da Mancini ([1617-21], 1956, p. 216) e ancora una volta il terminus ante è dato da una visita pastorale del maggio 1603, che la dice in opera (Schleier, 1970). Non sembra invece degna di fede la notizia riportata dallo stesso Mancini, relativa a un intervento diretto di Annibale nella sua realizzazione. Un disegno preparatorio al Louvre, da tempo restituito a Panico (Loisel, 2013), attesta le notevoli doti disegnative dell’artista e la sua esclusiva responsabilità nell’elaborazione del dipinto. La proposta di assegnare a Panico (Posner, 1970) altre opere di matrice carraccesca, come il Rinaldo e Armida oggi a Napoli (Museo di Capodimonte) o il bel S. Giovanni Battista nel deserto oggi a Londra (National Gallery), non ha trovato consensi unanimi (Bertini, 1995), benché del tutto ragionevole (Brogi, 1988).
Tale conversione, non dissimile da quella di altri contemporanei come Rutilio Manetti o Giovanni Baglione passati in questo caso dall’astrazione manierista al naturalismo caravaggesco, fu definitiva. Lo testimonia un’altra grande pala, di notevole impatto e nobiltà oggi a Dublino (Nation-al Gallery of Ireland), con il Crocifisso fra i ss. Francesco e Antonio, dipinta entro il 1604 per la chiesa conventuale dei Ss. Giacomo e Cristoforo sull’Isola Bisentina, presso Viterbo. Ad assegnarla a Panico è ancora Bellori, che la ricorda insieme ad altri due dipinti, un S. Giacomo Apostolo e un S. Eustachio, dispersi dopo il trasferimento delle tre tele in Vaticano sotto il pontificato di Clemente XI (1700-21). La datazione si evince dalla presenza dei ss. Francesco e Antonio, che vincola l’esecuzione a quando il convento di cui la chiesa faceva parte era retto dai frati minori, soppiantati dai camaldolesi di Montecorona nel 1604 (Posner, 1970, p. 181).
Sostenuta da un alto rigore formale che accoglie con intelligenza il classicismo morale dell’Annibale tardo, la pala ha costituito il principale punto d’appoggio per l’aggiunta al catalogo di Panico di altre opere di impronta carraccesca stilisticamente affini (Brogi, 1988), fra le quali un bellissimo Compianto sul Cristo morto (Tours, Musée des Beaux-Arts) e una S. Agnese (Pinacoteca Vaticana), anch’essa proveniente dal convento bisentino (C. Pietrangeli, La Pinacoteca Vaticana di Pio VI, in Bollettino dei monumenti, musei e gallerie pontificie, III [1982], pp. 179 s.): aggiunte ancora una volta contestate da una parte della critica (Bertini, 1995), che è arrivata persino a negare a Panico, in contrasto con le parole di Bellori, la paternità della pala oggi a Dublino, dirottata su Innocenzo Tacconi, altro seguace di Annibale, ma diversamente connotato e mai così nobile.
Null’altro si conosce delle vicende biografiche di Panico, se non che – come riporta Mancini ([1617-21], 1956, p. 216) – «morì nello Stato di quel Signore», cioè Mario Farnese, e più precisamente, secondo Bellori, «in Farnese». Sempre secondo Mancini, sarebbe morto lasciando incompiuta la pala dell’Eucaristia per S. Salvatore, notizia che appare poco verosimile, anche per via – come si è detto – della datazione del dipinto entro il 1603. Di certo resta che lo stesso autore, le cui Considerazioni furono scritte fra 1617 e 1621, rubrica Panico fra gli artisti già scomparsi.
Fonti e Bibl.: G. Mancini, Considerazioni sulla pittura (1617-21), I, a cura di A. Marucchi - L. Salerno, Roma 1956, pp. 95, 215 s.; G.P. Bellori, Le vite de’ pittori, scultori e architetti moderni (Roma 1672), a cura di E. Borea, I, Torino 2009, pp. 96 n. 2, 100 n. 8, 101 n. 1, 103 s.; C.C. Malvasia, Felsina Pittrice. Vite de’ pittori bolognesi (1678), Bologna 1841, I, pp. 328, 352, 406, II, pp. 120, 123; Scritti originali del Conte Carlo Cesare Malvasia spettanti alla sua Felsina Pittrice, a cura di L. Marzocchi, Bologna s.d. (1983 circa), pp. 48 s., 381; L. Lanzi, Storia pittoricadella Italia, Bassano 1795-96, II, 2, p. 92; H. Voss, Die Malerei des Barock in Rom, Berlin 1924, p. 501; E. Schleier, P., Gentileschi and Lanfranco at S. Salvatore in Farnese, in The Art Bulletin, LII (1970), pp. 172-180; D. Posner, A.M. P. and Annibale Carracci, ibid., pp. 181-183; S. Alloisi, in Un’antologia di restauri. Cinquanta opere restaurate dal 1974 al 1981 (catal.), Roma 1982, pp. 126-128; A. Brogi, Aggiunte ad A.M. P., in Paragone, XXXIX (1988), 459-461-463, pp. 39-49; F. Ricci, La chiesa di S. Anna o S. Maria della Cavarella a Farnese: un episodio di pittura ermetica, in Informazioni, II (1993), 9, pp. 57-68; A. Brogi, Innocenzo Tacconi e l’officina classicista: un’eredità dilapidata, in Paragone, XLVI (1995), 539, pp. 27-57; G. Bertini, A.M. P., in La scuola dei Carracci. I seguaci di Annibale e Agostino, a cura di E. Negro - M. Pirondini, Modena 1995, pp. 251-258; Id., Considerazioni su documenti relativi ad A.M. P. e sulle copie degli affreschi del Correggio a Capodimonte, in Aurea Parma, LXXX (1996), 1, pp. 43-51; F. Ricci, Postille ad A.M. P.: due opere ritrovate, in Informazioni, VII (1998), 15, pp. 63-70; F. Nicolai, Le committenze artistiche di Fantino Petrignani tra Roma e Amelia, in Studi di storia dell’arte, XXIII (2012), pp. 121-126; C. Loisel, Dessin italiens du Musée du Louvre. 10.Dessins Bolonais du XVIIe siécle, II, Paris-Milan 2013, pp. 78-80.