MASSARI, Antonio
– Nato il 12 dic. 1738 a Ferrara da Francesco, mercante, e Diana Baressi, rimase nel 1741 orfano del padre che aveva accumulato una discreta fortuna con due botteghe di chincaglieria situate nella piazza della cattedrale. Insieme con il fratello Giovanni Battista, venne istruito da maestri privati e poi mandato a dozzina. Nel 1750 perse anche la madre che, nel 1744, si era risposata con il conte F. Cicognara.
Dal padre la cura degli affari era stata lasciata per testamento al suo capo negozio che avviò ben presto un’attività di prestito privato a interesse. Queste attività furono trasformate dai fratelli nel banco-ditta Francesco Massari, che raggiunse negli anni Settanta un bilancio di circa 200.000 scudi. La disponibilità di grandi mezzi finanziari, di liquidità monetaria e le larghe relazioni sociali permisero ai due fratelli di acquisire i più disparati appalti, fra cui le Valli di Comacchio, per secoli concessi alle famiglie nobiliari romane e a speculatori legati strettamente al governo pontificio.
Alla vigilia della Rivoluzione, grazie ai suoi corrispondenti commerciali di Marsiglia e Parigi, il M. era piuttosto ben informato di quanto accadeva in Francia, ricevendo dal figlio Luigi, nel 1787 a Marsiglia per curare il commercio della ditta, descrizioni degli alti livelli di libertà raggiunti da quella società. Fu naturale quindi l’adesione convinta al nuovo ordine di cose, tanto che in una satira antirivoluzionaria anonima la famiglia venne identificata come la più politicamente esposta: «Fra i Giacobin malvagi / I più famosi e rari / Ebbe la prima gloria / La casa dei Massari» (Antolini, p. 241). Da sempre ai margini della vita politica anche per propria scelta, i Massari ne divennero improvvisamente protagonisti assumendo incarichi a ogni livello.
Entrata nell’orbita francese il 21 giugno 1796, Ferrara venne governata da una Municipalità provvisoria in cui erano presenti sia il M. sia l’ultraconservatore marchese Bevilacqua, suo avversario storico e capo del partito aristocratico. Il 4 ott. 1796 il M. fu incluso in un secondo governo provvisorio connotato più democraticamente: l’amministrazione centrale del Ferrarese che, come annotò G. Compagnoni nelle sue Memorie autobiografiche, risultò essere un organismo di «uomini nuovi» che, quasi unico per coesione nel panorama politico italiano, operò con rapidità: vennero aboliti i tribunali ecclesiastici, la tortura, l’Inquisizione, atterrati i portoni del ghetto e concessa parità di diritti agli ebrei; allo stesso Compagnoni fu affidata la prima cattedra di diritto costituzionale d’Europa.
Istituita nel maggio 1797 la Municipalità provvisoria, il M., divenuto presidente della Amministrazione ferrarese, intravide la possibilità di unione suggeritagli dal nipote Vincenzo, ambasciatore ferrarese presso il Direttorio a Parigi, e inviò a Venezia C. Facci e D. Gallizioli, latori di un messaggio in cui propose un’unione territoriale e politica che Venezia accettò.
Nel dicembre 1796 il M. partecipò, come rappresentante unico della sua città, al congresso di Bologna, che creò la Repubblica Cispadana riunendo le Legazioni di Bologna e di Ferrara con Reggio Emilia e Modena. Intervenne frequentemente nel dibattito, ricevette numerosi incarichi, come quello di revisore dei conti della Giunta di difesa generale, e fu il primo firmatario del documento con cui i deputati ferraresi, modenesi e reggiani minacciarono di sospendere il congresso se i Bolognesi non avessero rinunciato al proposito di chiedere la ratifica del popolo sulle decisioni più importanti. Nei successivi congressi cispadani con i suoi interventi sostenne il massimo ampliamento territoriale della Repubblica, la libertà di commercio e, in concorso con la delegazione ferrarese, l’esclusione dalla costituzione della parola «religione», richiesta che non fu accolta. Tuttavia, il 6 febbr. 1797, un suo intervento per l’esclusione degli ecclesiastici dagli incarichi politico-amministrativi risultò decisivo. Politicamente il M. si schierò, unitamente all’amico G.B. Costabili, sulla linea democratica moderata, mentre, pur apprezzandone l’intelletto, considerò Compagnoni un pericoloso estremista, latore di proposte «disperate» e utopiche. Non sembrò soggiacere al fascino del generale Napoleone Bonaparte: negli incontri privati e pubblici che ebbe con lui, finì sempre per trattare affari: quando il generale corso gli offrì in vendita le Valli di Comacchio, nonostante le avesse già promesse al comacchiese A. Buonafede, il M. lasciò cadere la proposta poiché preferiva l’affitto, che peraltro riuscì a ottenere. Nel luglio del 1797, incontratosi a Milano con G.G. Serbelloni, presidente del Direttorio della Cisalpina, concertò un intervento presso Bonaparte per attuare l’unione della Cispadana con quella Repubblica.
Al ritorno degli Austriaci nel maggio del 1799, con la costituzione della Cesarea regia reggenza provvisoria presieduta dal marchese Bevilacqua, il M. fu imprigionato a Legnago, insieme con altri esponenti politici di spicco. Dopo la ricostituzione della Repubblica Cisalpina, colse tutte le opportunità, acquistando ogni genere di beni nazionali: dalle proprietà agricole, alle decime, ai cosiddetti feudi di cui diventò l’esattore.
Nel 1816 si adeguò agevolmente al ritorno del governo pontificio, divenendo consigliere comunale. Nominato cameriere di cappa e spada da Pio VII, venne confermato con tale titolo da Leone XII.
Il M. morì a Ferrara il 13 genn. 1826.
Il M. fu l’espressione degli uomini nuovi che avevano dato vita a una robusta borghesia. In una Ferrara divenuta periferica, seppe cogliere le opportunità che finanza e commercio offrivano a un territorio di frontiera, attraverso lo strumento del suo banco e la forza organizzata di un capitalismo familiare, che impegnava paritariamente tutti i membri, straordinariamente capaci di scambiare e veicolare informazioni. Notevole risulta anche il senso laico della famiglia: nessun membro della estesa parentela – i fratelli Massari ebbero 20 figli – diventò religioso, caso quasi unico in uno Stato clericale.
Il figlio del M., Luigi (nato a Ferrara il 1° marzo 1757 dal matrimonio con Teresa Travagli, e morto a Roma il 20 ott. 1816), fece parte del Corpo legislativo della Repubblica italiana, nel quale fu ripetutamente confermato, divenendo membro della commissione Finanze. Spesso critico e insofferente della politica economica napoleonica, tuttavia restò al suo posto. Nel 1809 fu creato conte e senatore del Regno e nel maggio 1812 membro del Consiglio generale del commercio entrando nella terza commissione che si occupava delle industrie decadute del ferro, rame, cuoio, vetro, sapone. Il Consiglio diede prova di indipendenza criticando i vantaggi accordati da Napoleone alle industrie tessili della Francia e del Nord, opponendosi all’introduzione presso le manifatture italiane del libretto di identità imposto ai lavoratori francesi, una specie di passaporto interno ideato per controllare gli operai indocili (Frumento, p. 558). Durante l’insorgenza nel luglio del 1809, Luigi richiese truppe per il distretto del Basso Po individuando nella tassazione della macina la maggior causa della rivolta, scoppiata per responsabilità del prefetto di Ferrara che aveva rassicurato sugli effetti dell’imposizione.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Ferrara, Archivio Massari, Patrimoniale, b. 8b; C. Antolini, Ferrara negli ultimi anni del sec. XVIII, Ferrara 1899, pp. 78, 108, 160, 241; S. Pivano, Il magistrato municipale di Ferrara e l’Amministrazione centrale del Ferrarese, in Id., Albori costituzionali d’Italia, Torino 1913, pp. 277-297; C. Zaghi, Nuovi documenti sul Congresso cispadano di Reggio e Modena, in Rass. stor. del Risorgimento, XXI (1934), pp. 547, 551, 556-558, 569; M. Savini, Un abate «libertino». Le memorie autobiografiche ed altri scritti di Giuseppe Compagnoni, Lugo 1988, pp. 244-246; M. Zucchini, La vendita dei beni nazionali terrieri nel Ferrarese (estr. da Riv. di storia dell’agricoltura, IX [1969]), p. 15; C. Zaghi, Potere, Chiesa e società, Napoli 1984, ad ind.; Ferrara, riflessi di una rivoluzione, a cura di D. Tromboni, Ferrara 1989, pp. 75-80, 92 s.; V. Sani, La rivoluzione senza rivoluzione, Milano 2001, ad indicem.