NIGRO, Antonio Mario
NIGRO, Antonio Mario. – Nacque a Pistoia il 28 giugno 1917, quarto e ultimo figlio di Gabriele, professore di matematica, e di Giulia Pecori.
A Pistoia visse fino al 1922, quando la famiglia si trasferì ad Arezzo. Fu avviato a studi musicali, ma nel 1929 i Nigro si spostarono nuovamente, stabilendosi a Livorno, e l’amore per la musica venne sostituito da quello per la pittura: «A sedici anni cominciavo a fare i primi quadri dal vero, mia sorella mi aveva regalato dei tubetti di colore ad olio» (così in M. N., 2009, p. 49). Terminato il liceo scientifico, si iscrisse alla facoltà di chimica dell’Università di Pisa, ottenendo la laurea nel 1941 (dopo la guerra, nel 1947, conseguì una seconda laurea in farmacia). L’esordio artistico – come per molti altri suoi coetanei – avvenne entro la vivace cornice dei Gruppi universitari fascisti (GUF), alla cui attività partecipò intensamente. Alla Mostra di pittura e scultura organizzata nel 1940 dal GUF di Livorno, espose un fiero Autoritratto dal carattere ancora acerbo (coll. priv.; ripr. ibid., p. 51).
Di questo periodo ricordò, nel 1986: «Poi [vi fu] la grande beffa ai primi mesi del ’43: organizzammo di cambiare il disegno della testata della pagina studentesca del locale giornale fascista [Sentinella Fascista]. Modificai certi simboli in modo che la bandoliera del soggetto risultava maledettamente somigliante ad una falce e la scure del fascio divenne un martello. Questa nuova testata venne pubblicata per una volta poi mi accorsi che ero sempre pedinato, cominciarono poco dopo i bombardamenti che dispersero pedinatori e pedinati» (ibid.).
Dopo la fine della guerra fu da subito attivissimo: nel novembre 1945 tenne infatti una mostra a Livorno con il Gruppo artistico moderno, di cui fu uno dei fondatori. Tra il 1946 e il 1948 espose in numerose mostre collettive, dapprima adottando il linguaggio neocubista – allora assai diffuso in tutta Europa – poi virando verso un’astrazione geometrica caratterizzata da piatte stesure di colori puri. Testimonia chiaramente questa fase di passaggio una Natura morta datata 1947, nella quale brillanti e antinaturalistiche campiture di colore si scontrano con il segno nero, di matrice picassiana, di cui son fatti il tavolo e gli oggetti (coll. priv.; ripr. ibid., p. 52 n. 3). Con opere come questa si presentò nell’estate del 1947 alla Mostra di pittura italiana contemporanea, allestita nel palazzo della Giornata di Pisa, una delle prime rassegne di interesse nazionale del dopoguerra. Visitata la XXIV Biennale di Venezia del 1948, chiarì una volta per tutte la propria linea di ricerca, inviando – già nel mese di giugno – un primo quadro astratto al Gran Premio Forte dei Marmi. In questo periodo entrò in contatto con il Movimento arte concreta (MAC), organizzazione che aveva sede a Milano e che mirava ad aprire un dialogo con la corrente concretista europea. L’ingresso nel MAC fu sancito, nel dicembre 1949, dalla mostra personale di disegni e tempere che tenne nelle sale della galleria Salto di Milano, sede espositiva del movimento. I dipinti di quel periodo alternavano motivi lineari a campiture uniformi e piatte, coniugando geometria e studio del movimento. A differenza degli altri compagni del MAC, si rifaceva apertamente al futurismo, e in particolare alle prime prove astratte di Giacomo Balla.
Nel 1986 l’artista ricordava: «mi allacciavo più a certi problemi che costituivano la parte migliore del futurismo, come la derivazione della simultaneità, che doveva costituire il movimento dei futuristi, e che traducevo in simultaneità di linee e in patterns iterativi con effetti ottici e una base programmata. Queste mie esperienze mi caratterizzavano, dal 1948 al 1950, con i ritmi continui simultanei e con i pannelli a scacchi» (ibid., p. 70).
Nel 1950, insieme con gli amici Gianni Bertini e Ferdinando Chevrier, espose alla libreria Vallerini di Pisa dando vita a una sezione locale dell’Art Club, l’associazione fondata alcuni anni prima da Enrico Prampolini e Joseph Jarema. Nel febbraio 1951 tenne la seconda personale alla galleria Salto, e poco dopo prese parte alla grande rassegna Arte astratta e concreta in Italia, allestita nella Galleria nazionale di arte moderna di Roma. Al 1951 risale un’altra personale, ordinata alla galleria Vigna Nuova di Firenze e, soprattutto, la partecipazione al VI Salon des Réalités nouvelles, ove espose Pannello a scacchi bianchi e neri (Pistoia, Museo di Palazzo Fabroni), in cui la serrata sequenza di piccoli motivi geometrici evocava Victory Boogie-Woogie, l’ultimo ciclo di Piet Mondrian.
A proposito di questa sua opera, nel 1955 così si esprimeva: «Attraverso l’esempio della costruzione musicale, della sua quadratura, ho indagato sulla essenzialità degli elementi pittorici, nelle loro ripetizioni, variazioni, coincidenze, nelle loro possibilità simultanee. Sono potuto così arrivare alla formulazione, o meglio semplicemente ad accorgermi della esistenza di uno ‘spazio totale’ di cui si può avere sensazione nel quadro solo attraverso elementi astratti studiati nelle loro variazioni» (in Berti…, 1955, pp. n.n.).
Il tema dello ‘Spazio totale’, che discende direttamente dalle composizioni a scacchi, emerse con forza di lì a poco. In questo periodo espose con regolarità, tornando nell’estate del 1952 a Parigi per il VII Salon des Réalités nouvelles. In questo stesso anno realizzò una scenografia per il monodramma Le quinte dell’anima di Nikolaj Evreinov (rappresentato alla Casa della cultura di Livorno), fu a Vienna per una mostra di arte concreta e tenne personali a Livorno (galleria Giraldi), Torino (Bar Club 40) e Firenze (galleria Numero). Al 1953 risalgono i primi dipinti dedicati allo ‘Spazio totale’, tema che lo impegnò per un lungo periodo. Le opere dello ‘Spazio totale’ furono esposte per la prima volta, nell’estate del 1954, alla Mostra nazionale arte non-oggettiva allestita alla galleria Numero di Firenze; furono poi al centro di molte altre mostre, personali e collettive, tenute verso la metà del decennio.
Nigro più volte ricordò che per questi suoi dipinti si era trovato a studiare «gli elementi plastici nelle loro ripetizioni, variazioni, simultaneità, coincidenze, giungendo così alla concezione di uno spazio totale dove forma e spazio si risolvono a vicenda in un superamento della bidimensionalità fisica […]: in questo spazio totale vi saranno ancora problemi di rappresentazione e di espressione, di scoperta e di invenzione» (Pitture..., 1954, pp. n.n.).
Nel 1955 e negli anni seguenti partecipò a numerosi premi di pittura, oltre che alle molte iniziative del MAC (frattanto unitosi al gruppo francese Espace). Attorno al 1956 il fitto intrecciarsi di reticoli geometrici, sigla inconfondibile dello ‘Spazio totale’, cedette improvvisamente il passo a un nuovo interesse per la materia, a un espressionismo caratterizzato da forti contrasti cromatici. Si aprì così il ciclo delle Tensioni drammatiche, che giunse fino all’inizio degli anni Sessanta. In questa fase – contrassegnata da un grave incidente d’auto e da altre difficoltà – maturò la decisione di trasferirsi a Milano, abbandonando tra l’altro l’impiego a Livorno, ove da tempo dirigeva la farmacia dell’ospedale. I primi anni del nuovo decennio videro un recupero della dimensione geometrica, passata al filtro però di una più luminosa cromia, come dimostra la serie dei Collages vibratili. Parallelamente fecero la prima comparsa le opere componibili, realizzate accostando sulla parete numerosi dipinti su tavola animati dai reticoli dello ‘Spazio totale’.
Nel 1963 vinse un premio-acquisto al VII Premio Modigliani di Livorno (X spazio totale, Livorno, Museo civico Giovanni Fattori) e partecipò alla IV Biennale di San Marino intitolata Oltre l’informale; nel 1964 esordì alla Biennale di Venezia, in occasione della XXXII edizione (tra l’altro con Spazio totale 2: variazione simultanea; coll. priv., ripr. in M. N., 1984, p. 49, fig. 47), e nel 1965 fu alla IX Quadriennale d’arte nazionale di Roma.
Il 1966 fu un anno decisivo per la pittura dell’artista pistoiese, contraddistinto dal superamento definitivo dello ‘Spazio totale’. L’opera paradigmatica di questa svolta è Passaggio psicologico - quattro colonne (coll. priv.; ripr. in M. N., 2009, p. 165, fig. 159), esposta per la prima volta alla galleria La Polena di Genova: «un quadro ambiente», scriveva Paolo Fossati, «costituito da quattro colonne a diversa lettura a seconda del movimento dello spettatore nella sala, cosicché questa è completamente determinata dalla emotività programmata dalle sequenze strutturali che coprono le facce opposte di ogni colonna» (in M. N., 1968, p. 76). Si aprì così il nuovo ciclo del ‘Tempo totale’, determinato da uno svolgimento nello spazio degli elementi pittorici.
Nei tardi anni Sessanta espose ripetutamente alla galleria Notizie di Torino di Luciano Pistoi, partecipando inoltre a numerose collettive ordinate in Italia e all’estero. Tra le maggiori occasioni espositive di questo periodo fu la XXXIV Biennale di Venezia del 1968, ove espose Le stagioni, quattro elementi dipinti – ciascuno dei quali lungo 3 m – che distese a terra, ad attraversare per intero le sale 29 e 30 del padiglione italiano.
Scriveva Giulio Carlo Argan nel catalogo:«Nigro parla di spazio e di tempo ‘totali’ [...] non allude ad una globalità metafisica, bensì ad una estensione illimitata, ad una progressione. […] Nigro riprende la prospettiva, ma non come costruzione positiva dello spazio, bensì come ‘pattern’, sistema di correlazione tra quantità e qualità. All’ipotesi, che esige la verifica, sostituisce la virtualità, che esige l’esperienza: le sue trame spazio-temporali non sono da contemplare, ma da percorrere, da vivere» (1968, pp. 35 s.).
A partire da quel momento, e fino al 1976 circa, i dipinti di Nigro, realizzati per lo più a tempera, si caratterizzarono per la seriazione, su un fondo bianco uniforme, di brevi linee colorate, che chiamò «strutture fisse con licenza cromatica». Durante gli anni Settanta tenne numerose mostre personali, fra l’altro a Genova (alla galleria La Polena) e a Milano (all’Ariete e da Lorenzelli). Nel 1978 fu alla XXXIX Biennale di Venezia, ove presentò Ettore e Andromaca, opera composta da dieci elementi dipinti monocromi, ciascuno dei quali attraversato da una sola linea retta colorata, testimonianza di una nuova «concezione costruttiva elementare geometrica», come Nigro stesso la definì: «non vi è nessuna rappresentazione prospettica, né bidimensionalità, né suddivisione architettonica del supporto. Delineo una linea trasversale secondo le derivazioni della sezione aurea […]. Non vi può essere sensazione di tempo o di spazio» (la dichiarazione, del 1977, è in M. N., 2009, p. 230). Al 1979 risale, tra l’altro, una grande mostra antologica allestita nelle sale del Padiglione d’arte contemporanea di Milano, a cura di Paolo Fossati, per la quale Nigro realizzò grandi disegni murali, caratterizzati dal ripetuto incrociarsi di linee diagonali.
Durante gli anni Ottanta portò avanti con coerenza la propria ricerca, inaugurando nuovi cicli di opere, presentati al pubblico in occasione delle molte esposizioni personali. Tra il 1980 e il 1981, per esempio, dette vita alla serie del Terremoto, grandi tele dipinte ad acrilico, ove il fondo bianco è solcato da una drammatica linea a zig-zag (le prime prove di questo ciclo furono esposte alla galleria Toselli di Milano nel febbraio 1981). Nel 1983 presero forma gli Orizzonti, nutrito gruppo di tele attraversate da una sola linea orizzontale, ora continua, ora invece spezzata in tanti piccoli punti allineati. Nel 1987 fu poi la volta delle Orme (esposte per la prima volta nell’ottobre 1987 alla galleria Artra di Milano), che segnò – come Nigro stesso ha precisato – una «chiusura al grande periodo costruttivista, [che si era sviluppato] dal 1948 in poi» (così l’artista nel 1991, ibid., p. 304). Le Orme, e ancor più i Dipintisatanici che seguirono sul finire degli anni Ottanta, erano infatti caratterizzati da un rinnovato gusto per il colore: gruppi compatti di larghe pennellate, perlopiù verdi e rosse, applicate a olio sulla preparazione bianca della tela e capaci, con la loro forte espressività, di evocare impressioni di natura.
Dichiarava Nigro nel 1988: «Ciò che mi interessa ora si avvicina, con le dovute differenze, all’Action Painting», ma mentre «gli informali si richiamavano a fantasticherie, io mi sono richiamato all’Impressionismo, alla libertà di dipingere. […] Non so se avrei acquistato questa libertà, se non avessi approfondito fino in fondo, ed esaurito la ricerca costruttiva, senza rimpianti» (ibid., p. 308).
Nel 1990, ormai da tempo malato di cancro, tornò a un rigoroso studio del colore, dipingendo sulla tela bianca numerosi piccoli quadrati, distanziati tra loro e scalati per tonalità (la serie prese il nome di Meditazioni). Le opere successive, realizzate tra 1991 e 1992, segnarono un estremo recupero dei reticoli dell’antico ‘Spazio totale’.
Morì a Livorno il 12 agosto 1992.
L’anno seguente, l’esplosione di una la bomba il 27 luglio in via Palestro a Milano impedì l’apertura una grande mostra di sue opere nelle sale del Padiglione d’arte contemporanea.
Fonti e Bibl.: Pitture e guazzi di M. N. (catal., Casa della cultura), Livorno 1954; Berti Brunetti Monnini N. Nuti Szyszlo (catal., La Strozzina), Firenze 1955; P. Fossati - C. Lonzi, M. N., Milano 1968; M. N. (catal., galleria Peccolo), Livorno 1972; M. N. (catal.), Pistoia 1984; M. N. Lo spazio totale di M. N. Struttura, percezione, colore (catal.), Venezia 2006; M. N. Catalogo ragionato, a cura di G. Celant, Milano 2009.